2023-06-11
De Benedetti taglia Damilano, la Rai lo tiene
Chiude «Politica», inserto del «Domani» curato dal giornalista che continuerà a scrivere per l’Ingegnere. Nonostante le rivelazioni della «Verità» sulle manipolazioni nell’inchiesta Metropol, invece, l’ex direttore dell’«Espresso» non perderà il programma in tv.«Non perdiamoci di vista», singhiozza Marco Damilano presentando il nuovo (e purtroppo par di capire ultimo) numero di Politica, l’inserto finora allegato a Domani, il quotidiano attualmente diretto da Emiliano Fittipaldi (che ha recentemente preso il posto di Stefano Feltri) e edito da Carlo De Benedetti.«Fare un giornale, per di più un giornale di carta – spiega Damilano – è oggi un’azione eminentemente politica. Per ricostruire il rapporto spezzato tra politica e cultura. Per questo il nostro impegno continuerà, più necessario di prima». Ma continuerà in altre forme, apprenderemo tra poco.Prima, però, non può mancare un’altra massiccia dose di retorica, a proposito di «un’Italia che cammina sul filo, che danza sull’emergenza, come nel mezzo di un’alluvione, la rivelazione di una fragilità. Come il francese Philippe Petit, il funambolo che nel 1974 attraversò lo spazio tra le Torri gemelle a New York, inaugurate un anno prima, percorrendo un cavo di tre centimetri di spessore, a 417 metri di altezza, sospeso nel vuoto». Tutto molto bello, avrebbe chiosato Bruno Pizzul, ma Damilano ormai non si ferma più nel tentativo – è proprio il caso di dirlo, vista la metafora utilizzata – di volare alto: «Si può andare avanti, o restare fermi nell’attesa che gli imprevisti svaniscano. Solo così si può mantenere l’equilibrio, superare i colpi del vento, gli inciampi, la paura di cadere. Ma non si può tornare indietro». Davvero molto poetico: però, intanto, è arrivato il momento del congedo, perché qualcuno deve aver tagliato (se non il filo dell’acrobata) i fondi: «Questa copertina è anche l’ultima di questo giornale inserito in Domani, come un mazzo di fiori del fine settimana, immaginato con Stefano Feltri e con l’editore».E qui – ohibò – sorge spontanea una considerazione. In questo cupo Anno Primo dell’Era Meloni (come ci spiega ogni giorno la stampa progressista), in questo oscuro e inquietante trionfo di fez e camicie nere, nell’Italia illiberale sempre più nelle mani degli squadristi (come ammoniscono le sentinelle della nuova ed eterna resistenza), nel Paese in cui si organizzano orride sfilate di miliziani con il braccio teso davanti al capo dello Stato (secondo «l’interpretazione semantica» di Michela Murgia e Roberto Saviano), lui, l’eroico Damilano, il posto in Rai l’ha comunque conservato allegramente. Diremmo: l’ha mantenuto alla grande. Nemmeno la vicenda del Metropol, e il sospetto avanzato da alcuni che l’Espresso (allora da lui diretto) possa aver più contribuito alla costruzione ex ante di una narrazione anti Salvini che all’esecuzione ex post di una normale inchiesta giornalistica, ha potuto mettere a rischio il suo spazio pagato (lautamente) da tutti i contribuenti attraverso il canone. Dunque, pure l’anno prossimo, all’ora di cena, assisteremo al fervorino serale di Damilano, una sera sì e l’altra pure vibrante di indignazione contro la nequizia del governo. Tutto a spese nostre, si capisce. Ma, mentre quello spazio (pubblico) resta aperto e a sua disposizione, cos’è che invece chiude i battenti (e naturalmente ce ne rammarichiamo)? Lo spazio (privato) pagato da De Benedetti, che – immaginiamo – ha deciso di tagliare un ramo secco, o comunque di compiere una scelta basata su ragioni di mercato.Se dessimo retta al nostro vecchio spiritaccio libertario, dovremmo evocare la privatizzazione dei profitti (in questo caso, il legittimo risparmio di un editore privato) e la socializzazione delle perdite (con il Damilano che resta a carico nostro, cioè dei contribuenti), ma non lo facciamo. Però balza agli occhi l’ennesimo cortocircuito: ciò che – sia pure indirettamente – dipende da un input politico (almeno fino a quando i massimi dirigenti della Rai saranno scelti con gli attuali metodi) è rimasto al suo posto, e quindi il Damilano-uno sarà ancora lì, per lo meno untouched se non untouchable. Mentre il Damilano-due, quello che dipende – direttamente – dal democraticissimo editore progressista, a sua volta inesausto combattente (dalla Svizzera) per la nostra libertà contro gli oppressori neri, viene tagliato. O meglio: presumiamo che continueremo a leggere i suoi commenti su Domani, ma l’inserto non ci sarà più. E questo – inutile negarlo – è un duro colpo per il racconto della presunta censura sovranista e della lotta progressista per la libertà e la verità. Dai, fateci sognare: spiegateci che invece è colpa della Meloni, di Salvini, di Berlusconi. O – se non proprio colpa loro – dimostrateci che almeno ci sia lo zampino di Donzelli, un’impronta digitale di Delmastro, un sussurro di Lollobrigida, la trama occulta (vai con la pista nera!) di qualche nuovo perfidissimo gerarca, o forse un diktat del gruppo di Visegrad, un editto di Orban, un ricatto dei polacchi, o magari una minaccia di Trump, un pizzino partito da a Mar-a-Lago. Non lasciateci così: regalateci un’altra “interpretazione semantica”.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)