2022-11-15
Nata dalla fede e mescolata alla vita: viaggio nella teologia di don Giussani
Don Luigi Giussani (Getty Images)
Stasera a Milano la presentazione de «Il cristianesimo come avvenimento», raccolta di saggi sull’eredità del fondatore di Cl. Pubblichiamo l’introduzione dedicata alla sua attività intellettuale figlia dell’apostolato.Nell’anno del centenario della nascita di don Luigi Giussani e un mese dopo l’udienza di Cl con papa Francesco, sarà presentato stasera alle 18 a Milano Il cristianesimo come avvenimento. Saggi sul pensiero teologico di Luigi Giussani, a cura di Carmine Di Martino. Appuntamento in via dei Cavalieri del Santo Sepolcro, 3. Con Massimo Epis, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, interverranno Alberto Cozzi, Franco Manzi, Ezio Prato e Sergio Ubbiali (docenti della medesima facoltà). L’incontro sarà visibile sul canale Youtube dell’Associazione italiana centri culturali. Presente il curatore, ordinario di filosofia alla Statale: pubblichiamo stralci dalla sua introduzione al libro, edito da Bur Rizzoli (456 pagine, 20 euro). Il testo ospita saggi che sistematizzano il pensiero teologico del fondatore di Cl (1922-2005). Tra gli altri, interventi del cardinale Angelo Scola, don Stefano Alberto e del professor Adriano Dell’Asta. Il brano proposto esplora la peculiarità del carisma del servo di Dio don Giussani, capace di forgiare un «pensiero sorgivo», come lo definisce Scola, tanto nel radicamento al Magistero quanto e soprattutto nell’immersione nella vita di migliaia di persone comuni, a cominciare dai primi studenti incontrati.[...] Giussani si getta a capofitto nell’avventura educativa. Ma non smette di perseguire una elaborazione coerente del suo pensiero. Anzi, proprio dall’immersione nel magma incandescente di una vita in perenne rapporto con centinaia e centinaia di giovani, e poi di adulti, fiorirà la sua originale produzione, provvista di una caratteristica sinteticità e potenza espressiva, in cui si coniugano felicemente rigore concettuale, essenzialità e persuasività.A Giussani è capitato di incarnare quello che uno dei suoi maestri indicava come il modo più autentico di fare teologia. Carlo Colombo - noto come il teologo di Paolo VI al Concilio - aveva infatti messo a tema, nella sua riflessione, il metodo teologico, assumendo come punto di partenza il contenuto proprio del messaggio cristiano: se la rivelazione divina è un fatto storico, la teologia non può che nascere da un’esperienza di fede e dispiegarsi in funzione di essa. «La teologia non è una serie di verità astratte logicamente collegate tra loro, a partire da alcuni postulati rivelati - specie di geometria del mondo soprannaturale -, ma un pensiero vivo, risultato dell’incontro tra la fede dei cristiani e della Chiesa e la cultura del proprio tempo. La teologia è veramente la fede in cerca di intelligenza: «fides quaerens intellectum». Correlativamente, «la fede che cerca di penetrare il proprio contenuto non è una fede astratta; è la vita di fede di un’anima viva o addirittura di una comunità vivente».Una simile teologia non potrà che svilupparsi anche come una strada alla fede e alla vita cristiana. Nel solco di questa impostazione, come osserva monsignor Massimo Camisasca, «Giussani farà teologia parlando e costruendo la Chiesa nella scuola e nell’università». La sua prospettiva teologica si plasmerà nell’impatto con le situazioni, le aspirazioni, i problemi dei suoi interlocutori, rispondendo alle sollecitazioni provenienti dal contesto sociale di cui sarà profondamente partecipe. Quando, nell’ambito di una lunga e strutturata intervista, Robi Ronza gli domanda se, avendo abbandonato la Facoltà teologica di Venegono per dare vita a ciò che sarebbe poi divenuto il movimento di Comunione e Liberazione, si considerasse un ex teologo oppure ritenesse, proprio facendo quello che faceva, di fare anche e al tempo stesso teologia, Giussani risponde nei termini appena richiamati: «Fare teologia ed essere impegnati in un’attività immediata di apostolato non mi sembrano affatto cose né separate né incompatibili tra loro. Anzi, non riesco a comprendere come si possa fare della teologia se non come autocoscienza sistematica e critica di un’esperienza di fede in atto, e perciò di un impegno col mistero di Cristo e della Chiesa, quindi di una passione per la salvezza del mondo: come suprema espressione insomma di carità verso ogni uomo». Va da sé, come egli sottolinea poco oltre, che la decurtazione del tempo disponibile per meditare e per studiare costituisca un sacrificio e costringa a modalità diverse e intensive di gestazione e di espressione del pensiero, senza tuttavia