2025-09-08
«Dopo il Covid ho visto crescere molto i casi di Hiv»
L'infettivologa Chiara Valeriana
L’infettivologa Chiara Valeriani: «Oltre ai giovanissimi, sono colpite le persone tra i 45 e i 60 anni. Le case farmaceutiche preferiscono medicine che cronicizzano i virus a quelle che li debellano».«L’ultima arrivata è una ragazza di 24 anni. È incinta: stava male, ha fatto il test e ha scoperto l’Hiv. È venuta da sola distrutta. Il doppio “regalo” - il virus e la gravidanza - glielo ha fatto un polacco che ora è scappato. Chissà dov’è: è potenzialmente un “untore”. Con le prime terapie le abbiamo azzerato la viremia; il bimbo sembra che non sia infetto, ma lei non sa se tenerlo o meno perché teme di “odiarlo” quando nascerà. Alla psicologa che la segue dice piangendo: potrei fare del male al mio bimbo?».Chi racconta di bimbi ne ha due: la «teppa» tre anni che non sta mai fermo e il «genietto» di sette che legge in continuazione. Chiara Valeriani è medico e infettivologa per scelta e convinzione. È sposata con un medico. «Diversamente», dice, «credo che un altro non potrebbe capire e subire». La chiamano «la donna che sussurra all’Aids» perché è tra i pochissimi che di fronte al virus della «vergogna» ha un atteggiamento asettico. «Ma non verso i miei pazienti: loro sono tutti miei fratelli e sorelle. Non li giudico, mai. Se lo facessi non potrei curarli; questo virus è il virus della “colpa” che ti inocula uno stigma sociale, ma anche personale, che è forse peggiore del male stesso. Così vengono da me sapendo che non indagherò se non per quel minimo che serve a impostare una terapia e rieducarli a vivere con questo ospite cinico e terribile. C’è gente che mi porta le torte, qualcuno mi porta il miele che fa, sono piena di maglioni per l’inverno e sono regali costosissimi perché gran parte di questi pazienti ha poco o nulla». Chiara ha studiato ad Ancona, ha avuto una sorta di folgorazione accostandosi alla figura di Carlo Urbani: un eroe della medicina. È stato il medico marchigiano che si è battuto contro le malattie tropicali; è morto per aver scoperto la Sars. La riconobbe in un paziente ricoverato ad Hanoi. In tempo di Covid - anche quello un virus Sars - nessuno si è ricordato di lui. «E pensare», spiega Chiara, «che il suo piano anti-pandemico progettato nel 2003 era stato assunto come protocollo mondiale dall’Oms. Quando mi dissero di venire a Macerata a fare il dirigente medico nel reparto che era stato di Urbani mi sentii percorsa da un brivido. Ma la sua palazzina, quel reparto che era all’avanguardia nel mondo per le malattie infettive e tropicali, era stata destinata ad altro. Però qui è rimasta l’insopprimibile voglia di capire, di studiare, di curare». Lei è giovanissima. «Beh non esageriamo, certo sono più giovane di gran parte dei miei pazienti».Che dice? Ma davvero l’Hiv è cosa da anziani?«Da terza età direi di no, ma da persone assai mature sì. Capisco la sorpresa, ma ormai di questo virus non se ne parla più. E lui ci conta, su questo silenzio! Dal mio osservatorio le fasce di età più a rischio sono i giovanissimi, diciamo fino ai 25 anni, e i maturi, tra i 45 e i 60 anni. Senza distinzione tra uomini e donne. L’incidenza è in forte aumento. Mi fa sorridere che ai tempi del Covid c’era il contatore delle infezioni mentre sui dati dell’Hiv siamo fermi al 2023. Per quel che mi riguarda siamo su un caso al mese e l’incidenza è molto cresciuta dopo il Covid. Attualmente ho in cura più di cento pazienti che considerando un bacino di circa 35.000 persone sono troppi».Ma la proliferazione dell’Hiv è dovuta a questa sorta di ossessione sessuale? Gruppi online come «Mia moglie» di cui tanto si parla sembrano una società di scambisti…«Più che all’ossessione sessuale è dovuta alla mancanza d’informazione e alla deresponsabilizzazione. Certo allontanando la sessualità dall’affettività, in qualche modo incentivando la confusione sessuale senza farla precedere da una educazione, si fa un piacere al virus. Il caso degli scambisti è emblematico. Succede sempre così: dai, vieni che ci divertiamo, è tutto pulito, in fin dei conti non ti conosce né riconosce nessuno. E poi ti trovi l’inquilino indesiderato perché l’Hiv è totalmente democratico: non guarda in faccia nessuno. Il che non vuol dire essere bacchettoni. Basterebbe ricordarsi che esiste quella cosa che si chiama preservativo. E magari evitare di frequentare la prostituzione. Tra gli over 50 il contagio è in aumento perché vogliono sentirsi ancora sessualmente forti e desiderati o perché sono stanchi di una certa routine. Riguarda tutti: uomini e donne, con un rischio accentuato tra i maschi che si accoppiano con i trans».Le sono capitati casi «drammatici» di pazienti maturi?«Tanti, ma ogni caso è diverso. Uno che mi ha messo è in crisi è quello di una donna innamoratissima del marito. Hanno avuto un incidente stradale: lui muore, lei sta in coma e quando si risveglia apprende che è rimasta sola, ma in compagnia dell’Hiv».E invece tra i giovanissimi?