2018-11-26
Dove sono nascosti i fan italiani di Macron?
Appena fu eletto presidente della Francia, la sinistra nostrana saltò sul suo carro: da Matteo Renzi a Carlo Calenda, fino a Fassino e la Mogherini Per tanti rappresentava «un modello» e «la speranza». Ora che Oltralpe va tutto a rotoli, i suoi adulatori fingono di non conoscerlo.Ma dove sono finiti, improvvisamente, tutti i macroniani d'Italia? È vero che il loro idolo, Emmanuel Macron, continua a crollare nei sondaggi e dimostra ormai di aver perduto la testa e il controllo della situazione, spingendo per l'impiego della mano dura contro le proteste dei giubbotti gialli, i 100.000 manifestanti che sabato erano scesi in strada contro i rincari del carburante e contro i divieti del governo. È vero che in questa occasione il giovane presidente francese ha dato forse il peggio di sé, suggellando le otto orribili ore di guerriglia urbana sugli Champs Élysées e la risposta brutale della gendarmerie (20 manifestanti feriti e 42 arrestati nella capitale, più altri 130 fermati nel resto della Francia) con un improvvido ringraziamento «per il coraggio e la professionalità delle nostre forze dell'ordine», e nemmeno una parola per tutti gli altri che di certo non sono violenti di professione, ma solo cittadini indignati. È vero anche che il capo dell'Eliseo è sempre più isolato internazionalmente: ieri Macron ha dovuto incassare l'ultimo sfottò ribaldo del presidente statunitense Donald Trump, che su Twitter ha voluto rinfacciargli che «le grandi e violente proteste francesi non tengono conto di quanto gli Stati Uniti siano stati trattati male sul commercio dall'Unione europea o sui pagamenti equi per la nostra protezione militare. Entrambi questi argomenti devono essere risolti al più presto». È stato un po' come se il leader americano avesse voluto ricordare al collega che manganelli e idranti non serviranno a risolvere tutti i suoi problemi. È vero, insomma: oggi Macron è nei guai fino al collo. Il presidente di En Marche!, che nell'agosto 2017 era arrivato all'81% di consensi, adesso piace sì e no al 20% dei francesi, la stessa misera quota che alla fine del mandato era stato capace d'incassare il suo disastroso predecessore François Hollande (che proprio per quello, per la prima volta nella storia repubblicana, aveva deciso di non ricandidarsi), e viene apertamente messo in discussione da un movimento di massa, autoconvocato, che lo contesta sulle strade bloccando il Paese senza esibire bandiere politiche e attirandosi contro le stesse grandi centrali sindacali. I giubbotti gialli, del resto, non sembrano protestare tanto per i 6,5 centesimi, quanto per la clamorosa delusione causata dalla breve era Macron. Un'era fatta di riforme annunciate e mai messe in atto, di gaffe presidenziali internazionali e di ambiguità domestiche, ma anche e soprattutto di piccole e grandi megalomanie un po' isteriche, come le dimensioni spropositate della fotografia che monsieur le president ha spedito a tutte le prefetture (costringendo 1.000 uffici a gettare le vecchie cornici, usate per decenni), o i conti astronomici pagati per la sua truccatrice personale (un conto da 26.000 euro in due mesi), o la decisione di riaprire le battute di caccia presidenziali nel castello di Chambord, soppresse nel 1995 da Jacques Chirac.Ma il disastroso crollo d'immagine non basta ancora per rispondere alla domanda iniziale: dove diavolo sono finiti i macroniani italiani? Dove si nascondono quelli che nel maggio 2017, quando il nuovo presidente volava all'Eliseo sulle ali del 65% dei voti, lo incensavano come il domani e il dopodomani dell'Europa, come il più grande statista continentale del Terzo millennio? Ricordate? Piaceva soprattutto ai nostri democratici, il trionfatore di Francia: l'uomo che per la sua faraonica cerimonia d'investitura (non per nulla convocata sotto la piramide del Louvre) aveva addirittura sostituito la tradizionale Marsigliese con l'Inno alla gioia di Ludvig van Beethoven. In quel momento, a Roma Matteo Renzi lo additava a parametro e copia dello straripante sé stesso: «Il suo modello è il nostro modello». A Bruxelles, il ministro degli Esteri europeo Federica Mogherini lo definiva enfaticamente «speranza e futuro della nostra generazione». E Carlo Calenda dichiarava di «aver sperato quando era arrivato all'Eliseo». E Piero Fassino, con l'abituale fiuto, sosteneva che «finalmente con Macron abbiamo una Francia che rifiuta i muri, respinge le paure, crede nell'Europa: da oggi la sinistra è chiamata a una storia nuova…». Scendendo giù per li rami del Pd, torna alla memoria un Sandro Gozi che rivelava commosso di essere stato «uno dei primi» a essere stato avvertito «da Emmanuel della sua intenzione di fondare un movimento», o un Andrea Romano che paragonava le «ottime proposte politiche di Macron» a quelle del suo capo fiorentino.Tutti orfani, oggi. Nel Partito democratico, del resto, alcuni avevano cominciato saggiamente a ridurre i peana ai tempi dello scontro con l'Italia sull'acquisizione dei cantieri di Saint-Nazaire. Altri si erano silenziati dopo, ai tempi del blocco dei porti francesi davanti alla prua delle navi cariche di migranti. Ma a sinistra, è evidente, il Macron manganellatore deve piacere sempre di meno.