2024-11-04
Carisma e... patatine. Così Donald contende il voto operaio ai dem
Donald Trump frigge patatine al McDonald’s (Getty Images)
Post attentato, pugno alzato e leadership: «Per spararmi ancora dovrebbero passare attraverso i giornalisti: poco male».Se la campagna elettorale americana di quest’anno dovesse essere riassunta in immagini, probabilmente le più iconiche sarebbero due: Donald Trump che si rialza dopo essere stato ferito a Butler e sempre Donald Trump che frigge patatine al McDonald’s. In queste due immagini, così diverse e così potenti, c’è, se vogliamo, il maggiore impatto visivo ed emotivo dell’intera campagna che si sta avviando a conclusione. Esprimono infatti in modo immediato i due punti essenziali attorno a cui il dibattito elettorale è venuto dipanandosi in questi mesi: la questione della leadership e quella della working class. E non è forse un caso che entrambe le immagini abbiano come protagonista Trump.Cominciamo da Butler. Una certa vulgata ha spesso cercato di sostenere che, in fin dei conti, quell’attentato abbia rappresentato un evento minore in questa campagna elettorale (e ieri, in un comizio, Trump ha detto a proposito dei giornalisti: «Per prendermi, qualcuno dovrebbe sparare attraverso le fake news e questo non mi dà tanto fastidio. Non mi dà fastidio», ndr). Ma attenzione: le cose non stanno così. È vero che, a livello mediatico, si tratta di un evento che è quasi subito sparito dai radar. Ma, per quanto riguarda l’impatto psicologico-politico sugli elettori, è tutt’altra storia. Il punto vero da comprendere è che la forza politica di Butler non risiede nel fatto in sé che Trump abbia subito un attentato: anche Gerald Ford ne subì due nel 1975 e perse le elezioni l’anno dopo. No, la forza politica di Butler sta tutta nell’immagine di Trump che, rialzatosi pochi istanti dopo aver subito il colpo d’arma da fuoco, alza il pugno in aria e, con il volto sanguinante, esclama: «Fight! Fight! Fight!».È lì, in quel momento drammatico, che l’ex presidente, guardando la morte in faccia e sfidando il rischio di finire impallinato da un eventuale secondo cecchino, ha dato indiscutibile prova di leadership. La leadership, d’altronde, non ha a che fare con l’idea politica, con l’essere o meno d’accordo sulle ricette che si vogliono adottare. È un qualcosa che trascende tutto questo. E che, potenzialmente, è in grado di unire al di là delle più radicali divisioni ideologiche. In altre parole, è tutto da dimostrare che l’impatto mobilitante di Butler si arresterà ai soli elettori repubblicani. Un aspetto del resto poco sottolineato di questa campagna è che essa non riguarda soltanto i temi concreti e specifici dell’inflazione e dell’immigrazione clandestina. Riguarda anche, se non soprattutto, la leadership dei candidati. Sia sul piano interno che su quello internazionale.Il presidente degli Stati Uniti è d’altronde anche comandante in capo delle forze armate. E, diciamocelo, non è che, in quasi quattro anni, Joe Biden si sia distinto per una leadership particolarmente efficace. Al di là dei suoi problemi psicofisici, gli Stati Uniti sono infatti entrati in una problematica fase di crisi della deterrenza nei confronti di Russia, Iran e Cina. Ed ecco dunque che l’attentato di Butler va considerato sotto due punti di vista. Non sono solo gli americani ad aver visto un candidato risoluto: lo hanno visto anche Mosca, Teheran e Pechino. Un candidato, cioè, potenzialmente disposto a tutto. Imprevedibile. Ed ecco il punto. Non è forse proprio l’imprevedibilità a essere uno dei fondamenti principali di un’efficace strategia di deterrenza? Nulla di più lontano, va detto, da Kamala Harris. Non solo la candidata dem, da vicepresidente, è stata corresponsabile della crisi della deterrenza americana di questi anni. Ma, ricordiamolo, la diretta interessata ha anche evitato interviste per tutto il primo mese di campagna e, anche quando ha deciso di rilasciarle, lo ha fatto in forma preregistrata. Non esattamente un esempio di leadership salda e risoluta.E veniamo al McDonald’s. Quell’immagine è qualcosa di più di un’operazione simpatia o di un modo per contestare il fatto che la Harris ha raccontato di aver lavorato da giovane nella nota catena di fast food. No, le patatine al McDonald’s sono un appello a quella working class attorno a cui Trump ha costruito gran parte della sua strategia elettorale. Non a caso, a luglio, ha scelto JD Vance come suo vice. Vance è infatti una figura potenzialmente attrattiva per i colletti blu della Rust Belt. Ed è proprio a loro che si rivolge il cuore pulsante del messaggio elettorale del tycoon. Trump, in altre parole, punta a riconquistare Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, facendo leva sulla storica debolezza della Harris nel voto operaio. È anche per compensare questa difficoltà, che la vicepresidente sta cercando di presidiare gli hinterland benestanti delle grandi città di Georgia, North Carolina, Virginia e Pennsylvania: aree un tempo repubblicane, rispetto a cui Trump, dal 2020, si trova maggiormente in difficoltà. Certo, l’ex presidente avrebbe potuto scegliere un vice più «spendibile» in queste zone. Invece, puntando su Vance, ha confermato di voler contendere alla Harris il voto operaio storicamente dem, con l’obiettivo di arrivare alla Casa Bianca passando principalmente per la Rust Belt. La scommessa è rischiosa. Ma ad alto rendimento. Ed è qui che acquisisce senso politico la foto delle patatine fritte. Butler e il McDonald’s sembrano due immagini lontane, finanche antitetiche. Una drammatica, l’altra scherzosa. Ma sono più legate di quanto si possa credere. È lì che si snodano i due principali temi della campagna.
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