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2020-05-27
Dimissioni per finta ma l’Anm va in pezzi. La corrente Mi lascia il comitato direttivo
Ansa
Le ultime parole famose. Così parlava sabato scorso il presidente (sedicente) dimissionario dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz: «Non si può pensare che noi siamo rimasti o vogliamo rimanere in sella ed esporci ad attacchi ingiustificati. Tutti sanno che l'emergenza ci ha costretti a un lavoro difficilissimo. Se qualcuno pensa che la proroga nella quale ci siamo trovati nostro malgrado serva per proteggere una posizione o mantenere l'assetto dei rapporti politici, è un cosa che non si può tollerare». Quarantott'ore dopo, è tutto cancellato. Tout est pardonné, direbbero i francesi: è tutto perdonato.
Il comitato direttivo centrale (Cdc) e la Giunta esecutiva centrale (Gec) dell'Anm sono ancora qui, come nella canzone di Vasco Rossi. Tecnicamente si chiama «prorogatio», ed è una facoltà che sta nascosta nelle pieghe dello Statuto dell'associazione a cui è iscritto quasi il novanta per cento dei togati italiani. Dunque, Cdc e Gec restano in piedi e operativi. Chi si tira fuori dal parlamentino, invece, è Magistratura indipendente che in un comunicato di fuoco ha attaccato la gestione dell'Anm e posto le basi per una rottura senza precedenti nel pur monolitico blocco della corporazione.
«Un fiume impetuoso di fango si propaga rapidamente rompendo gli argini, ma i tre gruppi che decidono le sorti associative (Upc - Area - AI) trovano dopo nemmeno due giorni la forza per ricompattarsi pur di non annegare, lanciandosi reciprocamente giubbotti gonfiabili», si legge nella nota firmata dagli ex componenti del Cdc per Magistratura indipendente (Stefano Buccini, Nunzia Ciaravolo, Edoardo Cilenti, Giancarlo Dominijanni, Paola D'Ovidio, Liana Esposito, Ugo Scavuzzo) e controfirmata dal Segretario generale Paola D'Ovidio e dal Presidente, Mariagrazia Arena.
L'Anm del presidente Poniz (Area) e del segretario Giuliano Caputo (Unicost), le cui chat con Luca Palamara sono state svelate dal nostro giornale nei giorni scorsi, aveva anche provato a coinvolgere Mi nella gestione transitoria fino alle prossime elezioni, fissate a ottobre dopo il rinvio di marzo dovuto al coronavirus. Ma la risposta è stata un sonoro «no, grazie». E il motivo si legge proprio nella nota della corrente: «Bocciate le nostre proposte (ritornare subito alle urne, ndr), si voterà dunque tra altri 5 mesi, e per noi non ha alcun senso far parte di una ristretta cerchia di persone - di cui alcune direttamente coinvolte dalle conversazioni pubblicate - che pervicacemente si auto-assolvono ed auto-alimentano attaccate a un respiratore artificiale, confidando che la bufera passi e che i magistrati ne perdano il ricordo». Finora, a lasciare è stato solamente il pm milanese Angelo Renna, anche lui sorpreso - come raccontato dalla Verità - a messaggiare con il pm finito sott'inchiesta a Perugia per una presunta corruzione. «Unicamente un componente di UpC si è dimesso dalla Gec e dal Cdc (è bene ricordarlo, non spontaneamente, bensì richiesto da Area) per aver pronunciato una frase offensiva nei confronti di una collega componente dello stesso Cdc, di talché il tema dei concorsi pilotati deve, all'evidenza, essere stato giudicato da costoro un peccato “veniale" di cui non ci si può dolere e non si deve rispondere».
La motivazione addotta dal presidente Poniz per la retromarcia è dovuta alla necessità di «rappresentare responsabilmente i magistrati che in quelle chat non ci sono né hanno mai aderito a certe pratiche...», ma per Mi non è chiaramente sufficiente. Tant'è che, nel durissimo comunicato di dimissioni, gli ormai ex componenti del Consiglio direttivo centrale battono forte sul mancato «dibattito su un utilizzo politico della Anm, che purtroppo emerge in una parte significativa delle conversazioni da ultimo pubblicate», a cominciare proprio da quella riguardante l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, scovata dal nostro giornale. «Non una parola di censura è stata spesa al riguardo nel Cdc. A noi corre l'obbligo di ribadire che ci siamo sempre opposti ad un utilizzo politico della Anm, posizione espressa innumerevoli volte in seno alla Anm e non solo […] La nostra concezione dell'essere magistrati ed il senso di responsabilità verso tutti i colleghi ci impongono una netta presa di distanza da tali irresponsabili comportamenti».
