2022-03-31
L’intrigo delle armi di D’Alema spacca Fincantieri e maggioranza
L’ad Giuseppe Bono ha tentato di far dimettere il direttore generale Giuseppe Giordo, che gli ha risposto con durezza: «Non ho colpe. Dell’ex premier sapevi anche tu, così come della collaborazione con Ernst&Young». Intanto Italia viva e Forza Italia vanno all’assalto: «Il Mef spieghi. E Profumo non può rimanere alla guida di Leonardo».I giornali di ieri (anticipati dai siti Sassate e Dagospia) hanno dato la notizia della prima «testa che rotola» dopo lo sconquasso creato dalla nostra inchiesta a puntate sulla trattativa per vendere armamenti alla Colombia con il patrocinio di Massimo D’Alema. Lo scalpo è quello del direttore generale della Divisione navi militari di Fincantieri Giuseppe Giordo, il quale, a gennaio, ha firmato un Memorandum of understanding insieme con il direttore commerciale Achille Fulfaro e con due capitani di fregata (per qualcuno in pensione) della Marina colombiana nell’ambito della trattativa per la vendita di 2 fregate e 2 sommergibili. A Bogotà c’erano anche il responsabile per l’America Latina di Fincantieri, Stelio Antonio Vaccarezza e Aurora Buzzo, project e negotiation manager. Ma a pagare per tutti sembra che al momento sia solo Giordo. Nell’azienda triestina è in corso un audit coordinata dal presidente Giampiero Massolo, in partenza per Atlantia, (già direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), ma l’ad Giuseppe Bono ha giocato d’anticipo e ha congelato le deleghe operative del dg prima della conclusione dell’indagine interna. Bono ha voluto lanciare un segnale a chi dovrebbe a stretto giro confermarlo, nonostante guidi l’azienda dal 2002 e abbia ormai compiuto 78 anni? Non lo sappiamo. Mentre possiamo scrivere con ragionevole certezza che l’ad, il 21 marzo scorso, aveva chiesto a Giordo di autosospendersi, trovando la ferma resistenza del manager, dal momento che questi ritiene di essersi attenuto a tutte le regole.Per questo il 24 marzo ha risposto con un accorato messaggio di posta, con cui rispedisce al mittente «la richiesta di prendere in via spontanea una decisione così importante come quella di allontanarmi temporaneamente dall’azienda», incassando poi la sospensione decisa da Bono. Il motivo del rifiuto? «Mi pare più un’ammissione di colpe (che non ho), che una misura capace di porre fine a questo ingiusto attacco mediatico» ha scritto. Nei giorni precedenti Giordo aveva consegnato una relazione sulla vicenda colombiana svelata dal nostro giornale, che Bono aveva liquidato giudicandola «insufficiente» e troppo stringata («una paginetta»). Il dg ha ribattuto che quel documento non era un’«autodifesa», ma serviva a «fornire sinteticamente il punto di vista dell’azienda nella sua interezza» e che lui non aveva violato «nessuna regola di compliance». Le trasferte della sua divisione a metà dicembre a Cartagena de Indias e a fine gennaio a Bogotà sarebbero state «solo finalizzate a verificare […] l’affidabilità di un’iniziativa che, ove mai si fosse realmente concretizzata, avrebbe potuto rappresentare una commessa sicuramente importante».Giordo sostiene di aver informato della propria iniziativa il capo prima di volare in Colombia: «Questa situazione le fu da me personalmente riferita prima della partenza e io stesso ebbi a sottolineare l’esigenza (a tutti sempre rappresentata) che in un ambiente così nuovo, e così difficile, ci si muovesse con ogni cautela, per evitare l’insorgere di fraintendimenti o di equivoci». Dunque, secondo Giordo, Bono avrebbe avuto notizia della trattativa in corso e anche il «coinvolgimento del presidente D’Alema» non sarebbe stato un segreto: «Le fu sin da subito rappresentato (come era giusto che fosse), anche se non da me direttamente» ricorda a Bono, Giordo. Per quest’ultimo «a fronte di una manifestazione, seppur generica, di interesse» da parte del governo colombiano, l’unica cosa da fare era «verificarne la fattibilità, con degli incontri nel Paese del team commerciale», mentre la sua presenza si era resa necessaria in vista di un «potenziale incontro con il ministro della Difesa che poi non è avvenuto». Giordo evidenzia come il collega Fulfaro abbia «seguito in ogni sua fase la vicenda, anche autorizzando preventivamente attraverso il suo staff la presenza, a titolo gratuito, dello studio Robert Allen Law», quello «segnalato» da D’Alema in persona. Un ufficio legale, specifica il dg, «peraltro già sperimentato con successo in passato da Fincantieri Usa», notizia che Giordo avrebbe appreso all’epoca dei fatti.Il manager sospeso, stando alla missiva, sembra non avere