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2019-07-10
Dal caso Todini al conflitto di interessi di Costamagna. Tutti i nodi del Progetto Italia
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Ansa
Il tempo stringe per la creazione di Progetto Italia, la newco che dovrà salvare oltre al colosso Astaldi, rami di aziende di costruzioni in Italia da anni in crisi economica come commesse infrastrutturali al momento al palo. Se ne parla da mesi, ma lunedì prossimo si saprà meglio se ci sono le condizioni o meno per realizzare questo progetto ideato e proposto dall'amministratore delegato di Impregilo - Salini Piero Salini con l'aiuto di Cassa depositi e prestiti. Lunedì 15 luglio, infatti, il tribunale di Roma dovrà esprimersi sulla richiesta di concordato preventivo presentata dal gruppo Astaldi, una delle aziende che farà parte del nuovo polo, il 14 febbraio scorso. Due settimane fa Astaldi ha aggiornato la sua richiesta al tribunale, con particolare attenzione alla parte del patrimonio che sarà usata per soddisfare i creditori chirografari e quale per l'aumento di capitale. L'aggiornamento non è casuale, perché a quanto risulta alla Verità gli istituti di credito che dovranno accompagnare il salvataggio stanno cercando nuove garanzie e alcune non si fidano: l'investimento delle banche, da Unicredit a Popolare di Sondrio, si aggira intorno ai 200 milioni di euro. Ma Progetto Italia non nascerà mai se non sarà risolto il concordato di Astaldi.
Per questo corre voce che dopo il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti di venerdì ci sarà la richiesta di prendere ancora tempo, andando oltre lunedì 15 luglio. Non solo. La riunione di venerdì in via Goito sarà solo consultiva, non saranno prese decisioni vincolanti. Quindi è probabile che i giochi non siano ancora chiusi. Eppure la partita è fondamentale, anche per il governo che tiene a salvare il settore delle costruzioni, dopo le difficoltà su Alitalia e sull'Ilva di Taranto. Lo sanno bene al ministero dell'Economia dove il ministro Giovanni Tria, insieme con il consigliere Claudia Bugno, sta seguendo da mesi il progetto. Sui quotidiani si parla infatti di nuovi tavoli istituzionali, richiesti dal Tesoro ma anche dalla stessa Cassa depositi e prestiti che dovrebbe effettuare un investimento di 300 milioni di euro. Non a caso in questi giorni sono infuocate le linee tra via Goito e via XX Settembre, già messe a dura prova nei mesi scorsi. Ma sulla partita stanno con gli occhi bene aperti il presidente di Cdp Massimo Tononi e l'amministratore delegato Fabrizio Palermo, che dovranno trovare anche la quadra sul consiglio di amministrazione della società dove, come è noto, Salini vuole avere la maggioranza e poter scegliere anche il ceo. A quanto pare sempre l'amministratore delegato di Impregilo avrebbe delegato un'agenzia di comunicazione per trovare un nuovo nome alla newco che non si chiamerà Progetto Italia.
Al momento il settore delle costruzioni, oltre a essere strategico, ha una capacità di fatturato di 160 miliardi di euro. Rappresenta l'8% del Pil, con quasi un milione di persone impiegate, con 30 miliardi di investimenti in infrastrutture pubbliche. Se il progetto dovesse andare in porto si prevede una crescita degli investimenti del 3% fino al 2021, con l'investimento di 36 miliardi per sbloccare i cantieri, di cui 26 già annunciati da Anas e Rfi. Progetto Italia si prefigge quindi di salvaguardare 85.000 posti di lavoro e di assicurarne altri 400.000 nei prossimi 5 anni. Avrà un impatto sul Pil annuale dello 0,3%. A questo si aggiunge che potrebbe innescare un volano per l'intero settore e supportare l'intera filiera. In più tra gli obiettivi c'è anche quello di salvare più di 30 progetti infrastrutturali chiave al momento fermi per le aziende in crisi. Nei prospetti si parla di crescita del 2% per i futuri investimenti in infrastrutture e aumento del livello di export. Ma sarà davvero così? O qualcosa rischia di non andare liscio come l'olio. Quali rassicurazioni dà Salini? L'idea di un colosso delle costruzioni rappresenta la vera panacea per il nostro settore? O forse oltre ai timori delle banche, del Tesoro e di Cdp c'è anche la passata politica industriale di Salini.
