2023-06-09
Troppi pm distratti sul nostro scoop
Massimo D'Alema (Getty Images)
Dieci anni fa la Procura di Busto Arsizio spedì i carabinieri ad arrestare il presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi. Le accuse nei suoi confronti erano pesanti: corruzione internazionale, concussione e peculato per presunte tangenti pagate a misteriosi intermediari per la vendita di 12 elicotteri al governo indiano.Cinque anni dopo, a seguito di una sentenza della Cassazione che ordinò di rifare il processo in cui il manager era stato condannato a quattro anni e sei mesi di carcere, la Corte d’appello lo assolse da tutte le accuse e i giudici di ultima istanza confermarono.Sarà questo precedente, che vide coinvolta la società quando ancora si chiamava Finmeccanica e non Leonardo, ad avere indotto la magistratura a muoversi con estrema cautela e ad attendere un anno prima di acquisire i documenti e scoprire se qualcuno ha provato a corrompere i politici colombiani per piazzare gli aerei da combattimento italiani? Oppure sarà che alla guida del colosso aerospaziale, specializzato anche nella produzione di armamenti, non c’era più uno sconosciuto dirigente che alcuni sostenevano fosse vicino alla Lega, ma i vertici erano presidiati da un signore di nome Alessandro Profumo, già noto per essere stato il numero uno di Unicredit e Mps, ma anche per aver dichiarato il suo voto al Pd? O forse a richiedere di procedere con i piedi di piombo è stato il fatto che nella vicenda è coinvolto un tizio del calibro di Massimo D’Alema, vale a dire un ex presidente del Consiglio, un ex ministro degli Esteri, un ex segretario dei Ds, un ex presidente del Copasir ed ex vicepresidente dell’Internazionale socialista? Insomma, non è che tutta la cautela che ha indotto alcune Procure a volgere lo sguardo altrove e non occuparsi di una vicenda che aveva e ha tutti i contorni della corruzione internazionale è dovuta alla presenza nella trattativa per la vendita di navi da guerra, aerei e sottomarini alla Colombia di due pezzi da novanta come Profumo e D’Alema? Certo non s’era visto mai che alla pubblicazione su un giornale nazionale dei virgolettati in cui si parlava di 80 milioni da spartirsi tra strani intermediari per l’appalto miliardario di un’azienda pubblica come la ex Finmeccanica, chi ha il dovere di indagare si voltasse dall’altra parte.Certo, può essere che investigatori e magistrati si siano rifiutati di credere a una tale enormità. Il caso infatti, non è nato da qualche sussurro aziendale o da spifferi non attribuibili, ma da una registrazione in cui era agevole riconoscere la voce di Massimo D’Alema che colloquiava con un ex capo delle forze paramilitari colombiane. Nella conversazione non si usavano mezze parole, ma si parlava di soldi da dividere. L’ex premier non reclamizzava la qualità delle corvette, la velocità degli aerei o la sicurezza dei sommergibili. No, piazzava la sua consulenza promettendo 80 milioni da spartire ed era anche prodigo di consigli per far arrivare il denaro via studi legali americani. Che titolo aveva l’uomo che a lungo ha guidato la sinistra in questo Paese per trattare un affare di quelle dimensioni? Nessuno. Quando La Verità pubblicò l’audio dell’incontro, lui si limitò a dire che dava una mano per aiutare un’impresa nazionale. Non negò che quella fosse la sua voce. Parlò di generiche manipolazioni e si appellò al Garante della privacy invocando la riservatezza. Tutto ciò, ribadisco, mentre la magistratura sembrava impegnata su altri fronti, per esempio a inseguire le farfalle del caso Metropol.Oggi però che il caso è deflagrato, che finalmente qualcuno ha voluto aprire un fascicolo e si appresta a chiedere conto dell’operato di una strana banda di mediatori di armi, qualche domanda è indispensabile. La prima è come sia possibile che D’Alema abbia avuto accesso a documenti classificati e abbia potuto intavolare una trattativa con i rappresentanti di uno Stato estero per conto di un’azienda pubblica. Chi gli ha consegnato materiale riservato e, soprattutto, chi lo ha autorizzato a parlare a nome di Leonardo e Fincantieri, promettendo 80 milioni da dividersi fra i partecipanti all’operazione? D’Alema sostiene di non avere incarichi istituzionali e dunque di poter fare ciò che gli pare. Giusto, ma proprio perché privo di cariche non poteva avere alcun ruolo. E dunque, chi gli ha passato le carte? Chi gli ha consentito di infilarsi in una partita delicatissima con l’obiettivo di guadagnare milioni? Profumo? O forse qualcun altro? Una cosa deve essere chiara: nessun colosso dell’industria militare può permettersi di avere un piazzista che andava a braccetto con i capi di un movimento terroristico di nome Hezbollah, pena essere escluso dal circuito occidentale. Qualche cosa in Leonardo e in Fincantieri evidentemente non ha funzionato. Ma forse, quando accadeva e quando La Verità ha cominciato a parlarne, i pm erano distratti.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)