
Parlando a «Repubblica», l'arcivescovo di Milano rivendica l'originalità di un pensiero economico differente da quello dominante ad Harvard e nell'università di Mario Monti.«Che senso ha dirci cattolici se disegniamo la stessa economia di Harvard o della Bocconi?». Quella che monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha affidato a un'intervista pubblicata ieri da Repubblica, è una staffilata che non poteva passare inosservata. Il capo della Chiesa meneghina, che assicura che la Cattolica «sta lavorando e meditando su un'economia più umanistica», avrebbe potuto limitarsi a citare l'ateneo americano, come incarnazione del paradigma liberal globalista. E invece ha puntato il dito anche sull'università che ha espresso, nell'ultimo decennio, una parte consistente di classe dirigente del Paese. E che potrebbe continuare a portare i suoi prof nelle istituzioni, se è vero che Marta Cartabia, potenziale premier di un governo di salvezza nazionale, dallo scorso autunno ha una cattedra lì. Ma la Bocconi è soprattutto l'università di Mario Monti, quindi la fucina del rigorismo sui conti a scapito del welfare, della risposta alla crisi finanziaria attraverso la distruzione della domanda interna, come dichiarò candidamente alla Cnn l'ex presidente del Consiglio. Non che monsignor Delpini abbia attaccato frontalmente l'élite bocconiana. Ma l'idea che i cattolici debbano elaborare una proposta alternativa significa, per forza, che l'economia cattolica non è conciliabile con la ricetta che ha sconquassato la società italiana, impoverito le classi medie, moltiplicato i nuovi poveri. Proprio Milano è la capitale di questa contraddizione tra il motore tecnofinanziario del sistema e il tessuto umano provato, specie dopo un anno di pandemia. E le dichiarazioni di Delpini sono tanto più prorompenti, dal momento che vari esponenti dell'area culturale che lui bacchetta sono apertamente cattolici (e pure praticanti). È in questo quadro che vanno letti gli strali dell'arcivescovo contro chi «da ricco è diventato ancora più ricco senza badare a dare lavoro, a redistribuire». Contro i «capitali enormi che sono cresciuti invece che essere provati dalla crisi». In fondo, il virus non ha fatto altro che accentuare l'effetto di tendenze già consolidate: come lo definisce il numero uno della Chiesa milanese, «fare i soldi per i soldi». L'arcivescovo tenta anche di uscire dallo schema «buonisti contro cattivisti» in tema di accoglienza e contesta l'«interesse monotematico per il Covid». Come se tutto stesse nell'aspettare «che il Covid passi», quando il cambiamento, la guarigione di un'architettura malata, può e deve partire già oggi. È alla luce di queste riflessioni che, a monsignor Delpini, Repubblica, avrebbe dovuto rivolgere un'altra domanda: se la Cattolica lavora a un'economia «più umanistica», cosa ci fa tra le sue mura l'Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli?
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