2022-07-31
«Dignità alla formazione al lavoro»
Daniele Nembrini, il presidente di JobsAcademy, il più grande Its del Paese: «Il 96% dei nostri studenti viene assunto subito dopo la fine dei corsi. Non sempre l’università è la scelta giusta».«La formazione al lavoro non è un’istruzione di serie B, ma in Italia abbiamo ancora il brutto vizio di considerarla tale. Il lavoro è un valore, molto di più di certi percorsi accademici che servono solo ad andare a caccia di farfalle». Così Daniele Nembrini, presidente di JobsAcademy, parte della Fondazione San Michele Arcangelo, presenta i corsi dell’istituto, che dal 2011 a oggi ha toccato i 2.000 diplomati nella sua sede a San Paolo d’Argon (Bergamo). È il più grande Its di Italia, con percorsi post diploma studiati per offrire simultaneamente alta specializzazione tecnica, due titoli accademici e un’occupazione. L’offerta si articola su 18 corsi in cinque aree tematiche (business, green, marketing, software e technical): fra i nuovi insegnamenti, energie rinnovabili, meccanica e manutenzione degli aeroplani e cloud development. Il percorso è triennale. I primi due anni il pacchetto didattico si compone di formazione tecnico pratica tra aula e laboratorio, due stage curriculari e circa 300 ore dedicate allo sviluppo delle soft skill. Al termine del biennio si raggiunge il diploma Its di V livello Eqf, che viene completato al terzo anno con l’inserimento nelle imprese con contratti di apprendistato e l’accompagnamento all’acquisizione della laurea triennale nelle università partner. Chi sono gli studenti che scelgono i vostri percorsi? Neo diplomati o anche adulti che vogliono riqualificarsi?«Ci rivolgiamo soprattutto ai neo diplomati, ma non rifiutiamo studenti più maturi. È inutile far perdere tempo ai ragazzi costringendoli a frequentare l’università sbagliata. In Italia il sistema degli Its è nato nel 2010 e ogni anno coinvolge 26.000 studenti, contro il milione della Germania. Perché questo comparto possa crescere bisogna migliorare la comunicazione con le famiglie e agire sul fronte delle imprese, che oggi quando devono assumere difficilmente pensano di rivolgersi alle scuole. Invece quando facciamo incontrare ragazzi che hanno fame di lavoro e imprenditori che hanno bisogno di dipendenti qualificati, scatta subito l’innamoramento».Il sistema degli Its è appena stato al centro di una riforma che ha l’obiettivo di rinforzarlo. Qual è il suo giudizio?«Si tratta di una buona riforma attesa da tempo che ha aumentato le risorse, anche se su alcuni aspetti poteva essere più coraggiosa e liberalizzare ancora di più il settore, visto che il fenomeno dei Neet (i giovani che non studiano e non lavoro, ndr) è in espansione. Ma purtroppo in Italia c’è sempre un po’ la tendenza a voler normare tutto, mentre ci si dovrebbe concentrare più sul risultato che sul modo in cui ci si arriva».Quali saranno le aree in cui sarà più semplice trovare lavoro nel futuro?«Marketing, soprattutto internazionale, digitale, edilizia verde, meccatronica, cloud. Le aziende sono disperate perché non riescono a trovare talenti, come definiamo i nostri studenti, nei settori in cui hanno bisogno».Perché scegliere un Its invece di una classica università?«Primo, perché alla proposta formativa ne affianchiamo una educativa: vogliamo formare uomini in grado di essere tali. Secondo, perché non guardiamo il mondo del lavoro dalla finestra col binocolo,: noi nasciamo con le aziende, il 70% dei nostri docenti è imprenditore. Per finire, come ciliegina sulla torta e come risultato dei primi due fattori, circa il 96% dei ragazzi trova un lavoro coerente con il percorso di studi entro sei mesi. Il mondo dell’istruzione deve smettere di essere ideologico, deve partire dalla realtà in termini di necessità e richieste e deve imparare a interpretare i desideri del singolo senza focalizzarsi a tutti i costi su percorsi classici con attese irrealistiche che fanno male ai giovani».
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