2022-03-11
Dove i morti russi e ucraini si confondono
Tra Irpin e Bucha, i profughi che cercano di raggiungere Kiev sono costretti a passare in mezzo ai cadaveri dei due eserciti Eppure ci sono anziani che non vogliono abbandonare la loro terra, sfidando il pericolo che dista poche centinaia di metri.da Kievcercavano una via di fuga. Tutte persone che della propaganda dell’una e dell’altra parte oggi non sanno più che farsene. Ieri siamo tornati a vedere quel girone infernale dove i morti si aggrappano ai vivi e la terra non è di nessuno.Dal ponte di Irpin continuano a passare a piedi i profughi diretti in città. Sono meno rispetto al giorno prima. Anche molti giornalisti non sono più qui a raccontare l’esodo. Proseguiamo verso le postazioni situate lunga la linea difensiva. Dobbiamo andare più in là, molto più in là. Dobbiamo cercare di arrivare a Bucha. Un militare ci sente: «A Bucha non è possibile ma vi porto fin dove incrociamo i nostri sguardi con i russi!». Guida tra le strade semideserte della cittadina, velocissimo. Arriviamo dopo 10 minuti in un piazzale situato tra i palazzi a 100 metri dalle trincee ucraine. Scendiamo. Un gruppo di persone ci sostituisce e monta sulla sua macchina. Sfrecciano via ancora una volta verso il ponte e poi a Kiev, in quella che sembra una roulette russa. Fa freddo, molto freddo al punto che diventa difficile sbloccare il telefono senza scaldare le dita. Ci spostiamo verso il fronte di difesa che sorge all’inizio del viale che divide Irpin da Bucha, dall’altro lato. Alla fine del viale i russi sembrano avvolti in una coltre di fumo nero mentre subiscono i colpi dell’artiglieria ucraina.Entriamo, ancora una volta, anche se per poche decine di metri, nella terra di nessuno, tra le case distrutte. A sinistra, lungo una ferrovia, la battaglia ha avuto il suo apice durante la notte e nei giorni scorsi, gli ucraini hanno mantenuto la posizione. C’è un carro armato russo completamente distrutto e uno ucraino, guasto e usato come protezione. In questo piccolo spazio tra un lato della strada e l’altro giacciono quattro corpi, tra cui un civile. Giace al centro della strada, a pochi metri da dove altri gruppi di civili stanno per arrivare, a piedi con gli stracci bianchi in vista. Intorno è tutto distrutto, palazzi, negozi, il benzinaio, il tank russo, a qualche metro un corpo carbonizzato di un soldato di Mosca, il primo che vediamo in questa guerra e a cui i cani randagi ormai hanno mangiato parte del corpo e mentre i soldati ucraini cercano di allontanarli in un moto di umanità.Passato il carro armato ucraino sul lato sinistro del viale che divide i due fronti, vediamo ancora file di civili: camminano tra le macerie tenendosi vicini l’un con l’altro; passano davanti a quell’uomo martoriato che come loro cercava la salvezza e coprono gli occhi ai bambini, guardandolo inorriditi. Sono a 20 metri da noi, ma ancora lontani, superano il carro armato ucraino, ritrovano un po’ di copertura assicurata dal mezzo militare e i soldati li prendono in consegna. Passano davanti ai corpi di due soldati russi che giacciono sulla ferrovia, uno accanto all’altro, con la calzamaglia e i calzettoni neri. Non sappiamo se fossero vestiti così per il caldo all’interno del carro o se gli siano stati rubati i vestiti. Uno ha la maglietta alzata con un tatuaggio blu sul petto, l’altro, un buco di grosso calibro sulla fronte e ancora indosso la tipica cuffia di cuoio da carrista. Probabilmente sono stati freddati durante un estremo tentativo di fuga disperata. Dopo aver attraversato i binari della ferrovia, i profughi passano fra i fucili spianati dei loro protettori, tra lamiere, sacchi di sabbia e un trattore posizionato al centro della strada. Ma sono salvi. Da qui alcuni militari li portano nel piazzale tra i due palazzi dove al riparo aspettano le macchine e i furgoni dei volontari che a gran velocità caricano questi sfollati disperati e piangenti verso Kiev. I proiettili dell’artiglieria si sentono cadere dall’altra parte del viale a circa 500 metri. In questo paesino ci sono postazioni e tank ucraini nascosti tra i palazzi, nei vicoli, strade minate, edifici minati pronti a diventare trappole per gli invasori.Nel punto di raccolta continuano i controlli dei documenti dei profughi, l’esercito ha il terrore dei sabotatori che si mescolano ai profughi, cosi il controllo dei documenti avviene continuamente, in più punti del corridoio umanitario.Mentre esplodono i colpi, scendiamo in un rifugio utilizzato sia da militari che dai civili. Una luce al neon illumina la prima stanza, carica di viveri. In una pentola su un fornello da campo bolle la zuppa. Passando oltre ci sono tre stanze con i materassi in terra e i vecchi che aspettano. Ma non l’evacuazione, aspettano che finisca la guerra e vivono qui con i militari che dicono di ammirare e di non voler abbandonare. Rimangono qui al buio da giorni, senza acqua corrente, ma con la voglia di urlare il loro odio per i russi e l’amore per la propria patria, ci ripetono: «Non ce ne andremo, slava Ukraine». Usciti dal bunker, camminando in un quartiere martoriato dai colpi di mortaio, incrociamo un uomo che vaga con un sacchetto bianco in mano a piccoli passi. Incerto si guarda intorno.Dove va? Non sa che c’è l’evacuazione? «Non capisco bene cosa succede» ci dice. Ha evidentemente qualche problema mentale, gli diciamo che può prendere alcuni vestiti e andarsene, che lo deve fare. Ma qui specialmente i vecchi non vogliono abbandonare le case e ci possiamo solo immaginare la loro fine se questo fronte dovesse arretrare.Arrivano altri gruppi di militari, scendono anche loro da veicoli civili provenienti dal ponte, camminano verso le postazioni sul fronte, probabilmente per il cambio del turno di guardia. Li seguiamo, uno di loro si gira, ci ferma in maniera brusca: «Stop, go home, is too dangerous». È il momento di tornare a Kiev.
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