Il documento condanna «questo insopportabile moralismo di facciata» e ribadisce, una volta di più, «il bisogno di allontanarci, consci del fatto che, accettando la capziosa chiamata per comporre un preteso “governo dei responsabili" della Anm, daremmo l'immagine distorta del “siete tutti uguali, sempre e comunque"». Che cosa faranno ora le toghe di Magistratura indipendente? Opposizione extra parlamentare, potremmo dire. Una opposizione «fuori dal Cdc», si legge ancora. «Fiduciosi che il momento del voto arriverà e non ci troverà impreparati sui contenuti. Del resto non è poi così difficile: è sufficiente occuparsi, come sempre, della quotidianità del nostro lavoro». E un po' meno di quelle nomine e di quei favori immortalati dalle intercettazioni ottenute col trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara. Una rete in cui sono finiti tutti, compresi i parlamentari. E proprio il deputato Pd Cosimo Ferri ieri si è visto bocciare dalla Corte Costituzionale, in quanto «inammissibile», il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato per essere stato «ascoltato» dagli investigatori durante i suoi incontri col pm sott'inchiesta, in presunta violazione delle sue prerogative parlamentari.
Lo scandalo delle chat anti Salvini arriva fino al Parlamento europeo
Prima silenziato, poi raccontato tutt'al più in tono cronachistico neutro, lo scoop della Verità sulle chat fra magistrati in cui veniva insultato Matteo Salvini arriva fino in Europa. Dove, al netto delle ideologie, forse qualcuno troverà qualcosa da ridire nel fatto che un magistrato spiegasse ai colleghi che, anche se Salvini «ha ragione», come sostenuto dal procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma, tuttavia «ora va attaccato», come chiosava invece Luca Palamara.
L'iniziativa parte da alcuni eurodeputati di Id, cioè il gruppo Identità e democrazia, di cui fanno parte il Rassemblement National di Marine Le Pen, la Lega, l'Fpö austriaco e altri movimenti. Nicolas Bay, vicepresidente del gruppo, Jean-Paul Garraud, magistrato, e Annalisa Tardino, coordinatrice Libe per il gruppo Id, hanno infatti inviato una lettera a Juan Fernando López Aguilar, presidente della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, per sollevare la questione della giustizia politicizzata italiana anche di fronte alle istituzioni europee.
«L'indipendenza e l'imparzialità della magistratura all'interno di uno Stato membro Ue sono a rischio», riassume una nota della delegazione della Lega al Parlamento europeo. Che prosegue: «Con una lettera a Juan Fernando López Aguilar, chiediamo un dibattito in Ue sul caso procure e sulle strumentalizzazioni della giustizia Italia, una grave minaccia per lo Stato di diritto. Le rivelazioni del quotidiano La Verità hanno svelato preoccupanti manipolazioni di alti rappresentanti della giustizia italiana con l'obiettivo di danneggiare Matteo Salvini. Le dichiarazioni dei magistrati incidono gravemente sul principio della separazione dei poteri, nonché sul diritto di ciascun cittadino ad affrontare un processo equo. Sono a rischio i diritti fondamentali di un esponente politico che ha assunto decisioni che, per ammissione degli stessi magistrati, erano perfettamente legali. Di fronte a questa grave strumentalizzazione del sistema giudiziario, una palese violazione dello Stato di diritto in uno Stato membro, l'Europa non può restare indifferente».
Bay, esponente del Rassemblement National, ha anche postato sul suo profilo Twitter un suo intervento alla stessa Commissione per le libertà civili dell'Europarlamento in cui, nell'ambito di una discussione su presunte violazioni dei diritti in Polonia, ha invitato l'Ue a interessarsi piuttosto di ciò che accade in Francia o in Italia.
Riguardo il nostro Paese, Bay ha detto: «Si potrebbe citare il caso del sistema giudiziario italiano, in cui questo weekend abbiamo appreso che due magistrati si scambiavano messaggi dicendo che Salvini ha ragione sulla questione migratoria ma che bisognava trovare un modo giuridico di condannarlo. È lì che abbiamo degli attacchi allo Stato di diritto. Non vorrei che si attaccassero sempre Polonia e Ungheria solamente perché sono dei Paesi che hanno degli orientamenti politici, convalidati dagli elettori al momento delle elezioni, che non piacciono alle istituzioni europee».
