2021-06-23
Da padre Spadaro all’«Avvenire». I cattoprogressisti si leccano le ferite
Antonio Spadaro (Ansa/iStock)
Il gesuita, esibitosi sul Ny Times, era stato umiliato dai vescovi Usa. Sconfessato pure il quotidiano che dava voce al papà del ddl.C'era una volta l'uso politico della religione secondo padre Antonio Spadaro. Il direttore de La Civiltà Cattolica, solo una settimana fa, dalle colonne del New York Times, richiamava alla pia devozione i vescovi statunitensi, rei di «usare l'accesso all'eucaristia come arma politica». Del Vangelo secondo Spadaro però 168 vescovi americani non hanno saputo che farsene, probabilmente ritenendolo apocrifo, visto che hanno deciso a larga maggioranza che il documento sulla coerenza eucaristica s'ha da redigere, anche per quei politici cattolici (vedi il presidente Joe Biden) che si dicono tali e poi sostengono politiche contrarie all'insegnamento della Chiesa. È una questione di libertà religiosa.Ancora ieri, nel giorno della grande sberla sul ddl Zan, il gesuita americaneggiava su Twitter: «“Quando il cristianesimo è ridotto a costume, a norme morali, a rituali sociali, allora perde la sua vitalità e il suo interesse esistenziale per gli uomini e le donne del nostro tempo" (monsignor Christophe Pierre, Nunzio apostolico negli Usa)». Sulla legge anti omofobia, la dottrina Spadaro ha fatto un po' il controcanto ai vescovi italiani che, almeno nel comunicato del 10 giugno 2020, scrivevano di non riscontrare alcun vuoto normativo. «Occorre appoggiare norme», cinguettava, invece, uno Spadaro un po' criptico, «che hanno senso difensivo di persone vulnerabili e non abbiano senso offensivo di legittime idee». Probabilmente l'intento del consigliere del Papa era sempre quello di evitare l'uso politico della religione e aprire il mondo cattolico all'inclusione, un po' come il quotidiano dei vescovi, Avvenire. Nel giugno 2020, infatti, la penna d'elezione per questioni Lgbt, Luciano Moia, intervistava lo stesso Alessandro Zan, esattamente il giorno dopo che era stata pubblicata la già citata nota Cei. Ovviamente l'intervista appare oggi un po' in ginocchio, visto che faceva risaltare le parole del relatore sul fatto che «non sarà una legge bavaglio, né una legge liberticida».Talmente poco liberticida che, infatti, il 17 giugno la Segreteria di Stato vaticana ha fatto pervenire al governo italiano una «nota verbale» in cui si chiede di fare attenzione al testo del ddl Zan in quanto c'è il rischio di veder ridotta la «libertà garantita alla Chiesa cattolica dall'articolo 2, commi 1 e 3 dell'accordo di revisione del Concordato». Qui, di uso politico della religione, a ben vedere, c'è pochissimo, perché la Santa Sede gioca in «punta di diritto», che, potrà anche non piacere, ma è una posizione laica. Certo, il direttore del quotidiano dei vescovi, Marco Tarquinio, lo scorso 15 aprile, rispondendo proprio a una lettera di Alessandro Zan, sottolineava che il testo ha subito «un'evoluzione indubbia anche se non sufficientemente chiara e ancora insidiosa», in ossequio al diktat che il testo va fatto, sebbene «rimodulato».Ma l'inclusione del quotidiano dei vescovi non dava troppo spazio a quel manipolo di prelati coraggiosi che, invece, sul ddl Zan le parole chiare le hanno dette. Innanzitutto il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, monsignor Antonio Suetta, che in una lettera del giugno 2020 scriveva che «non si può accettare che una legge, perseguendo un obiettivo “ideologico", metta a rischio la possibilità di annunciare con libertà la verità dell'uomo, sia pur con l'obiettivo di prevenire forme di discriminazione contro le quali, come già ricordato, è sufficiente applicare le disposizioni già in vigore». E ieri lo stesso Suetta ha ribadito che quello del Vaticano, con riferimento al Concordato, è un «atto opportuno fatto da chi ha competenza per farlo». Ma tanti altri si sono seduti sulla comoda posizione di dare un colpo alla botte e uno al cerchio, nel nome dell'inclusione e del rispetto della dignità di tutti. Un po' per convinzione, un po' per pavidità. Bisogna però riflettere che l'atto posto dallo Stato del Vaticano nei confronti dello Stato italiano è un fatto storico e in un certo senso unico che cambia le carte in tavola. Il livello su cui si è spostato il contendere è ben altro di quello dei comunicati o delle lettere pastorali, delle articolesse o dei cinguettii, qui la preoccupazione della Santa Sede è formale e riguarda una materia delicatissima e fondamentale come la libertà religiosa, declinata in questo caso nella libertà di predicazione e di educazione.Tutti coloro che fino a ieri martellavano sui ponti da gettare, e sui cui spesso trascinavano anche oltre la sua volontà il Papa, dovranno fare i conti con questa laicissima presa di posizione a cui Francesco ha dato il suo placet. Ricordiamo che tra le cose che urtano la libertà di predicazione e educazione ci sono anche passaggi del Catechismo o delle Scritture o atti del Magistero che forse qualcuno all'interno della Chiesa mal digerisce, ma su cui lo Stato del Vaticano ha chiesto conto al governo italiano affinché venga rispettata la libertà religiosa.La pastorale, per quanto inclusiva e dialogante con tutti, vede tracciarsi davanti una sottile linea rossa invalicabile. Da ieri, quelli che avendo da eccepire sulle derive liberticide del ddl Zan venivano trattati da cripto-omofobi, impresentabili, hanno un paio di alleati in più per sostenere le loro idee. Per quanto la linea del «troncare e sopire» ora venga messa in atto dalle regie mediatico-curiali, con ampio utilizzo del «non affossare», ma «rimodulare», il ddl Zan, se non è morto, è gravemente ferito.