2022-07-22
Draghi è un brand, corsa ad accaparrarselo
Il premier è il punto di riferimento delle cancellerie, di Letta (che sulla sua fine incentrerà la campagna elettorale) e dei «centrini»: Tabacci, Brunetta, la Gelmini, la Bonino, passando per Renzi, Calenda, Di Maio e Toti. Tante liste e pochi voti. Li aiuteranno i dem?Senza confondere il sacro con il profano, da ieri Mario Draghi è uno e trino. Nei prossimi mesi, infatti, ci sarà un primo Draghi: quello che sarà consultato da cancellerie e investitori internazionali come «agenzia di rating» supplementare (oltre che come una sorta - non dispiaccia a Sergio Mattarella - di presidente della Repubblica aggiunto). Poi ci sarà un secondo Draghi: quello che verrà evocato da Enrico Letta e da tutto lo schieramento alternativo alla destra come il premier abbattuto da Lega e Forza Italia. Ci si può scommettere: ogni giorno della campagna elettorale Letta deporrà un metaforico fiore sul «monumento ai caduti» (Draghi e relativo governo), vittime del cosiddetto populismo di ritorno. E infine ci sarà un terzo Draghi: nella forma di brand, di logo, di marchio (più o meno autentico, più o meno contraffatto: lo stabiliranno gli elettori) del quale cercheranno di fregiarsi una o più forze della galassia centrista. Cosa sia esattamente questo «draghismo» non è dato saperlo: in genere si manifesta come un mix di atteggiamenti eurolirici e di autocertificazione di «competenza». Con un cortocircuito curioso: quello di trattare gli altri da populisti, ma di assumere su di sé il connotato più populista di tutti, e cioè un malcelato disprezzo verso il Parlamento e l’aspirazione a una sempre più spinta verticalizzazione tecnocratica. Dopo di che, i campioncini di quest’area devono fare i conti con almeno tre guai: per questo tipo di politica sembra esserci più offerta che domanda (allo stato, non si vedono assembramenti di elettori…); manca il tempo che questi protagonisti speravano di avere a disposizione per organizzarsi (tra poco, invece, sarà già il momento di presentare liste e candidature); e soprattutto manca unità fra di loro. Detta brutalmente: non c’è nessuno così più forte da essere naturalmente riconosciuto come leader; e semmai c’è un insieme di fattori psicopolitici, di diffidenze, di gelosie, di conti da regolare, che ben difficilmente fanno immaginare un cammino unitario. Passiamo dunque in rassegna queste anime in pena draghiane. C’è Bruno Tabacci, storico portatore di simboli centristi spesso ceduti o condivisi con altri, che già un paio di giorni fa parlava di una coalizione di centrosinistra ispirata a Draghi. C’è l’appena fuoriuscita da Forza Italia Mariastella Gelmini, descritta da tempo come in cerca di sponde (e sempre più insistenti le voci di un suo avvicinamento a Calenda). C’è Renato Brunetta, convinto di non aver lasciato lui Forza Italia, ma che sia stata Forza Italia a lasciare i propri valori, che l’ex ministro vorrebbe far confluire in una non meglio precisata «unione repubblicana», naturalmente ispirata a Draghi, che qualche mese fa Brunetta paragonò nientemeno che a Ottaviano Augusto. Ci sono poi Giovanni Toti e Gaetano Quagliariello, che hanno di recente separato le loro sorti da quelle di Luigi Brugnaro. C’è ovviamente Luigi Di Maio, con le 64 bocche da sfamare di Insieme per il futuro (53 deputati e 11 senatori). C’è Più Europa di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, a loro volta già uniti in un patto con Più Azione di Carlo Calenda. E Calenda è quello che, anche in queste ore, si è più agitato per autonominarsi draghiano doc: l’altro giorno esaltando il suo discorso «tosto» e ieri proclamando: «Combatteremo per portare avanti la sua agenda e il suo modo di fare politica. L’Italia seria scenda in campo».Poi c’è naturalmente Matteo Renzi, oggetto degli strali di Calenda un po’ per tutto (dalle conferenze in Arabia alle alleanze alle amministrative), e che però sembra volersi rivolgere allo stesso mercato. Ieri Renzi ha scritto una lettera ai firmatari della sua petizione pro Draghi in cui ha preannunciato che «faremo di tutto perché l’area politica che ha sostenuto Draghi sia unita». Ma di recente, forse proprio per sbarrare la strada a Calenda, Renzi aveva fatto il nome di Beppe Sala, a sua volta promotore di iniziative di sapore civico-ambientalista, e portatore di non più nascoste ambizioni nazionali. Dopo di che, non mancano altri cespugli. Piercamillo Falasca, già collaboratore prima di Della Vedova e poi di Mara Carfagna (anche lei in uscita da Fi a causa della «frattura con i suoi valori»), si occupa di una cosa chiamata «Italia c’è», che si era offerta come sponda agli eventuali fuoriusciti M5s, e che nelle settimane passate era stata descritta come il «luogo» di una ipotetica convergenza tra Sala, Di Maio e la Carfagna. Invece, intorno a Giuseppe Benedetto, che attualmente ha il controllo della Fondazione Einaudi, era sorto un comitato per unire le forze. Ma ieri Benedetto ha per un verso polemizzato con Della Vedova, che già riflette su alleanze con il Pd, e per altro verso ha minacciato, se il nuovo polo non verrà alla luce, di «fare i nomi e i cognomi dei responsabili». Da ultimo, c’è un convitato di pietra, che si chiama Pd. Poiché la legge elettorale resta quella attuale, e poiché, nella parte proporzionale, queste piccole liste non hanno grandi chances di superare la soglia (a meno che non si uniscano, ovviamente), l’unica speranza di elezione - per capi e capetti - è che il Pd conceda collegi uninominali sicuri. E allora che farà il Pd? Centellinerà i collegi da donare (inducendo gli aspiranti eligendi a una prevedibile rissa): dopo di che, i premiati saranno pregati di tenere viva (almeno fino al voto) la loro sigla che servirà come «gamba destra» per fare da pendant alla «gamba sinistra» della coalizione (Leu ed eventualmente i grillini). Resta invece da capire se e quali, tra i protagonisti del centro, avranno il coraggio di andare davvero da soli, senza elemosinare nulla dal Nazareno.
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)