Per le stesse istituzioni europee chiamate in causa dall'eurodeputato francese si tratta sicuramente di un'ottima occasione per dimostrare che in questa Europa non tutti i mezzi sono leciti quando c'è da combattere i sovranisti. Oppure di dimostrare il contrario.
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Riduci
Dopo le rinunce annunciate e mai formalizzate dei dirigenti dell'associazione, la componente guidata da Mariagrazia Arena se ne va.Una lettera di alcuni eurodeputati sovranisti solleva il caso anche a Bruxelles.Lo speciale contiene due articoliLe ultime parole famose. Così parlava sabato scorso il presidente (sedicente) dimissionario dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz: «Non si può pensare che noi siamo rimasti o vogliamo rimanere in sella ed esporci ad attacchi ingiustificati. Tutti sanno che l'emergenza ci ha costretti a un lavoro difficilissimo. Se qualcuno pensa che la proroga nella quale ci siamo trovati nostro malgrado serva per proteggere una posizione o mantenere l'assetto dei rapporti politici, è un cosa che non si può tollerare». Quarantott'ore dopo, è tutto cancellato. Tout est pardonné, direbbero i francesi: è tutto perdonato. Il comitato direttivo centrale (Cdc) e la Giunta esecutiva centrale (Gec) dell'Anm sono ancora qui, come nella canzone di Vasco Rossi. Tecnicamente si chiama «prorogatio», ed è una facoltà che sta nascosta nelle pieghe dello Statuto dell'associazione a cui è iscritto quasi il novanta per cento dei togati italiani. Dunque, Cdc e Gec restano in piedi e operativi. Chi si tira fuori dal parlamentino, invece, è Magistratura indipendente che in un comunicato di fuoco ha attaccato la gestione dell'Anm e posto le basi per una rottura senza precedenti nel pur monolitico blocco della corporazione.«Un fiume impetuoso di fango si propaga rapidamente rompendo gli argini, ma i tre gruppi che decidono le sorti associative (Upc - Area - AI) trovano dopo nemmeno due giorni la forza per ricompattarsi pur di non annegare, lanciandosi reciprocamente giubbotti gonfiabili», si legge nella nota firmata dagli ex componenti del Cdc per Magistratura indipendente (Stefano Buccini, Nunzia Ciaravolo, Edoardo Cilenti, Giancarlo Dominijanni, Paola D'Ovidio, Liana Esposito, Ugo Scavuzzo) e controfirmata dal Segretario generale Paola D'Ovidio e dal Presidente, Mariagrazia Arena.L'Anm del presidente Poniz (Area) e del segretario Giuliano Caputo (Unicost), le cui chat con Luca Palamara sono state svelate dal nostro giornale nei giorni scorsi, aveva anche provato a coinvolgere Mi nella gestione transitoria fino alle prossime elezioni, fissate a ottobre dopo il rinvio di marzo dovuto al coronavirus. Ma la risposta è stata un sonoro «no, grazie». E il motivo si legge proprio nella nota della corrente: «Bocciate le nostre proposte (ritornare subito alle urne, ndr), si voterà dunque tra altri 5 mesi, e per noi non ha alcun senso far parte di una ristretta cerchia di persone - di cui alcune direttamente coinvolte dalle conversazioni pubblicate - che pervicacemente si auto-assolvono ed auto-alimentano attaccate a un respiratore artificiale, confidando che la bufera passi e che i magistrati ne perdano il ricordo». Finora, a lasciare è stato solamente il pm milanese Angelo Renna, anche lui sorpreso - come raccontato dalla Verità - a messaggiare con il pm finito sott'inchiesta a Perugia per una presunta corruzione. «Unicamente un componente di UpC si è dimesso dalla Gec e dal Cdc (è bene ricordarlo, non spontaneamente, bensì richiesto da Area) per aver pronunciato una frase offensiva nei confronti di una collega componente dello stesso Cdc, di talché il tema dei concorsi pilotati deve, all'evidenza, essere stato giudicato da costoro un peccato “veniale" di cui non ci si può dolere e non si deve rispondere».La motivazione addotta dal presidente Poniz per la retromarcia è dovuta alla necessità di «rappresentare responsabilmente i magistrati che in quelle chat non ci sono né hanno mai aderito a certe pratiche...», ma per Mi non è chiaramente sufficiente. Tant'è che, nel durissimo comunicato di dimissioni, gli ormai ex componenti del Consiglio direttivo centrale battono forte sul mancato «dibattito su un utilizzo politico della Anm, che purtroppo emerge in una parte significativa delle conversazioni da ultimo pubblicate», a cominciare proprio da quella riguardante l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, scovata dal nostro giornale. «Non una parola di censura è stata spesa al riguardo nel Cdc. A noi corre l'obbligo di ribadire che ci siamo sempre opposti ad un utilizzo politico della Anm, posizione espressa innumerevoli volte in seno alla Anm e non solo […] La nostra concezione dell'essere magistrati ed il senso di responsabilità verso tutti i colleghi ci impongono una netta presa di distanza da tali irresponsabili comportamenti».Il documento condanna «questo insopportabile