
Il Pd si impunta e affossa la mediazione tra i capigruppo. Centrodestra e Iv avevano chiesto che il testo approdasse in Aula tra una settimana. Oggi a Palazzo Madama, con voto segreto, la legge bavaglio può saltare. Il ddl zan non è mai stato così a rischio di finire su un binario morto. Infatti, il buonsenso non è prevalso nello schieramento giallorosso a cui gli altri partiti, a partire da Iv, insieme a Lega e Forza Italia, avevano chiesto un supplemento di negoziato di una settimana. Proposta rifiutata: così, la poco edificante prova muscolare nel Vietnam di Palazzo Madama non potrà essere scongiurata. Ieri c'è stata l'ennesima fumata nera al tavolo di maggioranza (accompagnata, a quanto pare, da toni molti aspri e da urla) a indirizzare verso questo possibile esito una vicenda nata male e proseguita ancora peggio, tra barricate ideologiche, tatticismi elettorali e un sussulto finale del Pd, reso però poco credibile dalla tempistica e dalle circostanze scelte dal segretario Enrico Letta. Perché il fatto che questo disegno di legge, così com'è arrivato da Montecitorio, non avrebbe mai passato il vaglio dell'Assemblea di Palazzo Madama, appariva un segreto di Pulcinella già dalla primavera scorsa, ma a nulla sono valse le raccomandazioni alla saggezza che dal centrodestra, da Iv e dall'ala riformista dem salivano ai piani alti del Nazareno, per l'avvio di una mediazione degna di questo nome sulle parti del provvedimento manifestamente indigeribili a livello giuridico per i garantisti di tutti gli schieramenti, e per quelle eticamente inaccettabili per molti, come ad esempio l'obbligo di portare il tema omotransfobia sui banchi delle scuole cattoliche. Nemmeno il pronunciamento del Vaticano, con la denuncia di una possibile violazione del Concordato, ha smosso in quel frangente il blocco giallorosso dalla volontà del muro contro muro.Quando poi le forze di maggioranza, sotto l'impulso di Matteo Renzi, si sono ritrovate a primavera attorno a un tavolo per entrare nel merito delle possibili correzioni al testo, la volontà dei giallorossi di lucrare in campagna elettorale sulla presunta contrapposizione «libertà contro oscurantismo» ha mandato tutto a carte quarantotto. Morale della favola: l'appello di Iv è caduto nel vuoto e due voti segreti potrebbero sancire l'affossamento definitivo della legge che porta il nome del deputato del Pd a cui, fuori tempo massimo, Letta ha affidato un disperato tentativo di riavvolgere il nastro, come se la frattura pre-elettorale non si fosse mai prodotta. La discussione riprenderà infatti in Aula stamattina alle 9.30 e resta in piedi la richiesta fatta da Lega e Fratelli d'Italia di chiedere il non passaggio all'esame degli articoli, la «tagliola» andando direttamente al voto sul provvedimento. È quanto emerso al termine della conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. «Avevamo proposto un rinvio di una settimana per continuare la mediazione, ora ognuno si prenderà le sue responsabilità», ha detto il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo. La presidente dei senatori dem, Simona Malpezzi, ha ribattuto: «Domani si vedrà chi voleva affossare davvero il provvedimento». Un affossamento molto probabile. Eppure il regolamento di Palazzo Madama ha sempre parlato chiaro (e lo sa bene Roberto Calderoli, espertissimo navigatore degli articoli e dei commi della Camera Alta): sui temi sensibili dal punto di vista etico, a fronte della richiesta di almeno 20 senatori o dell'equivalente in capigruppo, lo scrutinio può essere segreto. Se si pensa che la richiesta del centrodestra di sospendere l'esame, lo scorso luglio, è stata respinta per un solo voto, è facile capire come la mossa di Letta per una trattativa last minute è arrivata come ultima ratio per evitare la Caporetto in aula sotto forma di quella che tutti ormai chiamano la «tagliola» di Calderoli.Ancora ieri si è registrata per tutta la giornata una certa ambiguità da parte degli esponenti del Pd, che da una parte sponsorizzavano il negoziato sul testo e dall'altra, per bocca dello stesso intestatario della legge Alessandro Zan, mettevano paletti più o meno su tutti i punti critici in ballo, l'ex-capogruppo Pd Andrea Marcucci osservava che «una legge è meglio di nessuna legge», M5s e LeU si sfilavano compiaciuti dal tavolo di maggioranza, con l'ala radicale dei dem che, sostanzialmente, tifava per un nuovo fallimento di quest'ultimo. A un certo punto, ai più è sembrato il classico cane che si morde la coda, col Pd che, dopo aver chiesto il ritorno al negoziato, poneva come condizione al centrodestra quella di ritirare la «tagliola», provocando così l'inevitabile reazione contraria anche dei settori più dialoganti dello schieramento avverso, come testimonia il fatto che Forza Italia, pur volendo approvare una legge anti-discriminazioni e avendo manifestato una volontà di discutere un pacchetto di emendamenti, non ha potuto che avallare la richiesta di non passaggio agli esami avanzata da Lega e FdI, avendo constatato il perdurare della rigidità del centrosinistra. Si torna, dunque, alla roulette russa del voto segreto in Aula, la probabile Waterloo di chi ha preferito fare propaganda sulla pelle dei più deboli, piuttosto che fornire loro uno strumento più efficace di tutela dalle angherie e dalla violenza.
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