
Per l'ex dem Antonello Soro sui documenti devono restare «genitore 1 e 2». Altrimenti gli omosessuali verrebbero spinti a dichiarare il falso. Ma il ministero dell'Interno non ci sta: «Noi andremo avanti». Dire mamma e papà viola la privacy. Questa non l'avevamo ancora sentita. Ci siamo arrivati. Il parere ufficiale del Garante, infatti, non lascia spazio a dubbi: non si può dire che la mamma è mamma e non si può dire che il papà è papà. Chi lo fa rivela dati personali sensibili e riservati, un po' come entrare di soppiatto nell'archivio della Nasa o nella cartella clinica del proprio capufficio. Chi l'avrebbe mai detto? Un bimbo che chiama la sua mamma, per dire, è un pericolo pubblico. Un ragazzo che telefona al papà mette a rischio il diritto alla riservatezza. Anche Nilla Pizzi (Mamma) probabilmente era una pericolosa hacker e Gianni Morandi (Sei forte papà) una specie di Anonymus ante litteram. Per non dire di Pippo Franco, che con «Mi scappa la pipì papà» forse ha messo a repentaglio l'intero sistema di sicurezza nazionale. Roba da servizi, infatti.Ora qualcuno di voi mi dirà: di stupidaggini, al proposito, ne abbiamo già sentite tante, ma che c'entra l'Authority per la privacy? Vi debbo fare subito una confidenza: non l'ho capito. Proprio non ci sono riuscito. Mi sono letto il parere, scritto come al solito in cirillo-burocratico, mi sono studiato le carte, ho ascoltato la replica del medesimo Garante, ma resta il dubbio che avevo all'inizio: che c'entra la privacy? Con mamma e papà? E se si vieta di dire mamma e papà per proteggere la privacy, non è che poi per proteggere l'infanzia ci obbligheranno a dire che i bambini nascono sotto il cavolo? E non è che per proteggere la libertà religiosa ci chiederanno di modificare la Bibbia? Già me la immagino la nuova Genesi: maschio e maschio Iddio li creò…Proviamo, nel frattempo, a fare un po' di chiarezza. La vicenda comincia a settembre quando il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, dà disposizione al Viminale di modificare l'intera modulistica nazionale. Basta con l'assurda pagliacciata del «genitore 1» e «genitore 2», torniamo al classico «mamma» e «papà». Evviva evviva, finalmente, suonate le fanfare, era ora. Però è lo stesso ministero a chiedere (atto dovuto) il parere all'Authority per la privacy. La quale, per l'appunto, ci medita un po' su e nei giorni scorsi esprime il suo autorevole parere: pollice verso. Questo cambiamento non s'ha da fare. Sulla carta d'identità, dice il Garante, devono rimanere le diciture «genitore 1» e «genitore 2». Il motivo, se ho capito bene, ma qui denuncio i miei limiti, è che se a chiedere il documento è il figlio di una coppia omosessuale, cioè uno che ha due papà o due mamme, nella compilazione si rischia di scrivere il falso. Cioè si rischia di scrivere un nome maschile nella riga della mamma o, viceversa, un nome femminile nella riga del papà.Ora: io ho cercato di semplificare un po' quello che il Garante definisce «il principio di esattezza dei dati trattati», perché altrimenti non si capisce una mazza, ma il concetto è questo. Ed è inutile aggiungere che questo concetto, per quanto ci riguarda, è convincente come uno sguardo di Danilo Toninelli. Intanto, infatti, si dà per scontato che esistano figli di coppie omosessuali, quando non solo il fatto non è dato in natura, ma nemmeno nell'ordinamento nazionale: la legge italiana, infatti, non prevede né l'utero in affitto né l'adozione per i gay. È vero che ci sono state fughe in avanti da parte di numerosi Comuni, che hanno iscritto all'anagrafe figli con due mamme o con due papà, ma prima che tutto ciò venga riconosciuto in una decisione di un organismo nazionale bisognerebbe, come minimo, aspettare l'intervento del Parlamento, non crede signor Garante? Altrimenti che cosa garantisce?In secondo luogo il problema che si porrebbe, in questo caso, sarebbe per l'appunto quello delle dichiarazioni non corrispondenti al vero, cioè dell'«esattezza dei dati trattati». Tema importante, si capisce. Ma che non tocca la privacy. Perché se ne occupa il Garante della privacy? Per altro, ultima obiezione, anche con «genitore 1» e «genitore 2» la riservatezza dei dati delle coppie gay è messa a rischio tanto quanto con «mamma» e «papà». Infatti se accanto alla casella «genitore 1» metto un nome maschile (che ne so? Giuseppe) e accanto alla casella «genitore 2» metto un altro nome maschile (che ne so? Genoveffo) è evidente che siamo di fronte a una coppia omosessuale. Cioè, la violazione del segreto è uguale a quella che ci sarebbe con le diciture «mamma» e «papà». Non un filo di più, non un filo di meno. E allora perché l'Authority fa questo intervento a piedi uniti in nome della riservatezza dei dati?È chiaro che si tratta, ancora una volta, di una battaglia tutta ideologica. Il garante dell'Authority, non a caso, è Antonello Soro, ex deputato del Pd, per cinque legislature a Montecitorio, per due anni anche capogruppo dei democratici alla Camera. E non a caso in suo soccorso è subito arrivato Luigi Manconi, già senatore di Pd e Verdi, e oggi direttore dell'Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Ovviamente il ministro Salvini non s'è fatto spaventare: «Noi andremo avanti», ha detto. Ma avanti dove? Di questo passo c'è il rischio che nelle prossime settimane ci impediscano di scrivere persino la lettera a Babbo Natale perché chiamarlo «Babbo» potrebbe configurarsi come gravissima violazione della privacy. Preparate i bambini ad adattarsi al cambiamento: Genitore 1 Natale, sotto l'albero vorrei un Paese con qualche authority in meno. E magari un po' di buon senso in più. O il buon senso, in questo Paese, è anch'esso un dato da tenere rigorosamente riservato?
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





