2019-10-08
Dagli Usa nuovo schiaffo a Giuseppi: «Dovete collaborare sugli 007»
Il presidente della commissione Giustizia, Lindsey Graham, scrive al premier: «Il procuratore generale fa il suo lavoro, ora voi fate il vostro». E dall'amministrazione Trump trapela l'irritazione verso l'Italia.Cosa c'è di peggio, per un presidente del Consiglio di un Paese sovrano, che promettere (sotto silenzio, senza informare nessuno) a una potenza straniera, sia pure amica, anzi la più amica di tutte, di mettere a sua disposizione l'intelligence nazionale? Elementare, Watson: l'unica ipotesi peggiore, per il malcapitato, è promettere aiuto e poi trovarsi nella condizione di non poter mantenere. Naturalmente, nessuno può essere certo che Giuseppe Conte si trovi oggi proprio in questa situazione, ma diversi elementi lo fanno per lo meno sospettare. E perché - adesso - non potrebbe «mantenere»? Anche qui le spiegazioni sono diversissime tra loro. Prima versione (quella ufficiosa di Palazzo Chigi): perché, riesaminati i fatti del 2016, non risulta che manine italiane si siano attivate per compiacere Barack Obama e Hillary Clinton e danneggiare Donald Trump. Ma a questa ipotesi, nella Washington trumpiana, non crede proprio nessuno. Da quelle parti, anzi, è sempre più forte il sospetto che quattro anni fa, quando il premier era Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, Roma sia stata l'epicentro di una manovra spionistica contro il candidato repubblicano (e futuro presidente Usa).Seconda ipotesi (sussurrata da molti): Conte non è più in grado di mantenere l'impegno con Trump perché gli attuali responsabili dei servizi italiani, pur invitati a cooperare con gli Usa, si sono ben guardati di fornire carte all'attorney general William Barr. In altre parole, in base a questa seconda versione, l'intelligence italiana non vorrebbe finire dentro la guerra che inevitabilmente, nelle prossime settimane e mesi, infiammerà gli Usa, fino alla campagna elettorale del 2020, tra minacce democratiche (spuntate) di impeachment e risposte trumpiane in termini di contro inchiesta sul comportamento dell'Fbi e delle altre agenzie.Comunque stiano le cose, mettetevi nei panni di Trump, che non è uomo abituato a sentirsi preso in giro, e immaginate il suo stato d'animo attuale verso Palazzo Chigi e il suo inquilino. Ma come? Prima incassi un tweet che per te vale oro (l'endorsement a «Giuseppi»), e poi mandi via da Roma i miei uomini con un pugno di mosche in mano? Delle due l'una, sempre nell'ottica trumpiana: o sei il solito furbetto mediterraneo e levantino, o sei uno che non è in grado di garantire ciò che mi aveva indotto a credere. In entrambi i casi, una delusione cocente. Naturalmente, nessuno a Washington mette le cose in termini così diretti ed espliciti. Ma l'irritazione c'è. Già nello scorso fine settimana, La Verità è stato il primo quotidiano a raccontarvi come Barr, ad essere eufemistici, fosse ripartito da Roma non completamente soddisfatto della collaborazione ricevuta. E, se ci pensate, il solo fatto che la sua seconda visita italiana (quella di settembre, diversamente da quella di Ferragosto) fosse trapelata sui media Usa significava una sola cosa: che la stessa Amministrazione avesse lasciato circolare la notizia, proprio con l'obiettivo di ricordare a Palazzo Chigi gli impegni di qualche settimana prima. Ieri si sono aggiunti due elementi in questa direzione. Il primo è una lettera che il senatore Lindsay Graham, presidente della commissione Giustizia del Senato Usa, gran sostenitore della contro inchiesta di Barr, ha scritto ai primi ministri di Regno Unito (Boris Johnson), Australia (Scott Morrison) e Italia (quindi anche Giuseppe Conte): «Il fatto che l'attorney general stia tenendo riunioni nei vostri Paesi per aiutare l'inchiesta del Dipartimento di Giustizia rientra pienamente nei confini delle sue normali attività. Sta semplicemente facendo il suo lavoro». Graham reagisce esplicitamente a un articolo del New York Times (scatenato nella sua campagna anti Trump) che - scrive il senatore Usa - «accusa il procuratore Barr di utilizzare diplomazia ad alto livello per portare avanti gli interessi politici e personali del Presidente». Tesi ovviamente confutata da Graham: «Scrivo per chiedervi di proseguire la cooperazione del vostro Paese con il procuratore Barr, mentre il Dipartimento di Giustizia continua a indagare su origini ed entità dell'influenza straniera nelle presidenziali americane del 2016». Insomma, un esplicito e pubblico invito a collaborare. Secondo elemento. Un altro quotidiano di linea ben diversa dal New York Times, il Wall Street Journal, che non ha mai partecipato alla caccia alle streghe contro Trump, ha pubblicato un'analisi sul fatto che le richieste rivolte da Barr abbiano prodotto un «contraccolpo» in Australia, Uk e Italia. Insomma, fa capire il Wsj: Barr sta «causando discordia» e ha «infiammato la politica domestica in alcuni dei Paesi» a cui si è rivolto per aiuto. Nel pezzo si dice esplicitamente che, in questo giro nelle capitali estere, non sono per ora venute fuori prove dell'azione degli oppositori politici di Trump. Come sempre, doppia lettura possibile: o perché queste prove non ci sono, o perché i Paesi interessati non hanno davvero collaborato. Nel pezzo è citato anche il duro rilievo di Matteo Salvini verso Giuseppe Conte: «Se il primo ministro ha trattato e continua a trattare i servizi di intelligence come suoi personali servitori, come gente che gli deve portare da bere, allora deve dare spiegazioni agli elettori italiani del perché e in cambio di cosa» abbia agito così.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)