nulla da rimproverarsi neppure a proposito del memorandum che non sarebbe altro che «una minuta di riunione, (conformemente alla prassi consolidata)» che avrebbe consentito «in tempi brevissimi» di «verificare l’inconsistenza dell’interesse verso la possibile fornitura» da parte della Marina militare colombiana.Ma la vera chicca contenuta nella lettera è quella che Giordo inserisce a proposito di D’Alema: «Precedentemente al mio arrivo in Fincantieri, aveva collaborato con la nostra azienda tramite contratto con Ernst&Young». In effetti il 9 settembre 2019 E&Y e Fincantieri, rappresentata da Federico Riggio, dirigente dell’area commerciale con responsabilità per il Medio Oriente, firmano un accordo di consulenza e assistenza legale. A quel tempo Giordo non lavora ancora in Fincantieri ed è l’ad Bono a tenere le redini del colosso industriale. E&Y garantisce di fornire servizi di reporting industriale «con particolare riferimento ai paesi del Kuwait e del Libano» oltre che servizi di reporting giuridico-regolatorio e di studio economico industriale. Il prezzo della consulenza vale 400 euro l’ora per le prime 200 ore e 420 per ogni successiva fino al «raggiungimento di un importo massimo complessivo di 560.000 euro». A quanto risulta alla Verità Fincantieri alla fine ha pagato 400.000 euro. Era prevista anche un’ipotesi di «assistenza giuridica e fiscale, anche in riferimento alle normative locali». Qui il tetto massimo previsto era di 400.000 euro, ma la Fincantieri non avrebbe usufruito di questa opzione.Per Libano e Kuwait gli esperti di E&Y avrebbero dovuto predisporre due report mensili con identificazione di progetti o gare e relativi competitor per Fincantieri; di stazioni appaltanti o committenti; di partner locali; descrivere oggetto, termini e condizioni di gara. Il tutto all’interno di una cornice generale di analisi dei Paesi interessati.L’accordo sarebbe stato siglato due mesi dopo un viaggio di D’Alema (erano gli inizi di luglio del 2019) in Libano in compagni di Riggio, con volo e soggiorno pagati da Fincantieri.Baffino a Beirut, nell’agosto del 2006, quando era ministro degli Esteri del secondo governo Prodi, era stato protagonista, dopo un bombardamento israeliano, di una contestata passeggiata tra le macerie della città a braccetto con un deputato del «Partito di Dio», l’organizzazione paramilitare islamista di Hezbollah, Hussein Haji Hassan. Una sfilata rivendicata nel 2016, in un’intervista al Corriere della sera, quando l’ex primo ministro aveva dato dei «trogloditi» ai critici, che non avevano capito come lui stesse lavorando per la pace. Sarà per quel suo encomiabile impegno che qualche amico sembra essergli rimasto nel Paese dei cedri. Fatto sta che a settembre e ottobre 2019 ha partecipato come ospite a due eventi di E&Y, uno a Capri e uno a Milano, e successivamente è stato ufficialmente arruolato come presidente dell’advisory board della società inglese.Ma torniamo alla Colombia. Nel dicembre scorso D’Alema si era concretamente attivato nell’organizzazione del primo incontro tra Vaccarezza di Fincantieri e l’ammiraglio Rafael Callamand presso gli uffici della Cotemar (l’omologo di Fincantieri in Colombia) a Cartagena il 14 del mese: «Loro risponderanno che sono pronti a venire il 7 o l’8 (dicembre, ndr). […] Verranno con una proposta strutturata. Compresa la parte finanziaria» aveva vaticinato l’ex premier, dimostrando di conoscere i dettagli. Poi aveva dato le ultime istruzioni: «L’importante è che Fincantieri e la Marina colombiana si capiscano. Il nostro obiettivo è che dopo il 14 (dicembre, ndr) inizi una trattativa diretta».Esattamente una settimana dopo l’appuntamento davanti al mar dei Caraibi, il 21 dicembre, a quanto risulta alla Verità, D’Alema si è recato negli uffici romani di Fincantieri per un pranzo con l’ad Giuseppe Bono e con una terza persona. L’ex premier, a sette giorni dall’abboccamento di Cartagena, è entrato nei particolari dell’affare che stava portando avanti? Secondo una fonte i due avrebbero parlato anche di Colombia. Ieri da Fincantieri hanno parzialmente smentito la nostra ricostruzione: «Non riteniamo di dover rendere conto delle colazioni di lavoro dell’amministratore delegato. Però possiamo assicurare che D’Alema e Bono non hanno mai parlato di Colombia e quindi neanche della visita a Cartagena». E il viaggio di Riggio con D’Alema in Libano? «Riggio è andato lì per lavoro, ma non insieme con D’Alema. E lo studio Robert Allen Law non ha mai ricevuto alcun incarico da Fincantieri. Neanche negli Stati uniti». Da Ernst&Young, invece, non abbiamo ricevuto nessuna risposta.