2022-07-13
Draghi liscia Conte ma esclude un bis: «Non andiamo avanti con gli ultimatum»
Giuseppe Conte e Mario Draghi (Ansa)
Il premier vede Enrico Letta e punzecchia la Lega: «Prepara sfracelli». Poi blandisce il M5s: «Ci sono punti comuni, non governo senza».È difficile non vedere lo zampino dem, nelle parole pronunciate da Mario Draghi nella conferenza stampa di ieri, evento attorno al quale, prevedibilmente, è ruotata tutta la giornata politica. Ma è possibile anche intravedere una certa insofferenza da parte del premier, sempre meno disposto ad accettare il logoramento da parte di Giuseppe Conte o di altri, a dispetto della linea conservativa con ogni probabilità prospettatagli dal presidente della Repubblica nell’incontro di lunedì scorso. Poco prima di concedersi ai cronisti assieme ai ministri Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti (il cui assoluto silenzio non è passato inosservato) il presidente del Consiglio ha infatti accolto a Palazzo Chigi il segretario del Pd Enrico Letta, proprio mentre le fibrillazioni interne alla maggioranza in vista del voto di fiducia di domani al Senato non davano segnali di indebolimento. Fatto sta che non c’è stato bisogno di leggere in filigrana le frasi dell’ex numero uno della Bce, per ipotizzare che il tentativo di appeasement con Conte e l’irrigidimento nei confronti di Matteo Salvini fossero stati precedentemente concertati con Letta. In cima alle preoccupazioni di quest’ultimo c’è lo spettro di un asse di governo che si sposterebbe nettamente a destra con la defezione dei grillini, con un Pd destinato verosimilmente all’implosione qualora dall’esterno (o dall’alto) arrivasse l’input di scongiurare in ogni caso le urne. Allo stesso tempo, in Draghi è sembrata affiorare, soprattutto nei toni di una risposta fornita sulle prerogative del Colle, la voglia di ritagliarsi una exit strategy da Palazzo Chigi.Ai giornalisti che lo incalzavano ha detto che con il leader dem si è limitato a parlare «delle prospettive e della situazione in generale», senza «buone o cattive notizie» da dare o ricevere, ma l’impressione dei presenti è stata diversi, e gli indizi sono più di uno. A partire dalla sottolineatura dei punti di contatto (o presunti tali) tra l’agenda di governo e le istanze presentate mercoledì scorso da Giuseppe Conte nel «papello» con le nove condizioni per restare al governo: «Quando ho letto il documento in nove punti del Movimento 5 stelle», ha detto Draghi, «ho trovato molti punti di convergenza con l’agenda di governo. C’è l’esigenza», ha aggiunto evocando esplicitamente il salario minimo, «di fare qualcosa per il lavoro povero, un intervento era necessario e se coincide con l’agenda di Conte sono contento e forse è contento anche lui». Ed è a questo punto che, non potendo eludere la domanda sul voto di domani e sulle conseguenze di una mancata fiducia grillina al governo a Palazzo Madama, Draghi ha detto chiaramente che «non esiste questo governo senza i 5 stelle, e non esiste un governo Draghi altro da questo», aggiungendo che sulle ipotesi di un rinvio alle Camere «la domanda va fatta a Mattarella». Per completare il messaggio, il premier coglieva la palla al balzo di una domanda in cui si citava Salvini per assestare una stoccata al leader del Carroccio: «Qualora si verificasse una situazione per cui il governo non riuscisse a lavorare, e lo dico anche per i tanti altri che dicono che a settembre faranno sfracelli, un governo con ultimatum non lavora. A quel punto», ha proseguito, «il governo perde il suo senso di esistere. E se è così una sofferenza stare all’interno dell’esecutivo, meglio essere chiari, no?». Dall’ex ministro dell’Interno, seppure in maniera indiretta, è arrivata una replica a stretto giro di posta, laddove quest’ultimo ha detto, riferendosi alla volontà del premier di evitare lo scostamento di bilancio, di pensare «l’esatto contrario: qua o si mettono 50 miliardi veri nelle tasche degli italiani oppure coi micro bonus e i micro interventi non si risolve nulla», per poi chiedere un’accelerazione sulla pace fiscale. «La Lega», ha detto ancora Salvini, «è da un anno e mezzo che è leale ma dobbiamo sostenere un governo che si occupa di lavoro non di droga e cittadinanza facile, siamo gente serena, leale, noi non mandiamo le letterine di Babbo Natale come qualcun altro, noi facciamo», ha concluso, «richieste fondate e sobrie». Carte copertissime, invece, in casa pentastellata, dove Conte ha fatto diramare una «velina» da Rocco Casalino in cui si specificava che la posizione ufficiale del Movimento sulle misure sociali anticipate da Draghi sarà comunicata solo dopo la riunione del Consiglio nazionale pentastellato, fissato per stamani alle 8.30. In precedenza, Conte si era limitato a ribadire di aspettarsi «risposte pronte» alle sue richieste, mentre la giornata era stata segnata da diversi interventi dei governisti di tutte le forze di maggioranza, a partire dal ministro del Dario Franceschini, per il quale in caso di crisi di governo nell’attuale fase economica gli italiani uscirebbero «coi forconi», per arrivare al ministro di Fi, Mariastella Gelmini, contraria a «interrompere il processo di riforme e investimenti che abbiamo avviato, grazie ad una iniziativa europea senza precedenti». Passando per Matteo Renzi, che ha tuonato contro la «pagliacciata» del M5s, ipotizzando anche un Draghi bis senza i ministri pentastellati. Le parole del leader di Iv, però, erano giunte prima che il diretto interessato escludesse categoricamente un reincarico, sembrando a tratti di rivolgersi direttamente a Mattarella per chiedere di essere sollevato, eventualmente, da tale incombenza. Chi ha voluto tenere la tensione alta, per evidenti motivi, è stato Luigi Di Maio, che ha sparato a palle incatenate su Conte: «C’è una forza politica», ha detto, «che sta generando instabilità. Devono dirci se stanno dentro o fuori».
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