moralismo di facciata» e ribadisce, una volta di più, «il bisogno di allontanarci, consci del fatto che, accettando la capziosa chiamata per comporre un preteso “governo dei responsabili" della Anm, daremmo l'immagine distorta del “siete tutti uguali, sempre e comunque"». Che cosa faranno ora le toghe di Magistratura indipendente? Opposizione extra parlamentare, potremmo dire. Una opposizione «fuori dal Cdc», si legge ancora. «Fiduciosi che il momento del voto arriverà e non ci troverà impreparati sui contenuti. Del resto non è poi così difficile: è sufficiente occuparsi, come sempre, della quotidianità del nostro lavoro». E un po' meno di quelle nomine e di quei favori immortalati dalle intercettazioni ottenute col trojan inoculato nel cellulare di Luca Palamara. Una rete in cui sono finiti tutti, compresi i parlamentari. E proprio il deputato Pd Cosimo Ferri ieri si è visto bocciare dalla Corte Costituzionale, in quanto «inammissibile», il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato per essere stato «ascoltato» dagli investigatori durante i suoi incontri col pm sott'inchiesta, in presunta violazione delle sue prerogative parlamentari. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dimissioni-per-finta-ma-lanm-va-in-pezzi-la-corrente-mi-lascia-il-comitato-direttivo-2646099511.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-scandalo-delle-chat-anti-salvini-arriva-fino-al-parlamento-europeo" data-post-id="2646099511" data-published-at="1590532369" data-use-pagination="False"> Lo scandalo delle chat anti Salvini arriva fino al Parlamento europeo Prima silenziato, poi raccontato tutt'al più in tono cronachistico neutro, lo scoop della Verità sulle chat fra magistrati in cui veniva insultato Matteo Salvini arriva fino in Europa. Dove, al netto delle ideologie, forse qualcuno troverà qualcosa da ridire nel fatto che un magistrato spiegasse ai colleghi che, anche se Salvini «ha ragione», come sostenuto dal procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma, tuttavia «ora va attaccato», come chiosava invece Luca Palamara. L'iniziativa parte da alcuni eurodeputati di Id, cioè il gruppo Identità e democrazia, di cui fanno parte il Rassemblement National di Marine Le Pen, la Lega, l'Fpö austriaco e altri movimenti. Nicolas Bay, vicepresidente del gruppo, Jean-Paul Garraud, magistrato, e Annalisa Tardino, coordinatrice Libe per il gruppo Id, hanno infatti inviato una lettera a Juan Fernando López Aguilar, presidente della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, per sollevare la questione della giustizia politicizzata italiana anche di fronte alle istituzioni europee. «L'indipendenza e l'imparzialità della magistratura all'interno di uno Stato membro Ue sono a rischio», riassume una nota della delegazione della Lega al Parlamento europeo. Che prosegue: «Con una lettera a Juan Fernando López Aguilar, chiediamo un dibattito in Ue sul caso procure e sulle strumentalizzazioni della giustizia Italia, una grave minaccia per lo Stato di diritto. Le rivelazioni del quotidiano La Verità hanno svelato preoccupanti manipolazioni di alti rappresentanti della giustizia italiana con l'obiettivo di danneggiare Matteo Salvini. Le dichiarazioni dei magistrati incidono gravemente sul principio della separazione dei poteri, nonché sul diritto di ciascun cittadino ad affrontare un processo equo. Sono a rischio i diritti fondamentali di un esponente politico che ha assunto decisioni che, per ammissione degli stessi magistrati, erano perfettamente legali. Di fronte a questa grave strumentalizzazione del sistema giudiziario, una palese violazione dello Stato di diritto in uno Stato membro, l'Europa non può restare indifferente». Bay, esponente del Rassemblement National, ha anche postato sul suo profilo Twitter un suo intervento alla stessa Commissione per le libertà civili dell'Europarlamento in cui, nell'ambito di una discussione su presunte violazioni dei diritti in Polonia, ha invitato l'Ue a interessarsi piuttosto di ciò che accade in Francia o in Italia. Riguardo il nostro Paese, Bay ha detto: «Si potrebbe citare il caso del sistema giudiziario italiano, in cui questo weekend abbiamo appreso che due magistrati si scambiavano messaggi dicendo che Salvini ha ragione sulla questione migratoria ma che bisognava trovare un modo giuridico di condannarlo. È lì che abbiamo degli attacchi allo Stato di diritto. Non vorrei che si attaccassero sempre Polonia e Ungheria solamente perché sono dei Paesi che hanno degli orientamenti politici, convalidati dagli elettori al momento delle elezioni, che non piacciono alle istituzioni europee». Per le stesse istituzioni europee chiamate in causa dall'eurodeputato francese si tratta sicuramente di un'ottima occasione per dimostrare che in questa Europa non tutti i mezzi sono leciti quando c'è da combattere i sovranisti. Oppure di dimostrare il contrario.
