Dei 30 miliardi della manovra, 24 sono in deficit. Un errore strategico. Il 2022 sarà infatti l'ultimo anno in cui potremo sforare i paletti europei del Patto di stabilità. Il risultato è che la gigantesca pressione fiscale calerà soltanto dal 42,8% al 41,7.
Dei 30 miliardi della manovra, 24 sono in deficit. Un errore strategico. Il 2022 sarà infatti l'ultimo anno in cui potremo sforare i paletti europei del Patto di stabilità. Il risultato è che la gigantesca pressione fiscale calerà soltanto dal 42,8% al 41,7.Non è tutto oro quello che luccica (ammesso e non concesso che luccichi) nella legge di bilancio presentata dal governo di Mario Draghi per il 2022. Anzi, il bilancio del prossimo anno potrebbe essere ricordato come una delle più grandi opportunità perse dal nostro Paese per ridurre significativamente la pressione fiscale.Da fine settembre è in corso un dibattito molto acceso su come distribuire i 30 miliardi per il 2022 e la legge di Bilancio ha finalmente offerto un quadro - per certi aspetti ancora provvisorio - sulla distribuzione di tali risorse tra spese, investimenti e riduzioni di tasse, ma quasi nulla si è detto sul perché si sia arrivati a tale cifra. Anzi a tali cifre: 6 miliardi sono il frutto di interventi di ottimizzazione e tagli. Gli altri 24 sono in deficit. E alla fine rappresentano il centro del pallottoliere e il vero saldo netto della legge Finanziaria. Perché, se il bilancio dello Stato del 2021 prevede spese per 937 miliardi oltre a interessi per 60 miliardi, lo spazio di manovra si riduce a 24 miliardi?Allora proviamo a fare luce su questo tema, e dobbiamo ricordare che la definizione della politica di bilancio - dal 2011 quando fu varato il programma di coordinamento che va sotto il nome di «semestre europeo»- si svolge sotto lo stretto controllo della Commissione di Bruxelles. E si articola in tre tappe: fine aprile, quando va presentato il Documento di Economia e Finanza (Def); fine settembre, quando va presentata la nota di aggiornamento (Nadef) a quel primo documento; metà ottobre, quando va inviato il Documento Programmatico di Bilancio (Dpb), che contiene già tutti i saldi di bilancio per il triennio successivo che poi saranno dettagliati nella legge di bilancio presentata alle Camere entro il 20 ottobre.Insomma, ormai da dieci anni, i saldi del bilancio vengono comunicati a Bruxelles prima ancora che alle Camere e queste ultime possono solo agire entro un perimetro ben definito.La lettura combinata e organica di questi tre documenti per gli anni 2021-2024, porta a due constatazioni: pur essendo il 2022 l'ultimo anno in cui resterà attiva la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, il governo Draghi ha rinunciato a sfruttare questo eccezionale e probabilmente irripetibile spazio di manovra offerto e, in soli cinque mesi, è addirittura indietreggiato negli obiettivi fissati ad aprile, quando aveva promesso un deficit/Pil del 5,9% nel 2022 che poi a settembre ha fissato al 5,6%; inoltre il percorso definito per gli anni successivi è tutto orientato al conseguimento degli obiettivi del Patto di Stabilità, confermandone in toto i principali cardini. Altro che revisione del Patto, i nostri documenti di bilancio fino al 2024 ne confermano la piena operatività e promettono il sostanziale azzeramento del saldo primario nel 2024 (-0,8% l'obiettivo programmatico), partendo da un disavanzo di 106 miliardi nel 2021.Come rilevabile dal grafico in pagina, ad aprile 2021, Draghi e il ministro dell'economia Daniele Franco, si sono presi la responsabilità di confermare che la legge di bilancio 2021 - presentata da Roberto Gualtieri e Giuseppe Conte, e poi integrata da numerosi decreti nei primi mesi di attività del nuovo governo - prevedeva un deficit/Pil del 11,8% per il 2021 e 5,9% per il 2022. Sono bastati solo cinque mesi per fare scendere queste previsioni al 9,4% e 4,3%. Crescita del Pil, aumento delle entrate e riduzione delle spese, tutti superiori alle stime iniziali, le cause di queste variazioni.Sorgono perplessità su come sia stato possibile avere due previsioni così divergenti a distanza di soli cinque mesi l'una dall'altra. In ogni caso, poiché a caval donato non si guarda in bocca, senza derogare all'impegno del 11,8% preso con Bruxelles, nell'ultimo trimestre del 2021 c'era una eccezionale opportunità di un maxi aiuto fiscale agli italiani - nell'ordine di oltre due punti di Pil, circa 35 miliardi - e non è stata sfruttata. Lo stesso schema si è ripetuto per il 2022. Avevamo promesso alla Commissione il 5,9%, in soli cinque mesi, l'andamento economico ci porta a ridurre la previsione al 4,3% e Draghi e Franco cosa fanno? Fissano il nuovo obiettivo al 5,6%, quindi al di sotto della promessa iniziale. Da qui originano quei famosi 24 miliardi: si tratta del 1,3% del Pil, proprio la differenza tra 4,3% e 5,6%.La legge di bilancio 2022 è tutta giocata all'interno di questo perimetro e il Dpb ne definisce la cornice, specificando misura per misura, come ci si dovrà dividere quel 1,3% del Pil di deficit aggiuntivo rispetto a quello che avremmo avuto a legislazione vigente. La pressione fiscale - salita allo stratosferico livello del 42,8% nel 2020 - è prevista scendere al 41,9% nel 2021 e al 41,7% nel 2022. Movimenti impercettibili, quando sarebbe stato possibile osare di più.La razione di cioccolata è stata aumentata da 30 a 20 grammi, il popolo esulta, ma noi ci permettiamo di avere le stesse perplessità di Winston.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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