2020-07-01
Danno la colpa a Salvini anche dei fasci rossi
A Mondragone i centri sociali impediscono di parlare al leader della Lega con la violenza. Per i giornali però è stato l'ex ministro a provocare e ad andarsela a cercare. La storia si ripete: per la sinistra il diritto di parola non è universale, vale solo per gli amici.Se un marziano fosse sceso ieri sulla terra e si fosse fermato a un'edicola per comprare la copia della Stampa, giornale sabaudo della famiglia Agnelli, avrebbe concluso che un gruppo di appartenenti ai centri sociali era caduto vittima del tranello tesogli da Matteo Salvini. Il perfido capitano leghista infatti lunedì è sceso dalla Padania fin giù giù a Mondragone, paese del litorale casertano dove si sono registrati casi di coronavirus ma soprattutto disordini per via della presenza di un gruppo di rom. Ufficialmente il viaggio avrebbe dovuto consentire all'ex ministro dell'Interno di incontrare la gente del posto che non vuole gli abusivi accanto a casa propria e perciò li vorrebbe rispedire dalle parti da cui provengono. Ma in realtà il vero obiettivo dello scaltro Salvini era avvicinarsi ai palazzi illegalmente occupati, dove anche le forze dell'ordine faticano a entrare, per poi far scattare un trappolone. Un gruppo di antagonisti, cioè di militanti dei centri sociali, senza neppure accorgersene è caduto vittima dell'agguato leghista, impedendo al leader padano di parlare. Striscioni, urla, insulti, lanci di sassi, uova e acqua. Le cose più tenere che si siano sentite sono state buffone e sciacallo. I manifestanti hanno provato a sovrastare con le grida il discorso di Salvini, ma visto che questo procedeva imperterrito e per di più supportato da robusti altoparlanti, alla fine qualcuno si è incaricato di tagliargli i fili, al fine di zittirlo. Che poi è ciò che intimamente Salvini desiderava, ovvero di essere censurato per potersi atteggiare a martire. «I contestatori non capiscono qual è il gioco», scriveva ieri La Stampa a uso e consumo del marziano arrivato sulla terra, «e gli servono su un piatto d'argento le munizioni del vittimismo. Una storia già vista». Il titolo del commento è ancora più efficace: «Chi fischia il Capitano lo aiuta». Tuttavia il quotidiano sabaudo non è il solo a pensare che non solo Salvini se le vada a cercare, le contestazioni, ma addirittura le provochi, nella speranza di trarne un vantaggio politico. Lasciamo perdere le cronache apparse su altri quotidiani, dove i cronisti faticano a nascondere la soddisfazione di aver visto Salvini battere in ritirata, senza poter concludere il suo comizio. Sul Corriere della Sera ad esempio si accosta il nome dell'ex ministro a quello dell'ex segretario generale della Cgil, Luciano Lama, cui nel 1977 fu impedito di parlare all'università La sapienza di Roma. Paragonarlo al famoso sindacalista è decisamente troppo secondo l'inviato a Mondragone, e però «adesso anche Salvini ha il suo comizio negato, nemmeno iniziato, soffocato sotto una valanga di fischi, cori e canzoni a sfotterlo». Sì, insomma, ci siamo capiti, l'ex ministro se l'è cercata, «perché le sue visite al Sud hanno spesso questa impostazione». In pratica il senso è che Salvini va a caccia di guai. Non va lungo la costiera campana per farsi una vacanza, come accadde un anno fa in Romagna. Va là dove sa che esiste un problema, per appoggiare una protesta e portare la sua solidarietà. «Ma stavolta il Capitano ha fatto male i conti», spiega Repubblica, perché, è sott'inteso, ha trovato pane per i suoi denti, ovvero chi lo ha contestato, così impara a gettare benzina sul fuoco. Concetto espresso mica solo sui giornali, ma anche in tv, dove l'altra sera mi è toccato precisare che nessuno ha il diritto di impedire a nessuno di parlare. Che si chiami Salvini, Di Maio, Zingaretti o Conte, qualsiasi leader politico può andare dove vuole e fare comizi dove gli pare. Dirlo mi sembrava perfino banale. Ma fino a un minuto prima avevo sentito spiegare con una certa saccenteria che se c'era chi aveva contestato il leader leghista era perché questi si era spinto là dove non avrebbe dovuto, cioè in una «zona rossa». Ma l'idea che si debba togliere il diritto di parola o impedire a qualcuno di entrare in una città è roba d'altri tempi, quando i comunisti erano pronti a spaccare le teste e mettere a ferro e fuoco le città pur di impedire un comizio. Ricordate? Era il 30 giugno di 60 anni fa quando Cgil e Pci si mobilitarono contro Giorgio Almirante allo scopo di impedire un congresso del Msi a Genova. Scontri, sassi lanciati e cassette delle lettere divelte: alla fine in 43 finirono a processo. Anche allora si pensava che la colpa fosse del segretario del Movimento sociale, perché aveva scelto Genova per gettare benzina sul fuoco. Ma in realtà ad appiccare l'incendio oggi come allora sono sempre coloro che si dicono democratici. L'altro ieri a Mondragone per fortuna non è accaduto nulla di grave, nel senso che non ci sono state teste spaccate o arresti. E però la matrice dell'intolleranza è la stessa di 60 anni fa. Per dirla con un vecchio titolo di un libro dedicato a quanti erano passati direttamente da Mussolini a Togliatti, senza soluzione di continuità: Fascisti rossi.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)