Quando Salini acquistò Todini per poi disfarsene

Ansa
C'è chi ricorda che Salini, prima dell'acquisizione di Impregilo nel 2014, rilevò la Todini della omonima famiglia Todini, per poi deciderla di rivenderla a un gruppo del Kazakistan controllata dalla Zhol Zhondeushi Company al costo di 50 milioni di euro. Non fu un'operazione da poco, perché era dal 2014 che stava provando a cedere la controllata, ereditata dalla fusione con la società del numero uno di Poste e parlamentare del Pdl Luisa Todini. Ma perché Salini decise di acquistare la Todini tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010 per rivenderla poi alcuni anni dopo? All'epoca le promesse dell'amministratore delegato furono roboanti: «Con la Todini sommeremo le nostre capacità e i nostri saperi e saremo ancora più competitivi sul mercato internazionale delle grandi opere, dove assume particolare importanza la dimensione e la forza finanziaria per far fronte alla crescita del valore dei progetti». Non andò così.
Anzi secondo alcuni esperti del settore l'acquisto fu chiaro, necessario per poter avere i volumi necessari per poi scalare Impregilo. All'epoca infatti Todini disponeva di un rilevante portafoglio ordini. E questo consentì a Salini di acquisire rilevanti commesse nell'est Europa, dove era molto forte, ma allo stesso tempo dopo pochi anni decise di disfarsene dopo averla utilizzata. Va sottolineato poi un altro aspetto. Salini Impregilo non «performa» meglio degli altri colossi. Ha moltissimi cantieri in perdita, tra cui il Dubai Mall da 450 milioni di euro dove ci sono perdite ingenti o ai problemi con il canale di Panama.
E se l'obiettivo di Salini fosse quello di passare allo Stato parte del polo Salini-Impregilo e quindi acquistare Astaldi con le importanti concessioni che ha in pancia? Tra queste ci sono la concessione del ponte sul Bosforo, la concessione dell'autostrada in Turchia e le concessioni sugli ospedali in Cile e Turchia. L'obiettivo poi sarebbe rivenderli al prezzo opportuno, nel solco delle sue strategie industriali: il costruttore puro è senza concessioni.
Il conflitto di interessi di Costamagna, consigliere della cassaforte di Salini
Nell'ultimo mese è continuato a circolare il nome di Claudio Costamagna come possibile presidente di Progetto Italia. A lanciarlo è stato Il Sole 24 Ore, scatenando non poche polemiche negli ambienti finanziari. Del resto la nomina sarebbe davvero particolare, perché l'ex presidente di Cassa depositi e prestiti, oltre a essere stato presidente di Salini Impregilo, è attualmente consigliere di Athena Partecipazioni, la cassaforte proprio di Salini. Basti pensare che gli amministratori di Athena sono quattro, il presidente è Salvatore Trifirò, poi ci sono Salini e Costamagna, quindi Grazia Volo. In pratica la nomina a capo del nuovo polo delle costruzioni sarebbe in odore di conflitto di interessi, uno dei tanti che Costamagna si porta ormai dietro da una vita. Si tratta di una provocazione?
Di certo Salini sta facendo il diavolo a quattro per avere in mano le redini del nuovo gruppo e a quanto pare il Mef sarebbe anche disposto a concedergli spazio, meno i vertici di Cassa depositi e prestiti. In ogni caso la newco che andrebbe a crearsi dovrebbe avere un consiglio di amministrazione di 15 consiglieri, dove a Cassa depositi e prestiti a fronte di un investimento di 300 milioni dovrebbero spettare circa cinque nominativi. Il resto sarà spartito tra banche e Tesoro. Ma proprio il ruolo delle banche dovrebbe essere quello più rilevante, date le preoccupazioni di queste settimane. Per questo il nome forte che circola (lo ha scritto Lettera43) è quello di Gaetano Miccichè, attuale presidente di Banca Imi e vicepresidente della Figc, nonché ex direttore generale di Intesa San Paolo.
