2022-10-31
Dagli altari la miglior cura anti depressione
Leggere le vite dei santi fa scoprire nuovi amici, perché avvicina a persone che fanno vedere una luce in tempi bui come questi. Ne sono esempio Giuseppe Moscati e Riccardo Pampuri, due medici che hanno curato mali di ogni genere con un farmaco chiamato speranza.Chi trova un amico trova un tesoro, se l’amico è anche un medico, è un grosso affare. Lo si è visto in questi ultimi tragici due anni, in cui persone sono state costrette a supplicare per avere una visita o almeno un consiglio, e dannatamente spesso il consiglio è stato: tachipirina e vigile attesa, vale a dire un farmaco pessimo che abbatte il glutatione e non combatte l’infiammazione e il consiglio a sprecare tempo prezioso. Molto utile anche un amico santo. La santità non è molto di moda. È molto più cool la noia abissale dell’anticonformismo tutto uguale. Abbiamo il conformismo del tatuaggio, il conformismo della cannabis, il conformismo di inventarsi di essere migliori, tenendo tanto al clima: in realtà vivono come gli altri, vanno dal parrucchiere a tingersi i capelli di viola, consumano come gli altri, inquinano come gli altri, ma poi vanno a imbrattare quadri o bloccano le strade, così si sentono migliori. I santi al contrario possono essere magnifici amici. Non soffrono di depressione, mai. La speranza è una virtù teologica, non meno importante di fede e carità. Da qui si deduce che la disperazione è un’arma del nemico. Essere lagnosi implica due peccati: perdita di speranza e perdita di carità perché il lagnoso è un buco nero, qualcuno che distrugge la tua fede nella vita senza guadagnarci niente, anzi, stando peggio lui.Le Edizioni Ares, contro ogni conformismo, hanno inaugurato la nuova collana Un santo per amico. In passato libri come questi erano ovunque. Te li regalavano per la prima comunione e, casomai te ne fossi perso qualcuno, per la cresima. Erano storie notevoli, di gente che non aveva avuto paura di niente, che aveva fatto scelte spesso contrarie alla famiglia, quando non direttamente allo stato, aveva solcato i mari, era salita sui patiboli, fondato lebbrosari in isole incantate quanto maledette, comandato eserciti. E soprattutto erano sempre stati illuminati della fede, non erano stati lagnosi, un esempio spettacolare in un’epoca di tragica autocommiserazione. Negli ultimi 60 anni la depressione è aumentata del 1.200%. Aver perso le vite dei santi non sarà stata l’unica causa di questo disastro, ma potrebbe aver contribuito. Con una scelta molto comprensibile in un’epoca di vite ed economie distrutte da una cosiddetta pandemia, la collana Ares s’inaugura con due santi medici: Giuseppe Moscati e Riccardo Pampuri. Scelta decisamente provvidenziale. I lettori possono scoprire due uomini che hanno fuso la professione medica con un profondo amore per l’uomo, un amore mediato dall’amore per Dio, quindi enorme. Grazie a questo amore hanno soffuso la loro opera di speranza. La speranza è una medicina, non si tratta di una figura retorica, ma di una realtà biochimica e fisiologica. Sperare, pregare, sentire che Dio ci ama ma anche sentire che il nostro medico tiene a noi, ci fa fabbricare endorfine, i potentissimi neurotrasmettitori che diminuiscono la percezione del dolore e potenza nel sistema immunitario. La prima uscita è Giuseppe Moscati. Il santo medico, di Paolo Gulisano, medico a sua volta. Moscati è stato un medico e accademico campano (Benevento 1880-Napoli 1927), primario dell’Ospedale degli incurabili di Napoli. Era un uomo del Sud e in quel periodo le università meridionali erano una vera eccellenza. La chiesa lo ha proclamato santo per la sua capacità di curare insieme la mente e il corpo, ma soprattutto l’anima. In tutta la sua vita ha fatto quello che ogni medico, ma anche ogni cristiano deve fare: lenire la sofferenza. «Beati noi medici», ha scritto, «tanto spesso incapaci ad allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stesse». Moscati, santo medico, è stato un grandissimo scienziato. I suoi studi sul diabete sono stati fondamentali e sono stati pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche nazionali e internazionali dell’epoca. È stato descritto come il medico dei poveri. In realtà era il medico di tutti. Era profondamente credente, e la sua fede