2018-12-16
«Dal nulla della droga mi salvò Muccioli. Il governo dia voce ai buoni maestri»
La storia di Federico Samaden raccolta in un libro: «Volevamo rompere con i limiti imposti dalla famiglia, finimmo nel tunnel. Ora aiuto tantissimi giovani».Trovarsi davanti una squadra di fenomeni, che corrono come dei matti, obbedendo a un capitano che dirige con maestria dalla difesa, e poi scoprire che sono tutti ex tossici: è stato questo il mio primo incontro con Federico Samaden, allora responsabile della comunità di recupero di San Patrignano in quel di Trento.Poi avrei conosciuto famiglie disperate, genitori che si asserragliavano in camera per timore del figlio armato di accetta in cerca di soldi per la droga e molto altro ancora. Sono passati circa vent'anni e Federico è ancora un capitano: non solo perché nel frattempo è diventato anche preside di una scuola superiore, ma anche perché non ha mai cessato di combattere contro la droga e di prendersi cura dei giovani in difficoltà.In questi giorni, poi, sembra ancora più brioso e vivace del solito: non solo perché esce un suo bellissimo libro, scritto a quattro mani con Giulia Tanel («Fotogrammi stupefacenti. Storia di una rivincita», Dominus production), ma soprattutto perché alcuni ministri, Lorenzo Fontana in primis, sembrano decisi a riprendere seriamente in mano il tema, del tutto trascurato dalla sinistra, della droga tra i giovani.Federico, com'è iniziato tutto?«Ricordo soprattutto il momento del passaggio dalle scuole medie alle superiori: da San Donato Milanese, dove vivevo un'esistenza serena da quattordicenne appassionato sportivo, sciatore e calciatore, al liceo classico Berchet di Milano, a Porta Romana. Diventavo un po' più grande, e questo aveva il sapore della libertà… Ciò che ho trovato al liceo, però, è stato molto di più che un percorso di studi: è stata un' esperienza umana impegnativa, così complessa che ha messo alla prova il mio equilibrio non ancora solido».Era un periodo caldo…«Sì, era un'epoca di grandi fermenti e di grandi illusioni. Tutto sembrava possibile, si dovevano rompere i limiti dati dalla famiglia, si doveva apparire sicuri e maturi, anche se le insicurezze e le incertezze la facevano da padrone dentro di noi. Mio fratello percorreva e occupava lo spazio politico, con la sinistra estrema, e io dovevo differenziarmi, in una sorta di competizione familiare. Ricordo le prime frequentazioni balorde, scambiate per amicizie: banditi e spacciatori».E tu?«Ci sono caduto dentro come un pirla. Ricordo i primi lsd, i festival di Re nudo e mio padre che scuoteva la testa a tavola guardando me e mio fratello. Ricordo la cocaina dei sanbabilini e gli scontri tra opposte fazioni politiche. Ma del liceo non ho un ricordo negativo, anche se tutto è cominciato li. Dopo è venuto il peggio».Che cosa ha rappresentato la droga per te ?«Giorno dopo giorno l'uso di sostanze prendeva il sopravvento su tutto. Smettere di sciare, di giocare a calcio, di studiare: è stato un rapido declino. L'unico interesse era trovare sempre più droga e stare con chi aveva i miei stessi pensieri. Una via di fuga quotidiana, raccontando balle a tutti e a me stesso, e un degrado sociale e relazionale che cresceva. Ricordo che ogni giorno, guardando mia madre e mio padre soffrire impotenti di fronte a un figlio amato che moriva un po' alla volta, mi dicevo che era ora di smettere e di ritornare a essere la mia parte buona».Però?«Però ogni mattina poi mi alzavo e rinnegavo questa promessa. Ricordo la sensazione di fallimento che ogni sera mi accompagnava prima di provare a dormire. Impotenza e fallimento, ecco ciò che non potrò mai dimenticare di quell'epoca. E poi una lenta ma inesorabile lontananza dalla vita, un distacco che alla fine era arrivato anche al punto che non desideravo più nemmeno la droga».Il classico cupio dissolvi provato da tanti sessantottini ubriachi di libertà fasulle e di droga?