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La realizzazione del maxi polo delle costruzioni resta appesa alla decisione del tribunale di Roma sul concordato preventivo di Astaldi, così l'idea promossa da Piero Salini va avanti a rilento. Tesoro e Cassa depositi e prestiti non trovano ancora la quadra. Anche gli istituti di credito vogliono avere rassicurazioni. Il prossimo cda di via Goito sarà solo consultivo. Sulla partita si muove il ministro dell'Economia Giovanni Tria affiancato da Claudia Bugno. Nel 2010 il patron di Salini Costruzioni acquistò l'azienda dell'ex numero uno di Poste Italiane per poi rivenderla nel 2016 con la benedizione politica di Matteo Renzi. L'acquisizione ha garantito una leva per acquisire Impregilo.L'ex presidente di Cdp è nel board di Athena Partecipazioni, la cassaforte di Salini. Alle banche piacerebbe un uomo al vertice come Gaetano Miccichè.Lo speciale contiene tre articoliIl tempo stringe per la creazione di Progetto Italia, la newco che dovrà salvare oltre al colosso Astaldi, rami di aziende di costruzioni in Italia da anni in crisi economica come commesse infrastrutturali al momento al palo. Se ne parla da mesi, ma lunedì prossimo si saprà meglio se ci sono le condizioni o meno per realizzare questo progetto ideato e proposto dall'amministratore delegato di Impregilo - Salini Piero Salini con l'aiuto di Cassa depositi e prestiti. Lunedì 15 luglio, infatti, il tribunale di Roma dovrà esprimersi sulla richiesta di concordato preventivo presentata dal gruppo Astaldi, una delle aziende che farà parte del nuovo polo, il 14 febbraio scorso. Due settimane fa Astaldi ha aggiornato la sua richiesta al tribunale, con particolare attenzione alla parte del patrimonio che sarà usata per soddisfare i creditori chirografari e quale per l'aumento di capitale. L'aggiornamento non è casuale, perché a quanto risulta alla Verità gli istituti di credito che dovranno accompagnare il salvataggio stanno cercando nuove garanzie e alcune non si fidano: l'investimento delle banche, da Unicredit a Popolare di Sondrio, si aggira intorno ai 200 milioni di euro. Ma Progetto Italia non nascerà mai se non sarà risolto il concordato di Astaldi.Per questo corre voce che dopo il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti di venerdì ci sarà la richiesta di prendere ancora tempo, andando oltre lunedì 15 luglio. Non solo. La riunione di venerdì in via Goito sarà solo consultiva, non saranno prese decisioni vincolanti. Quindi è probabile che i giochi non siano ancora chiusi. Eppure la partita è fondamentale, anche per il governo che tiene a salvare il settore delle costruzioni, dopo le difficoltà su Alitalia e sull'Ilva di Taranto. Lo sanno bene al ministero dell'Economia dove il ministro Giovanni Tria, insieme con il consigliere Claudia Bugno, sta seguendo da mesi il progetto. Sui quotidiani si parla infatti di nuovi tavoli istituzionali, richiesti dal Tesoro ma anche dalla stessa Cassa depositi e prestiti che dovrebbe effettuare un investimento di 300 milioni di euro. Non a caso in questi giorni sono infuocate le linee tra via Goito e via XX Settembre, già messe a dura prova nei mesi scorsi. Ma sulla partita stanno con gli occhi bene aperti il presidente di Cdp Massimo Tononi e l'amministratore delegato Fabrizio Palermo, che dovranno trovare anche la quadra sul consiglio di amministrazione della società dove, come è noto, Salini vuole avere la maggioranza e poter scegliere anche il ceo. A quanto pare sempre l'amministratore delegato di Impregilo avrebbe delegato un'agenzia di comunicazione per trovare un nuovo nome alla newco che non si chiamerà Progetto Italia. Al momento il settore delle costruzioni, oltre a essere strategico, ha una capacità di fatturato di 160 miliardi di euro. Rappresenta l'8% del Pil, con quasi un milione di persone impiegate, con 30 miliardi di investimenti in infrastrutture pubbliche. Se il progetto dovesse andare in porto si prevede una crescita degli investimenti del 3% fino al 2021, con l'investimento di 36 miliardi per sbloccare i cantieri, di cui 26 già annunciati da Anas e Rfi. Progetto Italia si prefigge quindi di salvaguardare 85.000 posti di lavoro e di assicurarne altri 400.000 nei prossimi 5 anni. Avrà un impatto sul Pil annuale dello 0,3%. A questo si aggiunge che potrebbe innescare un volano per l'intero settore e supportare l'intera filiera. In più tra gli obiettivi c'è anche quello di salvare più di 30 progetti infrastrutturali chiave al momento fermi per le aziende in crisi. Nei prospetti si parla di crescita del 2% per i futuri investimenti in infrastrutture e aumento del livello di export. Ma sarà davvero così? O qualcosa rischia di non andare liscio come l'olio. Quali rassicurazioni dà Salini? L'idea di un colosso delle costruzioni rappresenta la vera panacea per il nostro settore? O forse oltre ai timori delle banche, del Tesoro e di Cdp c'è anche la passata politica industriale di Salini. