2019-09-26
Di Maio ha 70 ribelli nel Movimento. Salvini: «Una decina verrà da noi»
Le firme contro la leadership del ministro svelano le crepe M5s. Il leghista se la ride: «Chi è a disagio lascerà» Il Carroccio vuole «taglieggiare» il gruppo grillino al Senato. Ma la vera bomba la farà scoppiare sull'Ilva.Le urne si possono allontanare. L'abbiamo visto e capito con il Conte bis. Il governo però prima o poi dovrà mettere piede in Parlamento e fare pure i conti con i propri senatori e deputati. Luigi Di Maio sperava di rimandare il il possibile la necessità di immergersi nella vasca della realtà. D'altronde nella sua nuova veste di ministro degli Esteri è volato negli Stati Uniti per parlare di Libia e Libano, con l'idea di innalzare lo storytelling ai massimi sistemi. Invece, l'assemblea dei senatori grillini, riunitasi per avviare la scelta del capogruppo, si è rivelata uno sfogatoio di malumori. Ed è finita con una lettera che mette nero su bianco la richiesta di rivedere i poteri del capo politico e di modificare lo statuto del Movimento. Con l'obiettivo, da parte di alcuni, addirittura di destituire il leader sostituendolo con un direttorio. Impensabile fino a qualche mese fa. Invece il matrimonio forzato con il Pd imposto a Di Maio dalla volontà di Beppe Grillo di riprendere in mano le redini dell'ircocervo e dal desiderio dell'ex vice premier di rimanere ancorato al potere ha avuto l'effetto di sbullonare la macchina e incrinare tutti gli equilibri. Se aggiungiamo il disagio creato a molti senatori e deputati 5 stelle dalle gestione delle nomine nell'ultima infornata governativa si capisce quanto la temperatura dell'acqua si stia innalzando. A Di Maio nelle prossime settimane toccherà guardarsi sia dal Pd che alle spalle. Dove troverà i suoi pronti a posizionare trappole esplosive, la Lega intenta a gestire una guerra modello Vietnam e Matteo Renzi sorridente con i suoi di Italia Viva e la possibilità di imbarcare fuggitivi da Forza Italia. Il rischio è così elevato che il M5s sente la necessità di fare uscire per via delle agenzie stampa alcune veline. «Certo», confida un parlamentare M5S di lungo corso all'Askanews, «il tema della redistribuzione del potere all'interno del Movimento alcune persone lo pongono, ma lo stesso Emanuele Dessì che ha promosso il documento ha cercato di chiarirne le intenzioni: è il tipo che se capisce di essere strumentalizzato fa un passo indietro». Dopo le precisazioni del leader («nessuna fronda» ma una «raccolta firme per rafforzare i gruppi», al massimo un «equivoco», visto che «guardando il documento non si parla né del capo politico né della leadership del Movimento»), Dessì sembra accodarsi. «Luigi Di Maio non è in discussione» , garantisce il dissidente, anzi «questo processo, rispettoso delle regole e democratico, è stato strumentalizzato ad arte». E il riferimento è diretto al capo del Carroccio, Matteo Salvini, che subito ha infilato il dito nella piaga. «Vi posso dire che nei prossimi giorni da casa 5 stelle arriveranno delle sorprese. Mettetevi nei panni di chi fino a ieri ha fatto una battaglia a quelli che vedeva come corrotti e oggi viene imposto di allearsi con quelli. Come se a me imponessero di allearmi con Renzi e con la Boschi domani mattina», ha sintetizzato il leader leghista ai microfoni di Radio Radicale. Il vicesegretario Andrea Crippa parla esplicitamente di «una decina» in uscita. Certo nessuno crede che si possa veramente staccare una fronda di 70 senatori, ma a differenza della Camera Palazzo Madama sarà foriero di grandi grattacapi al Conte bis. Innanzitutto, c'è la concreta possibilità che dal M5s si stacchino tra i quattro e i sette senatori. Andrebbero a confluire nelle fila del Carroccio e soprattutto renderebbero la macchina delle commissioni ancora più complicata. Più tesa di quanto già lo sia oggi dentro la maggioranza, tra Pd e 5 stelle. Su tutti, vale la presidenza della commissione Lavoro. Da quando Nunzia Catalfo è diventata ministro, l'incarico è rimasto sguarnito. Di maio ha promesso al Pd di lasciarlo a uno degli eletti tra le file degli zingarettiani. Ma i 5 stelle non ci stanno. Vogliono per sé la presidenza. Ed è all'interno di questo dissidio che la Lega potrebbe veramente fare molto male al governo e soprattutto a Di Maio. Dalla commissione Lavoro deve passare il cosiddetto decreto Rider che contiene pure le norme per la sostenibilità dell'Ilva di Taranto. Tutte due misure su cui Di Maio ha voluto metterci la faccia. Entro il 3 novembre il testo dovrà diventare legge e non ha nemmeno fatto il primo gradino parlamentare. Se la Lega riuscirà a bloccarlo (è questo il riferimento al Vietnam di Roberto Calderoli) potrebbe scoppiare il casus belli in grado di trascinare la maggioranza verso il baratro del Senato. E del crollo della fiducia. Situazione diversa alla Camera, dove si profila un probabile accordo fra «dimaiani» e «fichiani», fedeli al presidente della Camera, con un ticket Francesco Silvestri-Riccardo Ricciardi. Ma Montecitorio a questo punto non è importante. Mettere in crisi la maggioranza sarebbe impossibile. Invece, al Senato con qualche senatore che passa alla Lega e qualcun altro che passa al partito di Renzi, basterebbe un pugno di azzuri che esce dall'Aula per mandare a gambe all'aria i giallorossi.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)