Il Castello Mackenzie di Genova. A destra, il dettaglio della torre (Ansa)
Ewan Mackenzie, di padre scozzese, era toscano fin nel midollo. Da Firenze, la città che lo vide nascere nel 1852, assorbì la passione per l’arte e la letteratura del Rinascimento e dell’opera di Dante di cui fu collezionista delle edizioni più rare della Commedia.
Mackenzie si trasferì a Genova come agente dei Lloyds di Londra. Qui alla fine del secolo XIX fonderà un impero in campo assicurativo, l’Alleanza Assicurazioni. Il grande successo imprenditoriale gli permise di coronare il sogno di una vita: quello di dare nuova forma al Rinascimento toscano nella città della Lanterna con la costruzione di una dimora unica nella zona degli antichi bastioni di san Bartolomeo al Castelletto che dominano Genova ed il porto antico. Trovò nell’esordiente architetto fiorentino Gino Coppedè la professionalità giusta per realizzare la sua nuova dimora. Quest’ultimo era figlio d’arte di uno degli ebanisti più quotati dell’epoca, Mariano Coppedé. I lavori di costruzione del capolavoro dell’eclettismo tipico degli anni a cavallo tra i secoli XIX e XX iniziarono nel 1897 per concludersi 9 anni più tardi, nel 1906. Il castello, che cambiò la prospettiva dalla vicina piazza Manin, era un capolavoro di arte ispirata al Medioevo ed al Rinascimento. La torre principale ricordava quella di Palazzo Vecchio a Firenze, mentre mura, nicchie torrette e merletti, compresi i fossati e i ponti, facevano pensare ai manieri medievali. All’interno dominava la boiserie della bottega Coppedé, nelle oltre 80 stanze della dimora. Non mancava un tocco di modernità nell’impianto di riscaldamento centralizzato e nell’acqua calda disponibile in tutta la casa. Il palazzo ospitava anche una piscina riscaldata ed un ascensore di grande capienza. Nei sotterranei erano state ricavate grotte scenografiche, ispirate alla Grotta Azzurra di Capri, con statue mitologiche e giochi d’acqua, e non mancava un luogo dedicato alla preghiera, una cappella in stile neogotico con vetrate artistiche, ed una immensa biblioteca dove erano conservate le edizioni più preziose della Commedia dantesca. Il castello fu abitato dalla famiglia fino alla morte del proprietario avvenuta nel 1935. La figlia di Ewan, Isa Mackenzie, la cedette poco dopo ad una società immobiliare. Dopo l’8 settembre 1943 fu requisito dai tedeschi e scampò per miracolo ai pesantissimi bombardamenti sulla città. Nel dopoguerra fu brevemente occupato dagli Alleati prima di essere destinato a diventare una stazione dei Carabinieri, che rimasero fino al 1956 quando il castello fu dichiarato monumento nazionale. In seguito fu adibito a sede di una società sportiva, la Società Ginnastica Rubattino, e dagli anni Sessanta andò incontro ad un declino durato per tutto il decennio successivo. Solo negli anni seguenti la dimora da sogno di Mackenzie poté essere recuperata al suo splendore originario. Nel 1986 il magnate e collezionista d’arte americano Mitchell Wolfson Jr. rilevò il castello ed iniziò un complesso restauro a partire dal 1991 prima di cederlo a sua volta a Marcello Cambi, famoso restauratore toscano e patron dell’omonima casa d’aste della quale il castello divenne la sede, dopo un’ulteriore restauro da parte del grande architetto genovese Gianfranco Franchini, tra i progettisti assieme a Renzo Piano e Richard Rogers del Centro Georges Pompidou di Parigi.
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