«Beh il virus oggi ha un’amica carissima: la pillola del giorno dopo. Da quando c’è, le ragazzine non hanno più la loro unica preoccupazione che è quella di rimanere incinte e dunque non adottano nessuna protezione. I maschi non sanno più neppure come si usa un preservativo, se fanno sesso “liquido”, poiché tra maschi non c’è ansia da gestazione e c’è la massima libertà, poi magari passano dall’amico alla fidanzata con grande disinvoltura. Anche perché si è diffusa l’errata convinzione che l’Hiv sia curabile. Non è così. Ci sono terapie ottime, e molto costose, che hanno allungato l’aspettativa di vita di parecchi anni, ma il virus non si può eradicare. Posso arrivare a viremia zero, posso anche annullare la possibilità di trasmissione, siamo al punto di fare la donazione di organi tra sieropositivi, ma non porto via il virus. Che tra l’altro è furbo: sa benissimo dove nascondersi. Poi c’è l’aspetto psicologico. Ho un mio paziente, infettato dal convivente gay - ecco che torniamo alla promiscuità come alto fattore di rischio - che nonostante stia bene vive chiuso in casa, perché è ossessionato dall’Hiv. Che però alla fine il conto lo presenta: con i tumori, con l’approdo all’Aids, e posso garantire che si muore male, molto male. Prima l’Aids era la malattia dei tossicodipendenti e degli omosessuali: oggi l’86% dei casi deriva da rapporti, ma il 47,6% sono gli eterosessuali con una lieve prevalenza dei maschi. Siamo però fermi ai dati del 2023: l’incidenza cresce, ora siamo attorno a 4,2 infetti su 100.000 persone. Sono convinta che ci sia almeno una stessa quantità di persone che è infetta e non lo sa perché i sintomi sono a lunga gittata, perché si fanno pochi test. Al pronto soccorso non possiamo fare il test in anonimato. Forse bisognerebbe rimetterci mano». Si parla molto della cosiddetta Prep: la cura preventiva. Funziona?«Funziona: ha addirittura un 3% in più di garanzia statistica rispetto al preservativo, che però protegge da tutte le altre malattie a trasmissione sessuale tranne Hpv - il papilloma, che però si prende in mille altri modi - e la sifilide. Il “mal francese”, aveva pure un nome accattivante, è esploso: si cura, ma vi sono molte preoccupazioni per quanto riguarda lo svilupparsi dei batteri resistenti. Con la Prep che protegge solo contro l’Hiv, però, si subisce un bombardamento di medicine. A parer mio un farmaco come il Lenacapavir è un’arma a doppio taglio. Da una parte è vero che con questa iniezione, di recente approvata anche dalla Fda americana, da ripetersi ogni sei mesi, si ha una protezione pressoché totale dal contagio, ma intanto costa molto e poi voglio vedere, a parte i professionisti del sesso, chi viene in ospedale, ad esempio lo stimato avvocato, a farsi la puntura... Sarei però in contraddizione con me stessa se da virologa non dicessi che la prima cura è la prevenzione. Che va basata però sull’informazione. L’ultima campagna sulle malattie a trasmissione sessuale risale a quasi trenta anni fa. Nelle scuole s’invoca l’educazione sessuale, io mi occuperei di più di informare su come non ammalarsi».Perché fare l’infettivologa ?«Perché nell’infinitamente piccolo ci sta l’universo e poi perché per fare l’infettivologo bene devi stare nel pubblico, devi dipendere solo dal tuo paziente. Infine perché a me affascinano le storie complicate».Dal suo punto di vista come ha vissuto il periodo Covid?«Male, ma non per il lavoro, ma perché si è parlato solo di quello. Ci sono medici che hanno fatto carriera col Covid e poi è stato raccontato che il Covid è scomparso con le vaccinazioni. Non è vero: i reparti sono pieni di pazienti con insufficienze respiratorie anche gravi. Parlando solo di Covid ci si è dimenticati delle vere prossime epidemie e mi chiedo se siamo preparati ad affrontarle. I virus e i superbatteri saranno la prima causa di morte tra non molti anni. Sul resto la medicina sta facendo passi enormi. Nel mio settore invece ci sono continui ostacoli. Tornando sull’Hiv devo denunciare che il primo pericolo sono le, chiamiamole così, “recidive”. Sono i pazienti che curati stanno abbastanza bene, questo succede soprattutto fra i transessuali, e allora interrompono la terapia. Quando il virus riprende vigore, diventa enormemente più aggressivo. Lo stesso vale per i batteri. Stiamo allevando dei mostri; col ricorso sistematico e non mirato agli antibiotici li alleniamo a resistere. Così come abbiamo una quantità enorme di virus che stiamo trascurando. Invece di studiarli li ignoriamo e spesso le industrie preferiscono applicarsi alla ricerca di farmaci che cronicizzano, così il paziente ne consuma molti - e lo Stato, nel caso dell’Italia, paga - piuttosto che a medicine che debellano o prevengono. Ecco perché l’infettivologo, e il virologo, devono operare e fare ricerca nel pubblico. E devono forse anche smettere di fare i protagonisti. Perché io purtroppo tutti i giorni il protagonista lo incontro in corsia: è il virus!».
Daniel Ortega (Getty Images)
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