
In Mali cresce l’insofferenza verso Parigi e Bruxelles. E una situazione sempre più pericolosa aleggia sulla task force Takuba. È un contesto preoccupante quello in cui versa Takuba: la task force europea, promossa principalmente dalla Francia, che si occupa di contrastare il terrorismo jihadista nella regione del Sahel. Il risentimento antifrancese nell’area sta crescendo, mentre i colpi di Stato, che si sono verificati in Mali e Burkina Faso, presentano tratti marcatamente filorussi. La settimana scorsa, Parigi ha espresso dubbi significativi. “Stiamo discutendo con i partner il numero di truppe che dovremmo mantenere per continuare la lotta al terrorismo”, ha detto il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian in un'intervista all'emittente France 2. “La situazione non può rimanere com'è”. E’ quindi in questo complicato quadro che, lo scorso 28 gennaio, gli alleati europei hanno concordato di elaborare piani nel giro di due settimane, per capire come proseguire il contrasti al jihadismo in Mali. Il problema è che la situazione va peggiorando. La scorsa settimana, il governo di Bamako ha infatti annunciato l’espulsione dell’ambasciatore francese dal Paese. “Questa misura segue i commenti ostili e oltraggiosi fatti di recente dal ministro francese dell'Europa e degli Affari esteri e il ripetersi di tali commenti da parte delle autorità francesi nei confronti delle autorità maliane, nonostante le ripetute proteste”, ha tuonato il governo maliano. Si è trattato, nello specifico, di una reazione alle parole di Le Drian che aveva poco prima definito la giunta militare al potere in Mali come “illegittima” e “fuori controllo”. Secondo Al Jazeera, l’espulsione del diplomatico transalpino ha determinato nutritissime manifestazioni antifrancesi nel Paese africano. “Ci sono migliaia e migliaia e migliaia di maliani oggi che dicono 'no' alla Francia. Quindi, ciò che l'Unione europea e la Francia devono fare è rispettare le autorità maliane”, ha dichiarato Moulaye Keita, membro del Consiglio nazionale di transizione del Paese. “Devono capire che le autorità in carica oggi sono le uniche che possono parlare a nome del nostro Paese”, ha aggiunto. Già nelle scorse settimane si erano d’altronde registrate delle proteste antifrancesi, mentre Bamako aveva chiesto a Parigi una revisione dell’accordo bilaterale di difesa, firmato nel 2013. Non solo: il Mali aveva anche denunciato una violazione del proprio spazio aereo da parte di un velivolo militare francese. Come abbiamo intravisto, il risentimento antifrancese si salda a una crescente ostilità nei confronti della stessa Unione europea: un fattore, questo, che mette seriamente a rischio la task force Takuba. E i primi effetti cominciano già a vedersi. La Danimarca ha recentemente ritirato un centinaio di propri soldati, dopo che Bamako l’aveva accusata di averli schierati senza il suo permesso. Inoltre, martedì scorso, la Norvegia ha dichiarato che (almeno per il momento) non invierà truppe in Mali. “La situazione politica nel Paese rende temporaneamente impossibile il dispiegamento a breve termine", ha affermato il ministero della Difesa di Oslo in una nota. Bisogna tra l’altro tener presente che della task force fanno anche parte 200 militari italiani: una ragione in più per valutare attentamente gli sviluppi della missione. In tutto questo, come accennato, l’influenza politica e militare della Russia sta aumentando nel Sahel, a partire proprio dal Mali. Il che rischia di far ritrovare il contingente europeo pericolosamente attanagliato tra i mercenari del Wagner Group e i miliziani islamisti. Al momento, lo scenario più probabile è quello di un’uscita di Takuba dal solo Mali. Uno scioglimento totale della missione rappresenterebbe infatti un duro colpo d’immagine per Emmanuel Macron, che – tra pochi mesi – si gioca la riconferma presidenziale in patria. Inoltre, dovesse naufragare interamente la task force, ciò metterebbe prevedibilmente una pietra tombale sui tanto sbandierati progetti francesi di esercito europeo. La situazione è politicamente delicata, ma anche pericolosa sul campo. La debolezza della Francia rischia di trascinare dietro l’intero contingente in un vortice significativamente problematico. E’ bene quindi che Roma vigili con attenzione.
Ornella Vanoni. (Milano, 22 settembre 1934 - 21 novembre 2025) (Getty Images)
La cantante e attrice si è spenta nella sua abitazione milanese a 91 anni. Dal teatro con Strehler alla canzone romantica con Gino Paoli, la sua voce dal timbro inconfondibile ha attraversato la storia della canzone italiana collaborando con tutti i grandi, da Modugno a Dalla a Eros Ramazzotti. Da Lucio Battisti fino a Carmen Consoli.