lo spingeva a lavorare 12 ore al giorno. Cominciava sempre la giornata con la messa, con una devozione eucaristica straordinaria. Non permetteva che la giornata finisse, anche se era stanchissimo, senza la recita del rosario. Oggi verrebbe definito bigotto e ultra cattolico, in realtà era la sua fede che gli dava la forza di stringere i denti e non mollare, di trascinarsi durante le terribili epidemie di colera di spagnola da una casa all’altra oppure da un tugurio all’altro, senza aver paura del contagio, inghiottendo la fatica terribile e la necessità di dormire. L’Ospedale degli incurabili è un nome tremendo per un luogo tremendo, o forse no. Un luogo che sarebbe stato tremendo se lui non avesse portato sotto quelle volte rinascimentali la speranza e la fede. A Napoli aveva un ambulatorio, e nella sua sala d’aspetto aveva posto una cassetta, aperta, su cui era scritto: «Chi può dia, chi non può prenda», una ridistribuzione dei redditi tipicamente cattolica. In quella cassetta sono passati fiumi di denaro. I pazienti che curava, grati, lasciavano tutto quel che potevano, perché non ci fosse disperazione nelle case di coloro che non avevano nulla. Chi non aveva nulla, chi non sapeva come preparare la cena, passava dal dottor Moscati certo che nella cassettina avrebbe trovato qualcosa. È un santo spaventosamente attuale perché si è mosso in due epidemie di malattie con altissima mortalità, il colera nel 1912 e nel 1918 la spagnola. Lo ripeto: lui andava a vedere i pazienti a casa, ovviamente, perché un vero medico deve andare a vedere i malati, a toccarli. Chi ha paura degli incendi non faccia il vigile del fuoco, chi è terrorizzato dall’altezza non faccia l’acrobata e chi teme il contagio non faccia il medico. I malati migliorano quando il medico si china su di loro. È morto a soli 47 anni, accasciato nel suo ambulatorio, morto al posto di combattimento, come un soldato in trincea, come un cavaliere durante la carica. Grandissima la sua testimonianza di fede. Tutto quello che faceva, lo faceva per Cristo. Avrebbe potuto arricchirsi, con tutte le visite che faceva, ma lui si è sempre comportato come un grandissimo cristiano medico. A volte anche ammoniva pazienti, che magari dovevano cambiare stile di vita: l’ordine di smettere di ubriacarsi salva il fegato ma anche l’anima, l’ordine di smettere di fumare salva i polmoni ma addestra anche la mente al sacrificio. Moscati sapeva quello che la psicologia e le neuroscienze hanno confermato: la fede è terapeutica, la preghiera è terapeutica. Una fiction televisiva di qualche anno fa non ha neanche lontanamente reso il dovuto merito a questa figura. Lo fa adesso Gulisano. È molto bello che la biografia del dottor Moscati sia stata scritta dal medico Gulisano, in prima fila per curare e guarire il Covid. È un libro su un medico scritto da un medico. È un libro su un cattolico scritto da un cattolico, perché Gulisano dichiara di avere un grandissimo debito di gratitudine verso la figura di Moscati. Il suo non è un libro solo per medici, è un libro per tutti: spiega come ci si possa santificare nella propria condizione, nella propria maniera di vivere. Moscati rinunciò al matrimonio non perché non fosse una cosa bella, ma perché non avrebbe potuto rendere felice sua moglie dato che non avrebbe potuto fare a meno di occuparsi dei malati per un numero di ore che erano l’intera vita. La sua missione era lenire il dolore, ed è questo lo scopo della medicina. Oggi ce lo siamo dimenticati. Oggi c’è la medicina dei protocolli, non quella della cura. Il libro di Rino Camilleri, la seconda biografia della collana, riguarda Riccardo - al secolo Erminio - Pampuri, nato nel 1897, diventato prima medico condotto, poi religioso dei Fatebenefratelli. «Fare tutto, anche le cose minime, con amore grande», era solito raccomandare. Visse l’orrore della Prima guerra mondiale e poi il tifo, la scarlattina, la follia che anche riempivano le tricee di dolore. Pampuri ha usato tutta la sua scienza e tutta la sua fede per diminuire le sofferenze gli uomini fino alla morte avvenuta a soli 33 anni. È stato sepolto con la veste di frate e il fonendoscopio al collo: la sua armatura e il suo scudo.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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