2018-06-24
Di Maio parla di pensioni d’oro e dà i numeri
Il vicepremier: «Taglieremo i super assegni, incasseremo un miliardo per alzare la minima». Solo che il gettito effettivo sarebbe di 300 milioni, a meno che il governo per raggiungere l'obiettivo abbia in mente di copiare il contributo di solidarietà di Mario Monti.Il politologo Lorenzo Castellani: «L'establishment ormai si sgretola, i grillini non sanno approfittarne. Matteo Salvini non rompa con il Canada, farebbe male alle nostre imprese». Lo speciale contiene due articoliLuigi Di Maio, vicepremier, esterna sulle pensioni. Come tutti i giovani non ha ben presente gli schemi previdenziali e l'intersecarsi del modello retributivo con quello contributivo nelle fasce di reddito più alto. Ieri, però, ha detto una volta per tutte che «vogliamo finalmente abolire le pensioni d'oro che per legge avranno un tetto di 4.000/5.000 euro per tutti quelli che non hanno versato una quota di contributi che dia diritto a un importo così alto. E cambiano le cose in meglio anche per chi prende la pensione minima, perché grazie al miliardo che risparmieremo potremo aumentare le pensioni minime».L'obiettivo chiaramente elettorale del capo dei 5 stelle è riparare allo «sfregio a quei tre milioni di italiani che non hanno neppure i soldi per fare la spesa, perché sono stati abbandonati dalle istituzioni. Sia chiaro: chi si merita pensioni alte per avere versato i giusti contributi ne ha tutto il diritto, ma quest'estate per i nababbi a spese dello Stato sarà diversa».Nelle prossime settimane assisteremo a funzionari muniti di mannaie per tagliare le pensioni d'oro. Secondo Di Maio il taglio procurerà allo Stato 1 miliardo di gettito, con il quale potranno essere innalzate le pensioni minime. Gli assegni più bassi oggi valgono 507 euro, se veramente la strategia grillina funzionasse l'incasso salirebbe di 40 euro mensili. Non cifre incredibili, ma pur sempre un valore vicino al 10%. Peccato che ieri Di Maio abbia dato i numeri. Innanzitutto tra i 4.000 netti e i 5.000 euro netti mensili c'è una differenza abissale. Immaginare un taglio secco sopra i 5.000 euro (circa 30.000 pensionati) comporterebbe un risparmio per lo Stato di 280 milioni all'anno (bisogna considerare che il taglio degli assegni comporta anche la rinuncia a una buona fetta di Irpef e altre tasse) e con una tale cifra non si è in grado di aumentare le minime se non di circa 15 euro al mese. Chiaramente l'operazione sarebbe una mera propaganda. A meno che Di Maio non voglia proprio abrogarle. In questo caso risparmierebbe addirittura 3,3 miliardi. Ma allora ci troveremmo in un regime sovietico, condizione con non vorremmo nemmeno prendere in considerazione. Se invece l'ipotesi sbandierata ieri avesse come soglia di taglio quella dei 90.000 euro lordi annui, che equivalgono a 4.000 euro netti mensili, il modello è esattamente il medesimo del contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro voluto da Mario Monti e nell'estate del 2011 immaginato da Silvio Berlusconi. Questo, nella sua versione più hard, procurerebbe un risparmio annuale esattamente di 1 miliardo. La cifra sbandierata da Di Maio. Lo schema dovrebbe però coinvolgere l'intero imponibile (in contraddizione con le dichiarazioni di ieri) con prelievi a cominciare dai 2.800 euro lordi (sei volte la minima) fino a un 15% per l'apice del reddito. Se il prelievo dovesse cominciare solo dagli 8.500 euro lordi non si arriverebbe in alcun modo al miliardo agognato ieri dai 5 stelle. Per di più, per il governo del cambiamento mutuare le ricette a base di loden e di Bocconi non sarebbe un grande vantaggio d'immagine. Tanto più che Di Maio (sempre che sappia di copiare Monti) si troverebbe a fare i conti con la Consulta. I giudici supremi due anni fa hanno definitivamente e sonoramente bocciato l'extra prelievo: è incostituzionale. Il taglio di Di Maio rischierebbe lo stesso parere. D'altronde basta vedere i nomi dei sostenitori. «Credo che non sia praticabile la strada evocata anche dal presidente dell'Inps di andare a ricalcolare tutte le pensioni del passato sulla base del metodo contributivo», ha spiegato nel 2016 la professoressa Elsa Fornero, «e a mio avviso non sarebbe inopportuno continuare a chiedere, anche in considerazione che la crisi economica non sembra affatto finita, a persone che hanno redditi alti, oltre i 90.000 euro, di versare un contributo di solidarietà. Credo che questo sia anche interamente nello spirito della nostra Costituzione e non è tassazione di redditi». No, certo non è più un reddito quello pensionistico se lo si considera un mero regalo da parte dello Stato.Chissà cosa ne pensa Matteo Salvini, il numero uno della Lega, di questa ultima proposta grillina, per giunta mutuata paro paro da un'idea più volte espressa da Alessandro Di Battista. Alla fine dei giochi viene da sperare che Di Maio si sia limitato a dare numeri a caso. Al contrario dobbiamo immaginare che sia diventato un discepolo della Fornero e di Giuliano Poletti che è riuscito a inventare il bonus che porta il suo nome. Un sistema idoneo a bloccare la rivalutazione degli assegni pensionistici sostituendoli con qualche mancia. Il tutto comportando un risparmio per l'Erario di 10 miliardi. Senza nessuna redistribuzione. Perché lo Stato è una macchina affamata che finisce sempre con il mangiarsi tasse, contributi e le promesse dei politici. Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/di-maio-pensioni-2580641140.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lestablishment-ormai-si-sgretola-i-grillini-non-sanno-approffittarne" data-post-id="2580641140" data-published-at="1757605612" data-use-pagination="False"> «L’establishment ormai si sgretola i grillini non sanno approffittarne» Lorenzo Castellani è un politologo tanto giovane quanto già autorevole. Ricercatore in storia delle istituzioni politiche alla Luiss; nel comitato editoriale di Liberilibri; autore del saggio Il potere vuoto, in cui descrive lo svuotamento delle democrazie, strette tra tecnocrazia e populismo, o teatro di una loro combinazione, il «tecnopopulismo». Matteo Salvini è festeggiato dai sondaggi. Cos'ha indovinato? «Ha azzeccato a porre l'immigrazione come tema europeo. Ha preso un rischio, ma è stato efficace. Per la prima volta l'Italia ha mostrato che non può accollarsi tutto. E ha anche scoperchiato l'ipocrisia francese. Naturalmente, sollevato il problema, resta da fare moltissimo: però siamo in partita». È anche fortunato nei suoi nemici… «Sì, su tre fronti. In chiave estera, con le contraddizioni di Emmanuel Macron e una congiuntura favorevole. Poi, per la bancarotta intellettuale della sinistra, che rinnega la sua stessa attività al governo (vedi gli slogan contro Marco Minniti). Infine, perché gli ex alleati di centrodestra mi sembrano molto appiattiti su di lui». Sviluppi sull'immigrazione? «O tutto si irrigidisce, e arriviamo al collasso europeo descritto da Niall Ferguson, oppure si arriva finalmente a una politica condivisa che abbia come primo punto la difesa dei confini europei». Quali errori deve evitare Salvini? «Il primo errore è il rifiuto dell'accordo commerciale con il Canada». Ma un po' di protezionismo non potrebbe anche andar bene in un'area larga? «Usa-Ue-Canada in funzione anti Cina. Ma se tutto è intraoccidentale, mi pare sbagliato. Peraltro, il Canada è il quindicesimo partner commerciale italiano, e ci guadagniamo poiché abbiamo già un surplus di oltre 3 miliardi. Le nostre aziende potrebbero incrementarlo». Luigio Di Maio, invece, appare in difficoltà. «Non c'è dubbio. La Lega ha dettato l'agenda su Unione europea e immigrazione. Se tu sei ondivago su temi decisivi, e il tuo alleato ha un'identità forte, vai in affanno. Peraltro il Movimento 5 stelle sconta una drammatica mancanza di idee su debito, economia, scuola, pubblica amministrazione. E poi l'errore più grave...» Quale? «L'idea, da vecchia sinistra, di irrigidire il mercato del lavoro, la sharing economy, di regolamentare tutto. Bisognerebbe semmai pensare a tutele più moderne e a lasciare più soldi in busta paga a chi lavora a termine». C'è il rischio che, in tempi di turbopolitica, l'M5S si squagli? «Nel breve termine no. Ma che perda molti punti percentuali, sì, specie se è costretto a rallentare sui suoi cavalli di battaglia. Già il reddito di cittadinanza, al di là di ogni giudizio di merito, richiede anni. C'è la probabilità che molti elettori, davanti alla concretezza leghista, possano “travasarsi" verso l'alleato». Scenario. Con una forte crescita di Salvini e un brusco arretramento di Di Maio, che accadrebbe? «Due opzioni. La prima è che Salvini, già prima delle elezioni europee, abbia la tentazione di capitalizzare e andare al voto politico in primavera. La seconda è che attenda il successo alle Europee per imporre più di un rimpasto, direi un vero cambio di equilibri nell'esecutivo». Il Pd è totalmente paralizzato? «Serve un cambio di gruppo dirigente, inutile girarci intorno. Quanto ai contenuti, non riescono più a uscire dal centro delle grandi città. Dovrebbero smetterla con questo atteggiamento pedagogico e moralistico di dire agli italiani cosa pensare». E il resto del centrodestra, a partire da Forza Italia? «Al di là di Silvio Berlusconi (già Forza Italia è in difficoltà ora, quindi non è immaginabile cosa accadrebbe con lui silente a lungo), dovrebbero scegliere alcuni temi (e un personale in grado di interpretarli) per un'“integrazione liberale" alla Lega. Primo: scuola e formazione, dove serve una liberalizzazione (di pensiero e di strutture). Secondo: libero scambio e valori occidentali come integrazione al sovranismo. Terzo: mercato, impresa, attacco al debito. Quarto: una proposta sulle pensioni che guardi anche ai giovani». Come mai l'establishment italiano le ha sbagliate tutte? «Un pezzo di establishment vive di rendite garantite dallo Stato. E poi io non vedo una contrapposizione tra popolo e élite, quanto (Vilfredo Pareto insegna) una sostituzione in corso delle élite. Quelle vecchie erano liberal in senso anglosassone (cioè di sinistra), internazionaliste, pro immigrazione. Quelle nuove sono ancora da definire: potrebbero dare una scossa positiva, anche se sono esposte a rischi di neostatalismo». I sistemi crollano... «Si erodono e poi crollano. C'è una parola che troppi hanno eliminato dal loro vocabolario: “legittimità", l'accettazione popolare di una classe dirigente. Se ne sono dimenticati…». Daniele Capezzone
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello (Imagoeconomica)
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».