2020-11-28
Dopo il fiasco al Mit, la De Micheli s’atteggia a ministro dell’Istruzione
Presidi e pentastellati contro la dem, dopo la sparata sulle lezioni di sabato e domenica.Difficile che un ministro prenda una posizione e raccolga pareri pressoché unanimi. L'impresa è riuscita alla titolare dei Trasporti, Paola De Micheli (Pd). Peccato però che la sostanziale unanimità si sia manifestata contro di lei, per stroncare la sua sortita, ai microfoni di Repubblica, tesa a invadere le competenze di un altro dicastero.Infatti l'esponente Pd ha parlato come se fosse al vertice dell'Istruzione, lanciando la teoria scombiccherata delle scuole aperte di domenica: «Siamo in emergenza e credo sia necessario fare lezioni in presenza anche il sabato». E la domenica? «Sono decisioni che vanno condivise con tutto il governo, ma siamo in emergenza e bisogna far cadere ogni tabù. Ce lo chiedono diverse Regioni». Gran finale sugli orari: «Dobbiamo spalmare l'entrata e l'uscita degli studenti sulle prime dodici ore della giornata, dalle 8 alle 20».Non soddisfatta di questa brillante idea, la De Micheli è tornata nel suo campo ministeriale, se possibile peggiorando ancora le cose: «Nessuno mi ha portato uno studio che dimostri che i trasporti sono la principale ragione della crescita della curva. Ho sentito troppi scienziati parlare a braccio, in questo periodo». Insomma, autoassoluzione per la gestione politica dei trasporti nonostante le immagini choccanti, da due mesi, di cittadini stipati come sardine su bus e metro. Dopo un simile uno-due, era fatale che il ministro raccogliesse una gragnuola di no. Tra i primi, il grillino Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, accorso a difendere la collega Lucia Azzolina: «In un momento come questo è del tutto inopportuno pensare di tenere aperte le scuole anche la domenica. Le famiglie stanno già sopportando sacrifici enormi, sarebbe davvero fuori luogo mandare gli studenti fra i banchi perfino in un giorno festivo».Toni durissimi anche dai dirigenti scuolastici. Ecco Antonello Giannelli (Associazione nazionale presidi): «Sulla possibilità di scaglionare, con gli ovvi limiti di ragionevolezza, gli orari di ingresso a scuola ci siamo già espressi più volte favorevolmente. Il discorso, in linea di massima, va circoscritto agli istituti superiori delle 14 città metropolitane per i quali possiamo pensare di posticipare l'ingresso alle ore 9.15. La condizione è che i mezzi di trasporto vengano conseguentemente riorganizzati per permettere agli studenti di arrivare a scuola e poi di rientrare a casa. Non dobbiamo dimenticare che moltissimi studenti affrontano spostamenti che durano oltre un'ora. Anche per questo ritengo irrealistico pensare di allungare la settimana scolastica anche alla domenica mentre il sabato, per moltissimi istituti, è già giornata di lezione». Mario Rusconi (Associazione nazionale presidi del Lazio) stronca l'idea delle scuole aperte fino a sera: «Il 48% degli istituti superiori sono tecnici e professionali, alloggiati in periferia. Molti studenti vengono dalla provincia, l'enorme hinterland di Milano, Roma, Napoli. Come fai a chiedere a questi ragazzi di entrare alle 10.30, alle 11, e di uscire da scuola alle 5 del pomeriggio? Arriverebbero a casa all'ora di cena». Prevedibilmente sul piede di guerra pure i sindacati. La leader della Cisl scuola, Maddalena Gissi, parla di provocazione: «Non ci scandalizziamo: di proposte strane ne abbiamo sentite tante. Se qualcuno vuole fare delle proposte ci convochi, ne discutiamo al tavolo contrattuale, si individuino le risorse economiche e umane che mancano a tutt'oggi anche per le supplenze e i modelli organizzativi; poi discutiamo. Diversamente risulta l'ennesima provocazione che ha come unico effetto quello di demotivare chi l'attività didattica la sta svolgendo comunque e a qualunque costo per il bene dei ragazzi. È una provocazione per continuare a rimandare sulla scuola responsabilità che purtroppo non sono della scuola che lavora».