che ciò comporti un impedimento. Giussani, del resto, non è un unicum. La storia occidentale è fitta di esempi di filosofi e teologi - come di letterati e poeti - che hanno fornito un contributo essenziale al pensiero pur partecipando in prima linea a una vita pubblica esigente o fronteggiando situazioni precarie di sopravvivenza. Ci si potrebbe chiedere: chissà che cosa sarebbe stato o come si sarebbe sviluppato il pensiero di Giussani, se egli avesse avuto il tempo di dedicarsi esclusivamente allo studio, alla ricerca, alla scrittura, come chi percorre la via della carriera accademica? Si può, tuttavia, e in questo caso si deve, anche vedere la cosa al contrario: l’originalità della riflessione di Giussani è emersa non nonostante, ma proprio grazie all’immersione nell’impegno educativo. Non era certo preventivabile, né se ne può fare una regola: occorre pur sempre, infatti, presupporre il dono di una genialità (giacché, manzonianamente, chi non l’ha ricevuto non se lo può dare da sé, nemmeno con la più volonterosa applicazione) e di una formazione di notevole livello, nonché un determinato temperamento e una personale esperienza di fede, e infine considerare l’imprevedibilità delle conseguenze di ogni urto con le circostanze. Non era detto che la svolta biografica di Giussani producesse una peculiare intensificazione invece che una remissione o un ridimensionamento del lavoro del pensiero. Possiamo solo dire: è ciò che è accaduto.È questo aspetto - rifuggendo la tentazione di assumerlo come una legge - che vale la pena mettere in luce: l’impegno educativo accelera e in un certo senso provoca in Giussani un processo di chiarificazione, di selezione e di coniazione concettuale. Nell’incontro con i suoi giovani interlocutori (i figli della borghesia milanese, che si trovano già esistenzialmente decentrati da una tradizione cristiana passivamente assorbita), il suo pensiero si incendia e si essenzializza, quello che si annuncia anzitutto come un «metodo» diventa rielaborazione categoriale, l’istanza educativa si tramuta in istanza speculativa, in modo complementare al movimento contrario (dal secondo termine al primo). Si precisano e si forgiano così le categorie giussaniane, mediante cui cristianesimo e condizione umana, fede e senso religioso vengono ripensati, sul filo dell’insegnamento ricevuto e oltre esso. E sono categorie che scuotono, bucano le pareti dell’indifferenza, hanno successo pedagogico e spalancano il pensiero, mostrando simultaneamente una portata educativa e teologico-filosofica (la locuzione «il cristianesimo come esperienza», per esempio, si diffonde rapidamente, si pone subito come uno «spartiacque» negli ambienti milanesi e non solo, suscitando grandi entusiasmi e anche resistenze).[…] Se si eccettua il periodo, nella seconda metà degli anni Sessanta, in cui egli rimette vigorosamente mano alle sue ricerche sul protestantesimo americano e sforna alcune pubblicazioni scientifiche al riguardo, è questa la condizione normale in cui si produce il pensiero giussaniano. Essa ha, per così dire, l’effetto di radicalizzare una propensione di Giussani - che chiamerei, in senso lato, fenomenologica -, appartenente al suo assetto esistenziale e speculativo, che si riassume nell’urgenza di «partire dall’esperienza», di contro a una impostazione intellettualistica del sapere e della cultura, e di promuovere l’esperienza, come continua verifica dello spessore vitale delle verità ereditate e scoperte. […]Nella riflessione di Giussani non trovano posto l’erudizione fine a sé stessa, il commento delle posizioni altrui, gli indugi retorici: egli va dritto al punto, la sua ricerca filosofica e teologica si propone come intelligenza dell’esperienza, «entusiasmo critico della fede», ed è attraversata dall’ansia di rendere ragione di ciò che si vive e delle verità ricevute, di cogliere i nessi fra le cose non in base a una logica artificiosa, ma a quella strutturalmente all’opera nell’esperienza stessa.Di qui quella forma sintetica, quella densità teoretica e quella forza espressiva che sono proprie del suo pensiero e che avvincono il lettore - dapprima anzitutto ascoltatore -, portandolo con rapidi passi al cuore delle «cose stesse», nelle profondità delle realtà considerate. L’esigenza di una comunicazione che vada a segno, che introduca a una comprensione effettiva dell’esistenza e del suo destino, che aiuti a far luce sulla vita e sulla storia, si è tradotta in una peculiare e meticolosa ricerca linguistico-concettuale, nella messa a punto di una argomentazione essenziale, cogente, aderente al tessuto dell’essere, che non lasci terreno alle astrattezze e alla divagazione.