2019-11-10
Due ex democristiani uniti da parecchie cose che non tornano
Non conosco Vincenzo Scotti, e nemmeno mi è mai capitato di incontrare Paolo Gentiloni. La ragione della mancata frequentazione dei due è che in generale più sto alla larga dai politici e meglio mi sento. Dunque, non avendo incontrato l'ex ministro dell'Interno della prima Repubblica e nemmeno l'ex presidente del Consiglio della seconda, non so dire quale rapporto li leghi, se non quello di essere entrambi vecchi democristiani, passati nel corso degli anni attraverso più partiti.Il primo per l'abilità con cui si trasferiva da una corrente all'altra della Dc, finendo poi in un governo Berlusconi, fu addirittura soprannominato Tarzan. Il secondo, per la flemma con cui affrontava i problemi salvo poi non risolverli ogni volta, fu ribattezzato Er moviola. Entrambi, pur non essendo politici di primissimo piano, hanno fatto carriere di primo livello. Scotti, dopo essere stato per diversi anni ministro, si è rifatto una seconda vita, trafficando - come vedremo - con strani personaggi, tipo un certo professor Joseph Mifsud. Il secondo, essendo stato per anni nel retrobottega della politica, negli ultimi tempi si è invece messo in vetrina: prima ministro degli Esteri, poi presidente del Consiglio per meriti renziani, quindi presidente del Pd per meriti sconosciuti, infine commissario europeo all'Economia per mancanza di titoli. Chi lo conosce dice che, dopo essere stato per anni un numero due e forse anche tre, adesso si sente il primo della classe, pronto a insegnare ad altri come comportarsi. Mentre di Scotti non so dire, se non che a un certo punto si è inabissato sui fondali della politica, come quei sommergibili che non volendo essere tracciati preferiscono emergere il meno possibile.Ma a prescindere da ciò che sono stati, Scotti e Gentiloni, oltre a essere due ex dc cresciuti - anche se in età diverse - nell'acquario politico della Capitale, hanno una sottile linea rossa che li lega. Non si tratta della comunanza politica, e nemmeno della consapevolezza di appartenere alla seconda fila del potere. No, a tenerli uniti è la Link, l'università privata romana che Scotti ha contribuito a fondare. Curiosamente, Link in inglese significa collegamento, legame, vincolo. E l'ateneo romano tiene uniti una serie di personaggi, il primo dei quali è il misterioso Mifsud, un tipo di cui quasi nessuno sa niente, se non che si è infilato con un ruolo di primo piano in un intrigo internazionale in cui c'entrano alcuni eminenti esponenti democratici americani e il presidente degli Stati Uniti. In pratica, il docente maltese è sospettato di essere uno spione che ha lavorato per i servizi occidentali, in particolare per quello inglese, contribuendo ad accreditare la falsa pista di una ingerenza russa nelle elezioni americane. Vi state chiedendo che cosa c'entrino Scotti, Gentiloni e un'università privata romana con il pasticcio del Russiagate che negli Usa ha tenuto banco dal giorno dopo che Trump si è seduto nello studio ovale della Casa Bianca? C'entrano, perché gli americani sospettano che da Roma sia passato il complotto contro il loro presidente, e dunque un paio di uomini che lavorano per il governo a stelle e strisce nei mesi scorsi sono giunti nella Capitale e hanno incontrato i capi dei nostri servizi segreti, chiedendo lumi su Mifsud e sulle coperture di cui avrebbe goduto. Nessuno sa dire che cosa si siano detti gli 007 italiani con i funzionari americani. Però si sa che a dar via libera alla collaborazione è stato Giuseppe Conte, il quale - guarda caso - durante la crisi di governo ha beneficiato dell'endorsement, ossia dell'appoggio, di Donald Trump. Dunque, ci si chiede: ma «Giuseppi» ha dato qualche cosa agli Usa? Domanda pertinente, anche perché ieri l'avvocato di Mifsud ha rivelato, con un'intervista esclusiva alla Verità, che un capo dei servizi segreti italiani ha consigliato a Vincenzo Scotti di far sparire il professore della Link prima che gli americani gli mettessero le mani addosso. Insomma, se uno 007 si incarica di mettere al sicuro un tizio ricercato da un alleato, vuol dire che c'è qualche cosa che non torna, e oltre a non tornare - visto che lo spione è nostro - forse ci riguarda.Ma Gentiloni, vi starete dicendo, che c'entra? L'ex presidente del Consiglio c'entra perché, secondo l'avvocato di Mifsud, avrebbe preso parte a un meeting alla Link, proprio con il misterioso professore. Un caso, anzi una coincidenza? Può essere. Ma visto che ormai il giallo è di dominio pubblico e di interesse internazionale, forse sarebbe il caso che qualcuno - Giuseppe Conte che ha la delega sui servizi segreti o Paolo Gentiloni che è stato presidente del Consiglio - si decidesse a raccontarci le cose come stanno. In America questa vicenda rischia di sconquassare la prossima campagna elettorale. E qui, come la mettiamo?
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo