2020-10-13
Da Harvard a Oxford, appello anti lockdown
Spencer Platt/Getty Images
Tre luminari di epidemiologia si schierano contro le chiusure indiscriminate: «Effetti devastanti sulla salute pubblica». Piuttosto, «si tutelino gli anziani lasciando libertà di circolare agli altri». Si tratta di scienziati «buoni», ma la tesi è fastidiosa. E viene censurata.Nuovo comizio dal vivo per Donald Trump. Al Senato via all'audizione per la Corte suprema: «Fate presto».Lo speciale contiene due articoli.Una severa critica al lockdown indiscriminato. È questo, in estrema sintesi, il contenuto della Great Barrington declaration: un appello, sottoscritto lo scorso 4 ottobre presso l'American institute for Economic research da alcuni autorevoli epidemiologi e medici. In particolare, gli autori del documento sono: Sunetra Gupta dell'università di Oxford; Jay Bhattacharya dell'università di Stanford; e Martin Kulldorff dell'università di Harvard. «In qualità di epidemiologi delle malattie infettive e di scienziati della salute pubblica, siamo molto preoccupati per gli effetti dannosi sulla salute fisica e mentale causati dalle politiche adottate dai governi in materia di Covid-19, e raccomandiamo un approccio che chiamiamo protezione mirata», si legge nel documento. Nella fattispecie, la critica di questi scienziati si concentra sull'adozione del lockdown generalizzato. «Le attuali politiche di blocco stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica, a breve e lungo periodo», prosegue la dichiarazione. Il problema, secondo gli autori, non è infatti esclusivamente di natura socioeconomica ma anche sanitaria: si parla in tal senso di «peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari, meno screening per il cancro e deterioramento della salute mentale».La soluzione proposta da questi scienziati è quindi quella di restrizioni mirate, che si concentrino esclusivamente sulle categorie a rischio. «L'approccio più umano, che bilancia i rischi e i benefici nel raggiungimento dell'immunità di gregge, è quello di permettere a coloro che sono a minimo rischio di morte di vivere normalmente la loro vita per costruire l'immunità al virus attraverso l'infezione naturale, proteggendo al meglio coloro che sono a più alto rischio», sostiene non a caso la dichiarazione. «Le attività extrascolastiche, come lo sport, dovrebbero essere riprese. I giovani adulti a basso rischio dovrebbero lavorare normalmente, piuttosto che da casa. Dovrebbero essere aperti i ristoranti e le altre attività commerciali. Arte, musica, sport e tutte le attività culturali dovrebbero riprendere normalmente», si legge ancora. Obiettivo finale per il documento è quello di «ridurre al minimo la mortalità e i danni sociali fino a raggiungere l'immunità di gregge».La dichiarazione non ha mancato di suscitare polemiche. Stephen Griffin, docente presso l'Università di Leeds, ha dichiarato alla Bbc che questo tipo di approccio comporterebbe una indebita disparità di trattamento tra le persone. Tutto questo, mentre William Hanage, epidemiologo di Harvard, pur riconoscendo la necessità di salvaguardare maggiormente le attività economiche, ha espresso perplessità sul concetto di immunità di gregge. Tra l'altro, oltre alle critiche tecniche, se ne sono registrate altre di più strumentali, con il Guardian che ha riportato come alcune decine degli attuali 340.000 firmatari (molti dei quali accademici) siano in realtà dei nomi fittizi.Come che sia, al di là delle polemiche, i dati di fatto sono due. In primo luogo, non si può non ammettere come gli autori della dichiarazione siano scienziati di fama e che il documento non possa essere derubricato a qualcosa di pseudoscientifico: lo stesso Griffin, pur nella sua posizione critica, ha riconosciuto che la dichiarazione nasca da «buone intenzioni». In secondo luogo, l'altro dato è che di questo documento si sia al momento parlato molto (forse troppo) poco sia in Italia che all'estero. Quasi che possa irritare che alcuni importanti scienziati esprimano dei dubbi sull'opportunità e l'efficacia di un lockdown indiscriminato. Per il momento, un chiaro segnale di interesse è arrivato dalla Casa Bianca. La scorsa settimana, il ministro della Sanità americano, Alex Azar, ha tenuto un incontro proprio con Gupta, Kulldorff e Bhattacharya. Come riportato dal sito The Hill, «durante l'incontro, i tre medici hanno detto ad Azar che consentire al virus di diffondersi in modo incontrollato tra i giovani e le persone sane, proteggendo gli anziani e quelli a più alto rischio di malattie gravi, creerebbe una sufficiente immunità della popolazione per impedirne la diffusione ampia, evitando blocchi e altri misure di mitigazione che hanno avuto un impatto dannoso sull'economia». Bhattacharya ha comunque precisato come l'idea - presente nella dichiarazione - di una «protezione mirata» risulti differente dalla «strategia dell'immunità di gregge» in senso stretto.Non è al momento chiaro se l'amministrazione Trump sceglierà di seguire questa linea. Quel che è certo è che, a inizio ottobre, Azar, nel corso di un'audizione alla Camera, aveva detto che «l'immunità di gregge non è la strategia del governo degli Stati Uniti per quanto riguarda il coronavirus». Resta comunque il fatto che l'incontro della settimana scorsa abbia evidenziato una manifestazione di interesse, da parte di un presidente - Trump - che ha sempre cercato di evitare un blocco totale dell'economia americana. Con la variante che, almeno in questo caso, non potrà prendersi del «negazionista» o del «nemico della scienza», visto il calibro dei tre medici in questione. Un calibro che, certo, non rende automatico dare ragione alla loro idea. Si tratta ciononostante di una proposta che ha una sua autorevolezza e che meriterebbe di essere diffusa e conosciuta, per ricevere adeguata valutazione. Eppure, come detto, ancora dopo dieci giorni dalla sua sottoscrizione, quasi nessuno ne parla. Per quale ragione? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/da-harvard-a-oxford-appello-anti-lockdown-2648183290.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-torna-su-un-palco-in-florida-e-striglia-i-repubblicani-sulla-barrett" data-post-id="2648183290" data-published-at="1602558260" data-use-pagination="False"> Trump torna su un palco in Florida e striglia i repubblicani sulla Barrett Donald Trump è tornato in campo. Nella serata di ieri, il presidente americano ha tenuto il suo primo comizio elettorale fuori Washington, da quando è stato dimesso dall'ospedale. L'evento si è tenuto in un aeroporto a Sanford, in Florida. Luogo scelto non a caso: Trump ha infatti assoluto bisogno di espugnare questo Stato se vuole essere riconfermato e deve in tal senso recuperare lo svantaggio del 3,7% che sta registrando in loco rispetto al rivale, Joe Biden. Non sarà del resto un caso che, sabato scorso, anche il vicepresidente, Mike Pence, abbia fatto campagna nel cosiddetto Sunshine State. Sempre nella giornata di ieri, l'inquilino della Casa Bianca ha twittato: «Grande impennata della peste cinese in Europa e in altri luoghi che le Fake News erano solite presentare come esempi di luoghi che stanno andando bene, al fine di far sembrare gli Stati Uniti cattivi. Sii forte e vigile, farà il suo corso. Vaccini e cure stanno arrivando velocemente!». Un messaggio volto a ribaltare la tesi secondo cui la gestione della pandemia da parte sua sia stata fallimentare: un elemento che proprio in Florida si rivela particolarmente delicato tra le frange più anziane della popolazione. Del resto, sempre per attirare il sostegno degli elettori del Sunshine State, Trump è tornato ieri a spingere sul pedale dell'anticastrismo. «Il nostro Paese», ha twittato, «non può sopravvivere come una nazione socialista, e questo è quello che i democratici vogliono. Gli Stati Uniti non diverranno mai una versione del Venezuela su larga scala». Nel frattempo, ieri sono cominciate le audizioni del giudice Amy Coney Barrett alla commissione Giustizia del Senato. La Barrett sarà ascoltata per tutto il corso di questa settimana, mentre il voto per la sua ratifica in commissione è teoricamente previsto per il 22 ottobre. Successivamente sarà il Senato in plenaria ad avere l'ultima parola: secondo la tabella di marcia prevista dai repubblicani, la conferma definitiva dovrebbe avvenire entro la fine del mese. Nella giornata di ieri si sono tenute le dichiarazioni introduttive. Il presidente della commissione, il senatore repubblicano Lindsey Graham, ha invocato delle audizioni «rispettose», mentre i democratici hanno già fatto sapere di voler pressare la Barrett sulle sue posizioni in materia sanitaria (soprattutto per quanto concerne l'Obamacare). I senatori dell'asinello (a partire da Chris Coons) sono anche tornati a criticare il fatto che Trump abbia nominato un nuovo giudice a così poco tempo dalle elezioni del 3 novembre. Una tesi respinta al mittente ieri dallo stesso Graham. «Non c'è nulla di incostituzionale in questo processo», ha dichiarato. Come che sia, il presidente non ha apprezzato le lungaggini del procedimento senatoriale e ha quindi twittato: «I repubblicani stanno dando ai democratici molto tempo, il che non è obbligatorio, per fare le loro dichiarazioni egocentriche relative al nostro nuovo e fantastico giudice della Corte Suprema». Non è del resto una novità che il presidente abbia polemizzato col suo stesso partito. Già la settimana scorsa, durante un'intervista rilasciata a Fox News, Trump aveva detto che, se la Barrett non verrà confermata, sarà solo colpa dei repubblicani.
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