2021-11-09
La crisi della carta stampata in tre esempi
«Libero» ci accusa, il «Corriere» s'accorge solo ora che Londra ha archiviato il Covid. E poi dicono che il giornalismo è in crisi... Spesso su queste pagine me la sono presa con i virologi da salotto che impartiscono lezioni dimenticando quelle del giorno prima, senza mai scusarsi per le evidenti contraddizioni tra le prime e le seconde. Se professori come Franco Locatelli, Massimo Galli, Maria Rita Gismondo - tanto per citarne alcuni - hanno le loro colpe nell'aver confuso l'opinione pubblica, suscitando una normale reazione di diffidenza verso la categoria dei cosiddetti esperti, una buona dose di responsabilità grava tuttavia anche sulle spalle dei giornalisti, i quali riescono a smentirsi da soli, qualche volta tra un articolo e un altro, ma non di rado anche nello stesso articolo o nello stesso tweet. Prendete per esempio Gianni Riotta, indimenticato direttore del Tg1 prodiano e del Sole 24 Ore confindustriale, uno che sta sempre dalla parte giusta, cioè di chi comanda. Domenica, a proposito della quarta ondata di Covid, via Twitter ha scritto che «i bambini figli di no vax a scuola contagiano compagni che poi a loro volta mandano in terapia intensiva le nonne fragili e per fortuna vaccinate. È una dolorosa storia vera di cari amici e mi chiedo: fino a quando tollereremo questi pericolosi intolleranti?». Gianni Pinotta ovviamente non si è reso conto di avere, con pochi caratteri, demolito una serie di dogmi propagandati a reti unificate dai suddetti Locatelli e compagni. Infatti, ogni qual volta si parla di vaccinati che si contagiano, i predetti precisano che nelle persone immunizzate i rischi si riducono enormemente. Primo, perché trasmettono una carica virale più bassa e dunque le probabilità che infettino parenti o amici sono basse (di qui l'idea che basti esibire un green pass per poter avere via libera ovunque, dal ristorante alla palestra). Secondo, perché i vaccinati non finiscono in terapia intensiva. Con un solo post il soldato Riotta, invece di salvare la campagna vaccinale, ha dunque dato un contributo a demolirla, dimostrando che ci si infetta e si infetta anche se si è ricevuta sia la prima che la seconda dose, e pure se si è completato il ciclo si può finire intubati. L'esatto contrario di ciò che pochi giorni fa ha detto il coordinatore del comitato tecnico scientifico. Tra i Tafazzi del giornalismo va iscritto anche Renato Farina, il quale su Libero, a proposito delle manifestazioni di questi giorni contro il green pass, ha sostenuto che «la gran maggioranza di quanti ieri si sono radunati e hanno scandito no-green-pass-no-green-pass, non si sono fusi come un sol uomo con gli scalmanati». Insomma, la premessa è che in piazza sono sfilate persone normali, non facinorosi. Ma che le persone siano pacifiche a Renatino non basta, perché il problema «è la violenza in sé di andare in corteo, invadendo il marciapiede tra ignari passanti». Cioè, anche se non commettono nulla di male, se non bloccano treni o invadono carreggiate, come fanno abitualmente i sindacati, e stanno composti sul marciapiede, i manifestanti sono violenti solo in quanto si permettono di manifestare. Ma il bello deve ancora arrivare, perché Farina è uno che la sa lunga, molto lunga, avendo forse informazioni di prima mano dai servizi segreti. «Dai che lo sappiamo. Il morto ci sarà». A parte l'evidente confusione tra una maggioranza che non si unisce agli scalmanati e l'agghiacciante conclusione, Farina non ha alcun dubbio: la colpa è di artisti e giornalisti, che sobillano la folla. Inutile dire, perché ormai a Libero pare essere un'ossessione, che La Verità e il sottoscritto sono tirati in ballo e invitati a «sentirsi responsabili». Di che cosa? Forse di aver fatto il proprio mestiere senza piegarsi al pensiero unico del green pass? Ma non ci sono solo Riotta e Farina. Da Londra, a dar man forte nel dimostrare la profonda crisi che attraversa il giornalismo, ci si mette anche Luigi Ippolito, corrispondente per il Corriere della Sera dalla capitale inglese. Il quale, dopo aver vergato più articoli per descrivere una Gran Bretagna travolta dal Covid, ieri ammette ciò che a dire il vero nel mio piccolo ho scritto un paio di settimane fa, e cioè che in Inghilterra la vita procede normalmente, i giornali non parlano di Covid, come invece i giornali italiani vorrebbero che facessero, e nei ristoranti non è preteso il green pass. Se prima la testata di via Solferino annunciava prossimi lockdown, ora è costretta ad ammettere che «qui da mesi, il Covid è praticamente scomparso dalla conversazione pubblica. Sui giornali si fa fatica a trovare qualche articolo dedicato alla pandemia (e il fenomeno italiano dei virologi che pontificano a tutte le ore non esiste e non è mai esistito). Il dibattito politico si occupa di altro: la corruzione dei conservatori, la battaglia della pesca con la Francia, la Cop26 a Glasgow: non certo di coronavirus». Sono pazzi questi inglesi? Boh, forse sono più pazzi questi giornalisti.