«Volevo solo annullarmi, avrei voluto morire ma non avevo coraggio di farla finita. Ma non ero più me stesso, avevo perso ogni dignità e non vedevo via di uscita. Attendevo in modo rassegnato la fine».Poi, come racconti nel libro, l'incontro decisivo con Vincenzo Muccioli…«L'omone buono, così mi piace chiamarlo, mi aveva colpito senza che io capissi come e perché. Ma qualcosa era cambiato, non sapevo spiegarmene il senso, ma sentivo che un'altra forza era entrata in me. Solo dopo ho capito che l'amore, unito alla fermezza, aveva cominciato a far parte della mia quotidianità. In un luogo che io, all'inizio, consideravo solo come un modo per venirmene un po' via da Milano, dove avevo fatto troppi casini. E dove ci sarei stato per qualche mese, giusto per riprendermi».Così sei finito nella «trappola».«Diciamo così: le emozioni di una vita nuova mi stavano sconvolgendo i piani, e così giorno dopo giorno ho cominciato a vedere in modo diverso me stesso e il mio futuro. Ricordo bene quando cominciai a sentirmi orgoglioso di essere uno che stava lottando per uscire dal degrado. Mi sentivo come un bambino che scopre il mondo, ogni cosa mi appariva come se fosse stata una nuova straordinaria esperienza. Che energia! Il cervello cominciava a rimettersi in moto dopo anni di buio. E volevo sapere, ero curioso di capire ogni cosa, che nesso ci fosse tra ogni piccola particella di questo mondo e l'infinito che sentivo forte dentro di me. Una ricerca di senso, ecco cosa è stato per me Vincenzo. Un'opportunità di capire Dio passando attraverso gli uomini. Leggevo il Vangelo e ci ritrovavo tanto di quello che sentivo dentro. L'incontro con l'omone buono aveva risvegliato la mia parte migliore, perché lui la vedeva quando io non ci credevo più».Da drogato, a guida di centinaia di giovani deboli e soli come eri stato tu, perché, una volta uscito dal tunnel, hai iniziato a guidare la comunità di Muccioli in Trentino?«Gratitudine, questo sentivo alla fine del mio periodo a Sanpa. Gratitudine infinita, che non poteva essere semplicemente relegata ai ricordi. Volevo rendere ciò che avevo ricevuto, sentivo forte il bisogno di trasmettere ad altri ciò che avevo scoperto. Cioè che la vita è straordinario dono e che ogni incontro è una ricchezza. E che l'umana imperfezione ci deve portare all'umiltà e alla ricerca continua della solidarietà umana, essendone noi stessi i testimonial. Volevo urlare al mondo che avevo capito il senso del mio vivere e che questo era non più per me stesso, ma per gli altri. Sentivo di stare bene se stavano bene i ragazzi che vivevano con me e non volevo altro. Un flusso di amore continuo che mi arrivava dall'alto, e che io, semplice strumento, lasciavo scorrere in tutti quelli che avevo intorno. Questo si faceva e si fa ogni giorno se non si giudica, se si ascolta per capire».Un padre trova in sé, per i suoi «figli», una forza che non immaginava…«Sì, era questo flusso di energia amorevole che mi dava una forza enorme, molto più di quanto io fossi capace di generare. Non è stato merito mio se ho potuto aiutare qualche ragazzo a ritrovare il senso della propria vita: sono stato e sono solo un umile tramite. Questo penso sia ancora il senso del mio vivere, anche se ora il mio tempo è con un altra comunità, quella scolastica. Ma sempre la stessa missione mi sento di assolvere ogni giorno, sbagliando tante volte. E sono sicuro che il Padre mi ha dato sempre strumenti adeguati a questo, e continuerà a farlo. Sta a me saperli usare».Cosa ti aspetti riguardo al tema droga da questo governo?«Conosco la sensibilità su questi temi del centrodestra. Ma in un panorama così complesso come oggi è la politica, non do nulla per scontato. Cerco gli uomini, con la U maiuscola, che sappiano costruire strade di fratellanza e giustizia. Non mi bastano le affermazioni politiche e neppure i programmi dei partiti. Vorrei condividere la mia passione per l'educazione e per la vita con persone vere, limpide e sincere. Il mio augurio è che questo governo sappia dare voce a persone così e sappia riconoscere il merito e le competenze. Perché i nostri figli hanno diritto a un futuro umano e responsabile, e a dei buoni maestri che li guidino con l'esempio».
Jose Mourinho (Getty Images)