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Se n'è andata nella sua Milano, quartiere Brera, a pochi passi dal teatro che porta il nome del suo grande maestro (e amore) Giorgio Strehler. Con lui arrivò nel dopoguerra il successo per Ornella Vanoni, figlia di industriale farmaceutico, diplomata all'Accademia di Arte Drammatica dove insegnava proprio il grande regista e autore triestino. Milano come protagonista del primo repertorio con le canzoni della «mala» (Ma mi, Senti come vosa la sirena e tante altre). Pupilla di Nanni Ricordi, dalla fine degli anni Cinquanta sarà interprete della canzone romantica anche grazie al legame sentimentale con Gino Paoli. Indimenticabili le interpretazioni di »Me in tutto il mondo», «Senza fine», «Il cielo in una stanza». Il sodalizio continuerà anche dopo la fine della relazione che si tradurrà in duetti di successo. Protagonista del Festival di Sanremo in otto edizioni dal 1965 al 2018, ha vinto per due volte il premio Tenco. Nel 1981, quando fu la prima donna a conquistare il prestigioso riconoscimento e nel 2022 quando le è stato conferito il Premio Speciale Tenco. Presenza costante della televisione italiana, è stata ospite fissa di diverse trasmissioni popolari, l'ultima in ordine cronologico «Che tempo che fa». Ha avuto un figlio, Cristiano, dal matrimonio con Lucio Ardenzi, scomparso nel 2002.
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La famiglia della casa nel bosco (Ansa). Nel riquadro, i genitori dei bambini
L’uomo smentisce la Procura: «Stanno con i bimbi dei nostri amici, socializzano eccome. Vogliamo poter scegliere ciò che fa per noi».
Le accuse che gli muovono sono pesantissime. «In considerazione delle gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza, i genitori vanno sospesi dalla responsabilità genitoriale», si legge nelle carte del tribunale dell’Aquila. «È inoltre necessario ordinare l’allontanamento dei minori dall’abitazione familiare, in considerazione del pericolo per l’integrità fisica derivante dalla condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge». Nathan Trevallion e sua moglie Catherine sono ritenuti dall’istituzione giudiziaria cattivi genitori, tanto che i loro tre bambini gli sono stati tolti e portati in una casa famiglia, dove la mamma li ha potuti raggiungere e il padre li ha potuti incontrare per qualche minuto ieri. Scrive ancora il tribunale che è «confermato il provvedimento di affidamento esclusivo al servizio sociale adottato in fase cautelare. Il servizio sociale è inoltre incaricato di disciplinare la frequentazione tra genitori e figli, con modalità idonee a prevenire il rischio di sottrazione».
Donald Trump e Volodymyr Zelensky (Getty)
Donald Trump: «Accettate il piano o basta armi». Il leader ucraino, al bivio, apre di malavoglia alla proposta: «Dobbiamo scegliere tra il perdere la dignità o un alleato strategico». Fra le condizioni, anche elezioni entro 100 giorni e niente ingresso nella Nato.
Ha ormai preso forma il piano di pace elaborato dalla Casa Bianca per portare a conclusione la guerra in Ucraina. Secondo una bozza pubblicata da Reuters, il progetto, in 28 punti, prevedrebbe varie componenti. L’Ucraina riceverà «solide garanzie di sicurezza», ma dovrà impegnarsi a non aderire alla Nato e a ridurre le sue forze armate. Per quanto riguarda i territori, nel testo si legge che «la Crimea, Luhansk e Donetsk saranno riconosciute di fatto come russe, anche dagli Stati Uniti», mentre «Kherson e Zaporizhzhia saranno congelate sulla linea di contatto». «La Russia rinuncerà agli altri territori concordati sotto il suo controllo al di fuori delle cinque regioni», si legge ancora. Per quanto invece concerne le aree del Donbass da cui si ritireranno le forze di Kiev, esse saranno considerate «una zona cuscinetto demilitarizzata neutrale, riconosciuta a livello internazionale come territorio appartenente alla Federazione russa».
Friedrich Merz, Emmanuel Macron, Volodymyr Zelensky e Keir Starmer (Ansa)
Berlino, Londra e Parigi sondano un’alternativa. Roma scettica. E Zelensky gela Bruxelles: «La proposta Usa diventi congiunta».