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/dai-caso-todini-al-conflitto-di-interessi-di-costamagna-tutti-i-dubbi-progetto-italia-2639149681.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quando-salini-acquisto-todini-per-poi-disfarsene" data-post-id="2639149681" data-published-at="1766629465" data-use-pagination="False"> Quando Salini acquistò Todini per poi disfarsene Ansa C'è chi ricorda che Salini, prima dell'acquisizione di Impregilo nel 2014, rilevò la Todini della omonima famiglia Todini, per poi deciderla di rivenderla a un gruppo del Kazakistan controllata dalla Zhol Zhondeushi Company al costo di 50 milioni di euro. Non fu un'operazione da poco, perché era dal 2014 che stava provando a cedere la controllata, ereditata dalla fusione con la società del numero uno di Poste e parlamentare del Pdl Luisa Todini. Ma perché Salini decise di acquistare la Todini tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010 per rivenderla poi alcuni anni dopo? All'epoca le promesse dell'amministratore delegato furono roboanti: «Con la Todini sommeremo le nostre capacità e i nostri saperi e saremo ancora più competitivi sul mercato internazionale delle grandi opere, dove assume particolare importanza la dimensione e la forza finanziaria per far fronte alla crescita del valore dei progetti». Non andò così. Anzi secondo alcuni esperti del settore l'acquisto fu chiaro, necessario per poter avere i volumi necessari per poi scalare Impregilo. All'epoca infatti Todini disponeva di un rilevante portafoglio ordini. E questo consentì a Salini di acquisire rilevanti commesse nell'est Europa, dove era molto forte, ma allo stesso tempo dopo pochi anni decise di disfarsene dopo averla utilizzata. Va sottolineato poi un altro aspetto. Salini Impregilo non «performa» meglio degli altri colossi. Ha moltissimi cantieri in perdita, tra cui il Dubai Mall da 450 milioni di euro dove ci sono perdite ingenti o ai problemi con il canale di Panama.E se l'obiettivo di Salini fosse quello di passare allo Stato parte del polo Salini-Impregilo e quindi acquistare Astaldi con le importanti concessioni che ha in pancia? Tra queste ci sono la concessione del ponte sul Bosforo, la concessione dell'autostrada in Turchia e le concessioni sugli ospedali in Cile e Turchia. L'obiettivo poi sarebbe rivenderli al prezzo opportuno, nel solco delle sue strategie industriali: il costruttore puro è senza concessioni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dai-caso-todini-al-conflitto-di-interessi-di-costamagna-tutti-i-dubbi-progetto-italia-2639149681.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-conflitto-di-interessi-di-costamagna-consigliere-della-cassaforte-di-salini" data-post-id="2639149681" data-published-at="1766629465" data-use-pagination="False"> Il conflitto di interessi di Costamagna, consigliere della cassaforte di Salini Nell'ultimo mese è continuato a circolare il nome di Claudio Costamagna come possibile presidente di Progetto Italia. A lanciarlo è stato Il Sole 24 Ore, scatenando non poche polemiche negli ambienti finanziari. Del resto la nomina sarebbe davvero particolare, perché l'ex presidente di Cassa depositi e prestiti, oltre a essere stato presidente di Salini Impregilo, è attualmente consigliere di Athena Partecipazioni, la cassaforte proprio di Salini. Basti pensare che gli amministratori di Athena sono quattro, il presidente è Salvatore Trifirò, poi ci sono Salini e Costamagna, quindi Grazia Volo. In pratica la nomina a capo del nuovo polo delle costruzioni sarebbe in odore di conflitto di interessi, uno dei tanti che Costamagna si porta ormai dietro da una vita. Si tratta di una provocazione? Di certo Salini sta facendo il diavolo a quattro per avere in mano le redini del nuovo gruppo e a quanto pare il Mef sarebbe anche disposto a concedergli spazio, meno i vertici di Cassa depositi e prestiti. In ogni caso la newco che andrebbe a crearsi dovrebbe avere un consiglio di amministrazione di 15 consiglieri, dove a Cassa depositi e prestiti a fronte di un investimento di 300 milioni dovrebbero spettare circa cinque nominativi. Il resto sarà spartito tra banche e Tesoro. Ma proprio il ruolo delle banche dovrebbe essere quello più rilevante, date le preoccupazioni di queste settimane. Per questo il nome forte che circola (lo ha scritto Lettera43) è quello di Gaetano Miccichè, attuale presidente di Banca Imi e vicepresidente della Figc, nonché ex direttore generale di Intesa San Paolo.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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