2018-05-09
Dava la caccia al porco Weinstein ora si dimette accusato di molestie
Eric Schneiderman, procuratore generale di New York, era diventato l'idolo delle femministe per la crociata contro il produttore e le sue posizioni pro aborto. Quattro donne lo definiscono «misogino e sadico sessuale».New York è decisamente meno cruenta: il collo di Eric Schneiderman, procuratore generale di New York, è stato mozzato solo metaforicamente. Ma anche nel suo caso siamo di fronte a un insigne rappresentante del terrore, un Robespierre della molestia sessuale. Stiamo parlando dell'uomo che, lo scorso febbraio, ha avviato un procedimento civile contro Harvey Weinstein, il Mostro di Hollywood per eccellenza. Non solo: Schneiderman, pochi giorni fa, ha deciso di indagare pure sul procuratore di Manhattan, Cyrus Vance Jr, e sul dipartimento di polizia della Grande Mela, cioè le istituzioni che, nel 2015, rifiutarono di perseguire Weinstein. Insomma, abbiamo a che fare con il cane da guardia del Me too, il Supremo Censore divenuto, nei mesi scorsi, l'idolo delle femministe più esagitate. Parlando del comportamento di Weinstein, Schneiderman ebbe a dire: «Non abbiamo mai visto niente di così spregevole». Beh, forse perché non aveva mai guardato in casa propria. Il procuratore newyorkese è stato costretto a dimettersi dopo che quattro donne lo hanno accusato di pesanti molestie sessuali. Come da recente tradizione, le denunce sono avvenute a mezzo stampa, tramite un articolo del New Yorker, rivista che ha vinto il Pulitzer (assieme al New York Times) proprio per gli articoli sul caso Weinstein. Ancora una volta, l'autore del servizio è Ronan Farrow, il vero inquisitore del Me too, figlio di Mia Farrow e Woody Allen (o, più probabilmente, Frank Sinatra). Delle quattro accusatrici, due hanno preferito rimanere anonime, le altre invece si sono esposte direttamente. Si tratta di Michelle Manning Barish, attivista democratica, e Tanya Selvaratnam, intellettuale femminista autrice di saggi di successo. Entrambe hanno avuto relazioni piuttosto lunghe con l'ormai ex procuratore. La Barish è stata la sua compagna dall'estate del 2013 fino all'inizio del 2015, mentre la Selvaratnam ha fatto coppia con lui dall'estate del 2016 all'autunno del 2017. Secondo la Barish, Schneiderman amava abusare di alcol e persino di pillole. L'avrebbe più volte picchiata, schiaffeggiandola con forza tale da mandarla al pronto soccorso, e costretta a rapporti non consensuali. La chiamava «puttana», la umiliava, sapeva come «ridurre in pezzi una donna forte». Pare che arrivasse al punto di controllare ciò che mangiava, costringendola a dimagrire oltremisura. Più o meno identiche le accuse della Selvaratnam: «Era un misogino e un sadico sessuale», ha detto la donna. Schneiderman la chiamava «schiava marrone», le sputava addosso, la picchiava finché lei non si piegava al «padrone». Le signore hanno taciuto a lungo. La Barish aveva raccontato qualcosa a Salman Rushdie, celebre scrittore e suo ex compagno. Ma non si è mai rivolta alle autorità. Anzi, di fronte ai medici ha sempre coperto Schneiderman. Entrambe hanno spiegato di essere terrorizzate dal molestatore, che le avrebbe anche minacciate ripetutamente, intimando loro di tacere. Le due si sono decise a parlare solo quando hanno visto l'uomo che le picchiava e abusava trasformarsi in un paladino anti molestie. «La sua ipocrisia è clamorosa», dice rabbiosa la Barish. Schneiderman, ovviamente, smentisce. Ai suoi portavoce ha fatto dire che «nella privacy di alcune relazioni intime si è trovato coinvolto in alcuni giochi di ruolo e altre attività sessuali consensuali», e ci ha tenuto a ribadire: «Non ho aggredito nessuno e non sono mai stato coinvolto in sesso non consensuale, una linea che non oltrepasserei mai». Le sue ex la pensano diversamente, e in effetti l'articolo del New Yorker è piuttosto dettagliato. Di sicuro, emerge il profilo di un uomo soffocante, manipolatorio, borderline. Vere o no che siano le accuse, il metodo lascia decisamente perplessi e pure un po' spaventati. Niente giuria né tribunale: ai tempi del Me too si viene dati in pasto alla folla senza possibilità di difesa. Va detto che Schneiderman è stato decapitato con la spada che lui stesso aveva brandito fino al giorno prima. Le sue intemerate contro Weinstein e pure contro Donald Trump servivano a candidarlo come successore del governatore di New York, Andrew Cuomo. Ora la sue ambizioni politiche sono state stroncate. C'è un aspetto curioso in tutta questa vicenda sanguinosa. Tutti i protagonisti sono esponenti dell'ambiente democratico. Sinceri progressisti che frequentano i salotti bene e nel privato ne fanno di ogni. Delle frequentazioni di Weinstein sappiamo. Schneiderman era molto coccolato dai liberal, soprattutto dalle femministe. Il primo maggio ha ricevuto il premio «Champion of choice» concesso dall'associazione pro aborto National institute for reproductrive health. Le sue posizioni abortiste erano note e apprezzate da molti. Il suo caso ricorda molto da vicino quello di altri due politici democratici di New York: Eliot Spitzer, ex governatore, si è dimesso nel 2008 dopo che fu beccato a frequentare prostitute; Anthony Weiner, membro del congresso, lasciò dopo che divennero pubblici i messaggi hard che mandava a giovani ragazze via chat. A stabilire un collegamento fra i tre ci aveva già pensato, addirittura nel 2013, Donald Trump. Via Twitter, scrisse: «Weiner è andato, Spitzer è andato. Il prossimo sarà il peso leggero Schneiderman. È un malfattore? Aspettate e vedrete, peggio di Spitzer e Weiner». Chissà, magari dai salotti buoni gli era arrivata qualche voce sulle abitudini di Schneiderman. O forse l'eco dei ceffoni si era udito fin dentro la Trump Tower.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)