
Una serie di indizi rivelano che l'accordo tra Pd e pentastellati era in cantiere da mesi. Con il sostegno europeo a Ursula Von der Leyen è diventato chiaro che il M5s aveva scelto di stare con Angela Merkel.Siamo ben oltre i tre indizi che fanno una prova, direbbe Agatha Christie. L'inciucio tra il Movimento 5 stelle e il Pd ha inanellato, nell'ultimo anno e mezzo, tutta una serie di prove a sostegno che nemmeno l'intuito dell'ispettore Hercule Poirot riuscirebbe a smontare. Già dopo le elezioni del marzo 2018, i dem e i grillini avevano flirtato con tanto di incarico esplorativo al neo presidente della Camera, Roberto Fico, per trovare una possibile intesa sui nomi e sui programmi. Giorni di vertici più o meno riservati che, per l'attivista napoletano diventato terza carica dello Stato, si erano conclusi dopo la cerimonia per la Festa della Liberazione dell'anno scorso con un incontro con l'allora premier Paolo Gentiloni. A sostenere il matrimonio erano in tanti, ma in due si erano spesi più degli altri dalla parte del Nazareno: Michele Emiliano e Walter Veltroni che, in quelle frenetiche giornate di consultazioni, consigliava al Pd di «dialogare sul governo» con il M5s «con la regia del capo dello Stato, a certe condizioni programmatiche». Parole che sembrano dette oggi.Saltato l'accordo, a maggio arrivarono puntuali parole di severa censura dal senatore a vita Mario Monti. L'ex presidente del Consiglio, nel corso della trasmissione «1/2h in più», espresse tutto il rammarico per le mancate nozze tra il Sacro Blog e gli ex comunisti: «La mia opinione, espressa a diversi esponenti del Pd, è che il Pd aveva l'occasione d'oro, nel momento in cui M5s avesse chiesto di sostenere qualcosa con loro, di non dire di no, sedersi al tavolo, ma porre condizioni molto esigenti che siano nell'interesse del Paese ad esempio sul rapporto con l'Europa e i conti pubblici. E invece hanno fatto una pantomima non utile per l'immagine del partito». Già, l'Europa. Quella stessa che, dopo mesi e mesi di ostilità e ostracismo per le manovre e le politiche sovraniste dell'Esecutivo Lega-M5s, oggi tratta il premier Giuseppe Conte come un novello Winston Churchill. «Uno dei migliori esempi di lealtà in Europa», ha detto l'altro giorno, in occasione dell'apertura del G7 di Biarritz, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Che ha ribadito la stima nei confronti del professore pugliese, senza alcuna riserva: «È sempre difficile difendere gli interessi nazionali e trovare soluzioni europee, ma su di lui posso dire solo cose positive». Una scena che si è ripetuta quando il premier è arrivato alla riunione dei leader Ue, che precedeva il vertice, all'interno dell'hotel dove alloggiavano i capi di Stato e di Governo. Ad accogliere «con particolare affetto e calore» Conte, raccontano le veline del Minculpop di Bruxelles, sono stati il padrone di casa Emmanuel Macron (lo stesso che giusto qualche mese fa aveva accusato l'Italia di essere «cinica» e «irresponsabile» sui porti chiusi, e il cui portavoce aveva chiamato «vomitevole» la nostra politica per la sicurezza) e la tedesca Angela Merkel. Domande, consigli, incoraggiamenti, hanno urlato i megafoni di Bruxelles e Strasburgo. Con la cancelliera che, a fine riunione, ha fatto addirittura cambiare tragitto al convoglio che dall'hotel Bellevue l'avrebbe portata alla sede del G7 per non disturbare le dichiarazioni di Conte ai giornalisti. Parbleu, direbbe Poirot. D'altronde, il M5s aveva pur sempre votato - risultando determinante - l'elezione a presidente della Commissione Europea del «falco» tedesco Ursula von der Leyen, fedelissima proprio della Cancelliera, in opposizione alla linea leghista. Dell'improvvisa virata a sinistra di quelle ore, si era accorto subito un vecchio volpone come Massimo D'Alema che aveva invitato la sua parte politica a capitalizzare questa rottura. I grillini, secondo l'ex premier Ds, avevano «compensato persino i contorcimenti di una sinistra che come si vede non è in difficoltà solo in Italia». È stato ascoltato.Sulla vocazione europeista dei grillini si era espressa pure l'eurodeputata Barbara Spinelli. «Il M5s comprende molti elementi, anche liberali, tanto che nell'Europarlamento ha provato ad allearsi con l'Alde, il gruppo dei liberal democratici europeisti di Guy Verhofstadt. Ma sicuramente il M5s ha una forte componente di sinistra». L'esponente della lista Tsipras aveva (non) a caso vaticinato: «L'alleanza più coerente sarebbe quella con Pd e Leu, anche se la maggioranza sarebbe esilissima e dipendente da fedeltà improbabili».Problema che non si è posto l'amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, di area grillina, che ha fiutato l'aria che cambiava già da diverse settimane trasformando la tv pubblica nel laboratorio del possibile accordo tra la Casaleggio Associati e il Nazareno. Non solo autorizzando una serie di nomine di stretto rito dem, come raccontato nei giorni scorsi dal nostro giornale, ma attuando uno spoil system al contrario: leghisti nel recinto, campo libero ai cavalli del Pd. Son nate così le manovre per salvare lo stipendio milionario di Fabio Fazio e per dare vita al programma di Gad Lerner e per rinsaldare la linea arcobaleno delle tre Reti. Non proprio evidenti priorità della politica culturale italiana.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.