2018-09-15
Dall’Onu uno sberlone a Macron. In Libia niente elezioni fino al 2019
La risoluzione è un colpo tremendo alle strategie transalpine, e ridà speranza alla nostra politica estera. Dopo 7 anni Roma ha in mano le carte per invertire le relazioni di forza e riportare la stabilità nel Paese.Come dimostrano le recenti dichiarazioni del commissario europeo Pierre Moscovici, che negli ultimi giorni ha pesantemente attaccato l'Italia, e la maretta che si respira nei corridoi governativi parigini, il presidente francese Emmanuel Macron sta incominciando a perdere la pazienza nei confronti del nostro governo. Mentre l'inquilino dell'Eliseo tratta con il gruppo liberale dell'Alde in vista delle future elezioni europee e cerca di incontrare in segreto il nuovo premier sloveno Milan Šarec per convincerlo ad affiliarsi al gruppo dei liberali in modo da far fronte comune contro le politiche di Roma, l'Italia riesce a rigirare a proprio favore lo scenario libico. Le sommosse che da fine agosto hanno comportato 80 morti e centinaia di feriti sono riuscite definitivamente a convincere le grandi potenze del fatto che il presidente libico internazionalmente riconosciuto Fayez Al Serraj non detiene alcun vero potere sul Paese, che il suo contendente cirenaico Kalifa Haftar rappresenta oramai un tassello indispensabile in qualsiasi futura soluzione stabilizzatrice e che la situazione sul terreno non è assolutamente adatta allo svolgimento di regolari elezioni politiche. Sulla base di tali deduzioni il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione presentata dal Regno Unito, dietro cortese suggerimento americano, con cui si estende di un anno la missione militare, ma soprattutto si cancellano del tutto le elezioni previste per il 10 dicembre prossimo. Dato che a fissare la data era stato proprio Macron durante il summit parigino sulla Libia svoltosi a maggio con cui ha cercato d'estromettere l'Italia dal dossier, la risoluzione rappresenta un colpo tremendo nei confronti delle strategie francesi ed apre uno spiraglio di speranza per la nostra politica estera. In seguito all'incontro di Matteo Salvini con il presidente egiziano Al Sisi, protettore di Haftar, avvenuto a metà luglio il governo italiano è riuscito a modificare il proprio approccio nei confronti della crisi nordafricana. Grazie al nulla osta americano perfino il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi ha palesemente abbandonato la posizione politicamente corretta e per troppo tempo menomante degli interessi italiani consistente nell'accettare Al Serraj come unico interlocutore possibile. Ora la situazione geopolitica in Libia è resettata. Con il suo recente viaggio a Bengasi, Enzo Moavero ha preso atto della realtà, ha ripreso da Salvini la guida della diplomazia e ha rimesso realpoliticamente in carreggiata l'Italia nel caos libico. La decisione del Consiglio di sicurezza sostiene tutto ciò. Poiché i cambi di rotta politici pretendono sempre anche delle vittime ad essere sacrificato sul campo sarà molto probabilmente l'attuale ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Perrone, difensore fino ad ora della linea ufficiale espressa dalla Farnesina, ma per il quale lo scenario libico diventa ora impraticabile dato che recentemente in un'intervista rilasciata in lingua araba si era spinto a definire il generale Haftar come persona non grata. Sette anni addietro Nicolas Sarkozy iniziò la guerra contro il generale Mohamar Geddafi per togliere la Libia alla sfera d'influenza italiana. Due presidenti francesi più tardi il governo di Roma ha finalmente in mano le carte per invertire le relazioni di forza tentando di riportare la Libia sulla strada della stabilità. I servizi segreti dovranno aggiornare la propria strategia, l'Eni dovrà divenire ancora più proattiva e la Farnesina dovrà saper bilanciare molto bene gli interessi delle grandi potenze. La Libia è un Paese economicamente disastrato con enormi potenzialità congelate a causa delle divisioni politiche. Ora che è divenuto chiaro come l'approccio debba per forza di cose essere di tipo inclusivo, il nostro governo potrebbe cogliere l'opportunità per costringere le fazioni a compromessi di lungo termine. Pretendendo dalle parti che finalmente inizino a collaborare nella gestione della banca centrale o del fondo sovrano si potrebbe aiutare la società libica ad uscire dalla crisi sociale ed economica nella quale si trova. Una reale gestione delle istituzioni finanziarie, fino ad ora resa impossibile dalla mancata collaborazione delle varie parti in lotta, permetterebbe di controllare l'inflazione, porre i margini al mercato nero, condividere le entrate del greggio e richiedere lo sblocco dei fondi congelati nelle banche estere. Ora che non vi è più la pressione delle incombenti elezioni legislative si delinea la possibilità di un'azione calmierante che isoli gli estremisti, apra il confronto tra i leader nazionali e permetta lo sviluppo di una governance istituzionale i cui benefici possano essere equamente ripartiti come ai tempi di Gheddafi.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».