2019-08-28
Dem e grillini dovranno governare con tutto il Nord contro di loro
Il Settentrione, interamente controllato dal centrodestra, con la nuova maggioranza vedrà scomparire autonomia e a politiche per le Pmi. Se la sinistra perderà anche l'Emilia, la spaccatura si allargherà.E adesso, povero Nord? Chi penserà alle istanze dell'economia settentrionale se, come sembra, nascerà il governo giallorosso? Negli ultimi 15 mesi e fino alla caduta dell'alleanza tra Lega e Movimento 5 stelle, quanto è venuto di buono per le imprese e per le regioni settentrionali è arrivato dal Carroccio. I grillini, si sa, hanno idee diverse: diffidano delle grandi opere e non credono ai vantaggi della defiscalizzazione; mostrano invece una crescente (e preoccupante) tendenza all'assistenzialismo, come s'è visto con il reddito di cittadinanza cui adesso vogliono affiancare il salario minimo; soprattutto, hanno un bacino elettorale prevalente al Sud. E difatti, nel nuovo decalogo governativo stilato da Luigi Di Maio per l'alleanza con il Pd, il numero 8 è dedicato a «un piano straordinario d'investimenti per il Sud».Da questo punto di vista, per il Nord e per la sua imprenditoria, il nuovo esecutivo rischia di essere deleterio. Perché, sommando le tesi del Partito democratico a quelle del M5s, rischia di essere paralizzante. Del resto, non è proprio un caso se oggi, per la prima volta nella storia italiana, esiste un blocco che vede attribuite al centrodestra tutte le Regioni settentrionali: Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono governate da Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia. E in novembre si voterà anche in Emilia Romagna, oggi guidata da Stefano Bonaccini, dove gli ultimi sondaggi dicono che i tre partiti coalizzati potrebbero battere di 4-5 punti il centrosinistra. Il Pd e il M5s, ormai, governano localmente nel Centro Italia e in alcune aree del Meridione. Se anche Palazzo Chigi dovesse colorarsi a strisce gialle e rosse, è evidente che il blocco nordista, quello dove l'economia e l'impresa sono tradizionalmente più forti, si troverebbe relegato all'opposizione. Che cosa accadrebbe? Fontana e ZaiaDi certo, perderebbe ogni possibilità di realizzazione il già difficile tentativo di attribuire maggiore autonomia alle Regioni del Nord. Il muro di gomma opposto dal (primo?) governo di Giuseppe Conte alle richieste di Lombardia e Veneto, del resto, è stata proprio una delle cause della crisi. Il 20 luglio, Attilio Fontana, governatore della Lombardia, aveva accusato la presidenza del Consiglio di aver combinato «una cialtronata» proponendo uno schema d'intesa al ribasso, e Luca Zaia, presidente del Veneto, aveva preconizzato: «Senza l'autonomia, questo governo non ha più senso». Con un esecutivo M5s-Pd, le speranze si ridurrebbero al lumicino: e non solo per Veneto e Lombardia, ma anche per Emilia Romagna, Piemonte e Liguria, che hanno chiesto di poter gestore in proprio molte materie.ImposteIl progetto della flat tax al 15% su tutti i redditi, un provvedimento bandiera della Lega mai varato dal governo gialloblù, è destinato a decadere ancor prima di vedere la luce. Ma forse rischia di abortire anche la mini flat tax varata nell'estate del 2018: quella che ha stabilito un'aliquota unica al 15% per le partite Iva sotto i 65.000 euro di fatturato. Quella tassa vantaggiosa dovrebbe partire dal gennaio 2020, ma ora si vedrà che cosa ne faranno i nuovi governanti. Con l'avvertenza che il ministro dell'Economia in pectore, il dem Antonio Misiani, è stato tra i critici della riforma leghista.NazionalizzazioniAl punto numero 10 del programma stilato da Di Maio, si legge che il M5s dal nuovo governo pretende la «tutela dei beni comuni» e specifica quali siano: «Scuola, acqua pubblica, sanità, revisione concessioni autostradali». In controluce si legge un programma di nazionalizzazioni, o comunque basato su crescenti ostacoli all'iniziativa privata, un tema cui ideologicamente il Pd (e soprattutto la corrente che fa capo alla nuova segreteria di Nicola Zingaretti) non è contrario. Tornerebbe forse in auge il piano, ipotizzato dal ministro Danilo Toninelli dopo il crollo del ponte Morandi, per la revoca delle concessioni autostradali. Ma corrono qualche rischio anche i concessionari in altri settori: energia, telecomunicazioni e telefonia, radio e televisioni, aeroporti, spiagge demaniali…Sulle grandi opere pubbliche, a partire dall'alta velocità ferroviaria tra Torino e Lione (ma anche alcuni grandi eventi internazionali finanziati in parte dallo Stato, come le Olimpiadi), la Lega e il M5s sono sempre stati su due sponde opposte: favorevoli i leghisti, resistenti se non contrari i grillini, bloccati dal timore delle corruttele. Nella nuova maggioranza che si sta creando, il Pd ha idee meno negative e rischia così di occupare il posto lasciato libero dal Carroccio. Assisteremo quindi a nuove diatribe, con la riproduzione dei contrasti degli ultimi 15 mesi. Il risultato? Un disastro: un vero programma di investimenti pubblici, fondamentale per lo sviluppo economico, non decollerà. Con grave danno per il Nord, ma un po' per tutte le imprese e per l'economia in generale. Del resto, anche il mega piano per la manutenzione di autostrade, strade e ferrovie, lanciato nell'estate 2018 dal sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti con 50 miliardi da spendere per la loro messa in sicurezza, s'è arenato per l'opposizione della burocrazia e dell'alleato pentastellato. In compenso, Pd e M5s sono all'unisono sul tema del salario minimo legale. Da ministro del Lavoro, Di Maio ha lanciato l'idea dei 9 euro lordi all'ora, che coinvolgerebbe oltre un quinto dei lavoratori dipendenti. Il problema è che la misura impone alle imprese un nuovo costo tra 6 e 7 miliardi di euro annui. E forse la cifra è sottovalutata, se è vero che uno dei principali gruppi assicurativi italiani, da solo, stima che il suo costo del lavoro potrebbe aumentare di 200 milioni.PatrimonialeIl salario minimo non fa bene alle imprese, ma non dispiace certo al segretario della Cgil, Maurizio Landini, che è tra i più accesi tifosi del nuovo governo giallorosso e si candida apertamente a diventarne azionista. E poiché uno dei motivi fondanti della nuova maggioranza è il no dichiarato all'incremento dell'Iva (dal 22 al 25%) che dal gennaio 2020 sarebbe imposto dal rispetto delle clausole di salvaguardia europee, un prossimo Consiglio dei ministri potrebbe anche decidere d'imporre una bella tassa patrimoniale, finanziaria o immobiliare, sponsorizzata apertamente da Landini: «Bisogna intervenire sulle ricchezze per una lotta contro le diseguaglianze», ha dichiarato il sindacalista alla metà di agosto. A Palazzo Chigi, da domani, potrebbe esserci qualcuno pronto a dargli retta.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin (Imagoeconomica). Nel riquadro il programma dell'evento organizzato da La Verità
Charlie Kirk con la moglie Erika Frantzve (Getty Images)