
Il leader nominerà da sé tutto il sottogoverno: Roberto Fico e Alessandro Di Battista, (che voleva un dicastero) guidano la fronda. Giuseppe Conte il nuovo faro. Il M5s è una polveriera pronta a esplodere, e Luigi Di Maio rischia grosso. La partita che ruota intorno alla scelta dei viceministri e dei sottosegretari sta provocando una vera e propria rivolta tra i parlamentari pentastellati: mentre il Pd ha ormai quasi definito la squadra, il M5s è ancora in alto mare. Il vuoto di potere che si è creato, con Luigi Di Maio che, impegnato a tutelare la propria posizione governativa e quella professionale dei suoi più stretti collaboratori, è ormai considerato dalla stragrande maggioranza dei parlamentari un ostacolo alla vita del M5s. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, a quanto apprende La Verità da fonti qualificate, è il criterio che Di Maio avrebbe stabilito per la scelta di viceministri e sottosegretari: i membri di ciascuna commissione parlamentare dovrebbero indicare una rosa di cinque nomi di potenziali sottosegretari e ministri da incaricare per il relativo ministero, e poi sarebbe Di Maio a scegliere il «fortunato». Non si terrebbe conto, in questo modo, dei risultati della «graticola», ovvero quella sorta di esame che i parlamentari fecero ai sottosegretari, con tanto di scheda di valutazione finale su vari aspetti del loro operato (come la presenza, la disponibilità all'ascolto, la capacità di espletare la loro funzione istituzionale), che si svolse tra il 10 e l'11 giugno scorso. I risultati di questa valutazione non sono mai stati resi noti. Il meccanismo della rosa di cinque nomi, con la scelta finale di Di Maio, viene considerato da moltissimi parlamentari del M5s una vera e propria presa in giro, con il ministro degli Esteri che agirebbe come un sovrano assoluto, pur avendo quasi completamente abbandonato l'attività di guida del partito, senza neanche rispondere più al telefono. Le ripercussioni di scelte impopolari potrebbero essere tragiche, in termini politici: la maggioranza Pd-M5s al Senato è molto risicata, e il malcontento è dilagante. Di Maio avrebbe inoltre promesso un ministero ad Alessandro Di Battista, senza poi mantenere l'impegno, con il risultato di scontentare anche i fedelissimi del «Dibba». Altro elemento che sta provocando una vera e propria rivolta nel M5s è quanto starebbe per accadere per quel che riguarda gli staff. Il ministero del Lavoro e quello dello Sviluppo economico, nel governo Lega-M5s, erano stati accorpati ed entrambi affidati alla guida di Di Maio. Nel nuovo governo sono di nuovo spacchettati, ma Di Maio vi ha piazzato due fedelissimi: Stefano Patuanelli è ministro dello Sviluppo economico, Nunzia Catalfo del Lavoro. Bene (anzi male): nessuno dei due ministri, stando alle indiscrezioni che provengono dall'interno del M5s, potrà avvalersi di nuovi collaboratori. Entrambi - a quanto si apprende - si sarebbero impegnati a confermare in blocco le squadre che collaboravano con Di Maio. In sostanza, il ministro degli Esteri rischia di perdere completamente il controllo del M5s, mentre cresce a dismisura l'influenza del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, anche all'interno del partito. Conte ha in questo momento un asse, solo tattico e in funzione anti-Di Maio, con il presidente della Camera, Roberto Fico, e non a caso sono proprio i «fichiani» in queste ore ad alzare le pretese su sottosegretari e viceministri. Carla Ruocco, Luigi Gallo e Giuseppe Brescia sono impegnati in un pressing incessante per ottenere le ambite cariche, non solo per sé, ma anche per il maggior numero possibile di esponenti del M5s ostili al capo politico. Mentre il Movimento si sta praticamente dissolvendo sotto i colpi di una guerra strisciante che vede ciascun parlamentare sospettare finanche del suo vicino di posto, il Pd invece - certamente meglio organizzato - sta già prendendo pieno possesso dei dicasteri. Con tutti i suoi difetti e le contraddizioni che lo attanagliano, il Partito democratico ha tuttavia un metodo, una strategia d'occupazione delle poltrone collaudata ed efficace, e in questo senso il tanto biasimato meccanismo correntizio contribuisce quantomeno a orientare le scelte per quel che riguarda viceministri e sottosegretari. Non è un caso che il terrore dei parlamentari del M5s sia restare imbrigliati nel «non governo» del partito da parte di Di Maio, e di venire quindi prosciugati, dal punto di vista del consenso, dal Pd, esattamente come è accaduto con la Lega durante l'esperienza del primo governo di Conte. Nelle prossime ore, tutto sarà più chiaro: già oggi, infatti, dovrebbero essere recapitate a Di Maio le rose di nomi tra le quali il ministro degli Esteri sceglierà viceministri e sottosegretari. Una volta avvenuta la scelta, è facilmente prevedibile che gli esclusi chiederanno a Di Maio conto e ragione dei criteri che avranno orientato la sua valutazione. I soliti bene informati scommettono che Di Maio sceglierà quasi solo esponenti alla prima legislatura, per garantirsene la fedeltà anche in futuro, abbandonando al loro destino i parlamentari più esperti.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






