2021-10-17
Draghi punisce anche i «buoni» al governo
Nel Cdm ennesimo sgambetto ai leghisti (persino quelli più in sintonia con il premier), a Fi e Iv a vantaggio del M5s. Il Pd giubila alla vigilia dei ballottaggi, dopo i quali si temono altri colpi di coda. Sullo sfondo, l'eterno tentativo di una maggioranza Ursula.Che qualcuno puntasse a trasformare l'esecutivo guidato da Mario Draghi in una riedizione (sia pure con guida assai più autorevole) dei governi giallorossi, si era capito da tempo. Altro che unità nazionale, insomma. Ma l'altro giorno, in Consiglio dei ministri, si è passato il segno, e si è aggiunto un fatto politico nuovo: non solo l'ennesimo sgambetto ai danni del centrodestra, non solo il consueto calcio di rigore dubbio assegnato dall'arbitro (Draghi) a favore dei grillini (con sommo giubilo del Pd, alla vigilia dei ballottaggi di Roma e Torino, dove l'aiutino M5s può essere decisivo), ma perfino un sonoro schiaffo - politicamente parlando - a quelli che, secondo la rappresentazione più in voga nei palazzi della politica romana, erano stati finora descritti come i «buoni» della situazione, mica i «cattivi» come Matteo Salvini.Secondo tutte le ricostruzioni, infatti, le cose sarebbero andate così. Senza alcun preavviso dato il giorno prima (in cabina di regia), il giorno dopo (in Cdm) il ministro dell'Economia, Daniele Franco, ha inopinatamente messo sul tavolo ben 200 milioni per rifinanziare il reddito di cittadinanza (dopo il miliardo ulteriore già aggiunto questa estate). Suscitando il motivatissimo e sacrosanto disappunto di Giancarlo Giorgetti, che ha chiesto una riflessione, affiancato, nella circostanza, pure da Renato Brunetta (Fi) e Elena Bonetti (Iv). Ovvio che dall'altra parte si sia schierato subito il pentastellato Stefano Patuanelli, spalleggiato dal titolare dem del Lavoro, Andrea Orlando. E l'arbitro? Con la complicità (sorniona e soddisfatta) del Pd, Draghi ha di fatto dato ragione a Franco e Patuanelli, sbloccando lo stanziamento. Riservandosi (ne riparliamo in questa stessa pagina) di proseguire la discussione domani, lunedì, quando ci sarà l'illustrazione ai ministri della bozza di legge di bilancio. Ma intanto, determinando una sconfitta secca della Lega (anche nella parte più storicamente in sintonia con il premier), di Forza Italia (e dei suoi ministri sempre allineatissimi a Palazzo Chigi) e di Italia viva, che contro il reddito di cittadinanza aveva recentemente evocato anche l'arma referendaria. Delle due l'una (ed è naturalmente ammesso il cumulo delle ipotesi). O Draghi si sente fortissimo e quindi totalmente immune rispetto a qualunque fibrillazione partitica, oppure il premier vede i partiti così deboli da ritenere di poterli tranquillamente umiliare (solo alcuni e sempre gli stessi, però). Si tratta di capire se anche stavolta le tre forze interessate subiranno passivamente. Se si prendono i numeri del Senato, la Lega ha 64 seggi, Forza Italia 50, e i renziani 16: insieme fanno ben 130 senatori, un pacchetto di mischia enorme, superiore alla somma di grillini (74) e Pd (38), che insieme ne contano 112. I tre partiti sapranno convergere tatticamente, su questo tema, facendo valere il loro peso? Oppure prevarrà un altro schema politico, del quale si parla sempre più insistentemente? E cioè il tentativo (carsico, nel senso che si ripropone ciclicamente) di traghettare la politica italiana verso lo «schema Ursula», e quindi verso una maggioranza ex giallorossa più Forza Italia, mettendo ai margini Lega e naturalmente Fdi (che è già all'opposizione), oggetto peraltro della bastonatura mediatica che si è accentuata parossisticamente nell'ultimo mese. Il corpo parlamentare di Fi non è affatto concorde con la disarticolazione della coalizione di centrodestra, mentre in più occasioni i ministri azzurri sono parsi per lo meno freddi rispetto ai loro alleati più a destra. L'elezione del nuovo capo dello Stato sarebbe il banco di prova di questa operazione politica: se a eleggere il nuovo inquilino del Quirinale fosse infatti una maggioranza senza la Lega (e a maggior ragione senza Fdi), il gioco sarebbe quasi fatto. E questo è il retroscena in termini di politics, cioè di politica politicante. Ma pure in termini di policies, cioè delle politiche concrete che il governo adotta su ogni singolo dossier, è evidente che a ogni indebolimento elettorale del centrodestra corrisponde un'accelerazione governativa in senso uguale e contrario. All'indomani del catastrofico primo turno alle amministrative, due settimane fa, nel momento in cui la Lega era più debole, Draghi colse la palla al balzo per inserire nella bozza di delega fiscale la riforma del catasto (consegnando una pistola carica ai tassatori della prossima legislatura). E ora c'è chi teme che, dopo il secondo turno, si ripeta lo stesso meccanismo: affossamento di quota 100 e magari, tra qualche settimana, pure una legge sulla concorrenza che, accanto a cose buone, potrebbe inserire misure assai invise a segmenti di elettorato di centrodestra. Forse è giunto il momento che le diverse anime del centrodestra di governo (i più critici e i più governisti), anziché beccarsi tra loro, comprendano che rischiano di fare la fine dei polli di Renzo. Meglio per tutti se fisseranno una loro agenda condivisa e soprattutto delle linee rosse non oltrepassabili, neppure da Draghi. Se invece tutti gli altri (Pd, grillini e Palazzo Chigi) avranno la sensazione di poter infierire liberamente, lo faranno senza pietà.