2018-09-05
Dalla palude libica possiamo ancora salvarci
Lo stop agli scontri ha costretto Parigi a una dichiarazione ufficiale di non ostilità ai nostri interessi. D'altra parte per Emmanuel Macron puntare tutto sui ribelli è pericoloso: anche Khalifa Haftar non appoggia in chiaro la rivolta. Il nostro «jolly» è aprire un canale con l'Egitto.La situazione in Libia è così confusa che potrebbe addirittura implodere. Riprendendo di fatto una valenza locale piuttosto che internazionale. Al di là dei desideri francesi stimolati da Emmanuel Macron, le milizie che in questi giorni stanno cercando di assalire il centro di Tripoli sembrano disposte a trovare un accordo (come dimostra verosimilmente il cessate il fuoco raggiunto anche grazie all'Onu). L'obiettivo è sicuramente quello di conquistare un quartiere della città. O almeno di conquistare il proprio posto al sole. Che tradotto significa garantirsi balzelli sulle attività, i traffici e i commerci. Più o meno illegali. Nei giorni immediatamente precedenti al caos che fino a oggi ha causato poco più di 50 morti, la capitale libica ha subito uno stop alle importazioni di materie prime. Il che lascia pensare che almeno una parte del governo ufficiale, quello guidato da Fayez al Serraj, sia disposta a boicottare il capo in cambio di maggiore visibilità. Salah Badi la scorsa settimana ha annunciato di voler prendere il controllo della capitale e, di conseguenza, detronizzare Serraj. Badi sostiene la cosiddetta Settima brigata e le milizia legate al fronte Sumud già note alle cronache del 2014 quando sferrarono un violento attacco al governo in carica a Tripoli. Ma soprattutto il nome di Badi riporta alla Francia di Sarkozy. Il militare ha avuto un ruolo di primo piano nella detronizzazione di Mohammar Gheddafi nel 2011. Badi nel 2016 ha lavorato per per Khalifa Ghwell, il leader politico che ha più volte tentato di ribaltare dall'interno il governo di Tripoli. Gwell fu contatto anche dai 5 stelle nella persona di Angelo Tofalo, che prese un volo per Instabul dove Gwell era in esilio. Appare dunque chiaro che un eventuale ribaltamento di forze a Tripoli potrebbe sfuggire di mano anche ai francesi. Se questi ultimi appoggiano il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, non si può con tutta certezza affermare che il capo del governo di Tobruk sia dietro le milizie che attaccano Tripoli. Haftar o meglio il suo governo (dal momento che si fanno sempre più insistenti le voci di una grave malattia del leader) non può farsi beccare con le mani nella marmellata. Ha accettato una road map che vorrebbe portare a elezioni politiche entro fine anno e intervenire fornendo armi alle milizie significherebbe perdere legittimità politica. Il che significa riconoscere dunque un ruolo politico alle stesse milizie combattenti che con questa mossa potrebbero ricavarsi (oltre a una fetta di ricchezza) anche un ruolo politico alle prossime elezioni. Questo dettaglio non è irrilevante. Va infatti notato il silenzio di grandi player. Gli Stati Uniti si sono limitati a sporadici strike aerei e l'Egitto che insiste a essere il Paese forte dell'area non mandato alcun sostegno militare. Dal canto suoAl Fattah al Sisi ha insistito nelle scorse settimane affinché l'Italia non aprisse canali ufficiali con il governo di Haftar. L'obiettivo è per il Cairo rimanere la nazione mediatrice tra l'Italia e la parte Est della Libia. A questo punto se il nostro governo saprà giocarsi la partita potrà far valere questa posizione in modo da evitare una eccessiva presenza francese a Tripoli. Non a caso dopo l'intervento di mediazione dell'Onu, Parigi è intervenuto ufficialmente sulla questione, non dichiarandosi ostile al nostro Paese. Il Quai d'Orsay, richiamandosi alla dichiarazione congiunta di Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti del primo settembre scorso, ha deciso di «condannare la continuazione degli scontri a Tripoli e deplora le numerose vittime di queste violenze». «Noi», prosegue la dichiarazione, «non siamo contro l'Italia e sosteniamo gli sforzi del rappresentante speciale dell'Onu Ghassan Salamè per trovare la strada di un ritorno alla calma. Noi chiediamo alle parti coinvolte di trovare una soluzione pacifica alla situazione attuale per impedire muove perdite di vite umane».Ancora, il ministero degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, ha ribadito «il sostegno alla mediazione dell'Onu ed al lavoro di Salamè, che opera per una riconciliazione intralibica e per la stabilizzazione indispensabile del Paese, nel quadro del piano d'azione» confermato dal Consiglio di sicurezza il 16 luglio scorso. Al di là del politichese, se c'è stato un tentativo di blitz con l'obiettivo di creare il caos e quindi far cadere nel tranello il governo italiano, la mossa non è andata a buon fine. I blitz riescono in poche ore oppure si incistano e contribuiscono solo a far ripartire nuove trattative. Se nessuna delle parti in causa è disposta a tirare la corda, significa che nemmeno la Francia potrà alzare i toni ulteriormente. Esiste infatti solo un modo a questo punto di cambiare gli equilibri: intervenire militarmente. Nessun Paese europeo è però disposto a farlo a meno che a guidare il coro siano direttamente gli Stati Uniti di Donald Trump. I quali stanno concentrando militari in Niger. Al momento nulla più. Trump dovrà prima o poi prendere una decisione. Potrebbe però essere quella di tenere Roma in stand by ed evitare che Parigi si mangi la Libia. Tutto andrebbe a beneficio del governo di Al Sisi. In questa logica l'unica azienda che va salvaguardata per il momento è l'Eni.
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