Cyberattacchi, tra le aziende che pagano una su quattro non recupera i dati

Tra le aziende che subiscono gli attacchi hacker e pagano, una su quattro non recupera i dati
Le aziende stanno perdendo la battaglia contro il ransomware, ossia gli attacchi informatici che bloccano i sistemi e i dati aziendali. Secondo il Veeam 2022 Ransomware Report, il 72% delle organizzazioni ha subito attacchi parziali o completi ai propri archivi di backup, con un impatto drammatico sulla capacità di recuperare i dati senza pagare il riscatto.
Veeam Software, che ovviamente è parte interessata in quanto opera nelle soluzioni per la protezione dei dati, ha rilevato che l'80% degli attacchi andati a buon fine ha preso di mira vulnerabilità note, sottolineando l'importanza di patch e aggiornare il software. Il sondaggio è stato condotto da una società di ricerca che ha intervistato mille manager negli Usa ma anche in Europa, le cui aziende sono state attaccate (con successo) da ransomware almeno una volta negli ultimi 12 mesi.
Tra i gruppi criminali più attivi in questi attacchi c’è la gang Conti, che ha un organico di oltre 100 hacker con salari dai 5.000 ai 10.000 dollari mensili. Un’organizzazione ben strutturata con un “fatturato”, risultante dai riscatti pagati dalle aziende, di oltre 180 milioni di dollari all’anno.
«Il ransomware ha democratizzato il furto di dati e richiede uno sforzo collaborativo da parte delle aziende per massimizzare la loro capacità di rimediare e recuperare i dati senza pagare un riscatto», ha spiegato Danny Allan, di Veeam. Le aziende infatti preferiscono pagare (76%) per porre fine all’attacco e recuperare i dati. Sfortunatamente, mentre il 52% dei paganti è riuscito a riavere i dati, il 24% non è stato in grado di recuperarli nonostante il pagamento. Il report rivela però anche che il 19% delle aziende non ha pagato alcun riscatto perché è riuscito, grazie ai suoi sistemi di protezione, a recuperare autonomamente i dati.
Ma come si svolge un attacco? Il più delle volte i cybercriminali hanno avuto accesso ai sistemi It aziendali attraverso utenti, spesso dipendenti delle aziende vittime di attacchi, che hanno cliccato su link dannosi, visitato siti web non sicuri o risposto a messaggi di phishing. E quindi gli attacchi più clamorosi, come quello alle Ferrovie dello Stato che ha bloccato per qualche giorno la biglietteria, avvengono in grandi organizzazioni con migliaia di dipendenti a volte distratti e quindi vittime delle ormai sofisticate tecniche di phishing.
Nella maggior parte dei casi, gli intrusi criminali hanno sfruttato vulnerabilità note, quelle dei sistemi operativi, delle piattaforme e dei server, senza lasciare nulla di intentato e sfruttando qualsiasi software senza patch o, più semplicemente, obsoleto. Quanto alle cybergang criminali il gruppo Conti, esaminato da Cynet, altra azienda di sicurezza informatica, si è dimostrato il meglio organizzato.
Nello specifico, le risorse impiegate dalla gang criminale comprendono programmatori, testers che analizzano i sistemi, coloro che si occupano del reverse engineering (ovvero che ricostruiscono il funzionamento dei sistemi aziendali da attaccare) e infine dagli hacker veri e propri, che forzano i sistemi. Infine, la ben organizzata gang, si è dotata anche di un help desk per i propri «clienti» (ossia le vittime), con persone che guadagnano sui 2.000 dollari al mese.
Quanto alla negoziazione del riscatto, gruppo Conti è anche in grado di sapere se la vittima è dotata di una polizza assicurativa contro i cyber attacchi: in questo caso non concede sconti. Per i pagamenti inoltre vengono preferite le cybervalute, in particolare i bitcoin.
La quindicesima stagione di MasterChef Italia, al via ieri su Sky, conferma la forza di un format immutabile: giudici rodati, prove iconiche e una scrittura autoriale che bilancia tradizione, ritmo e personaggi, rendendo il talent un appuntamento ormai rituale.
Come il Natale, parte di un rituale che, di anno in anno, si ripete identico a se stesso. MasterChef Italia, la cui quindicesima stagione è partita ieri su Sky nella prima serata di giovedì 11 dicembre, è l'usato sicuro, quello che vince. Di più, convince. Senza, per giunta, avere bisogno di colpi di scena. Il talent show, alla cui giuria siederanno, ancora una volta, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli, è riuscito nella mirabile impresa di bastare a se stesso, elevando quel che avrebbe potuto essere un triste effetto già-visto a chiave del proprio successo.
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
Come se non bastassero le tragedie che ti sconvolgono la vita improvvisamente, ecco i tempi della giustizia che sono anch’esse una tragedia ma di quelle che si potrebbero evitare. La vera tragedia, per Andrea Furlan, è avvenuta 12 anni fa nel suo posto di lavoro, il supermercato Prix di Albignasego, in provincia di Padova. È lì che uno dei due banditi, armato, fa partire un colpo di pistola che perfora la testa del ragazzo riducendolo in stato vegetativo. Tragedie che ti sconvolgono la vita e ti domandi: perché? Perché a me? L’altra tragedia - quella che invece si dovrebbe evitare - è ritrovarsi con lo Stato che latita, che non riesce a dare un nome e una fisionomia al killer e che soprattutto si presenta nella veste del temporeggiatore.
Sono 12 anni che Cristina Calore, la mamma di Andrea, attende giustizia e un risarcimento, ma per ora pare non esserci verso. E anche qui ti domandi: perché? Perché a me? Già, perché non si riesce ad avere giustizia? Ti dicono: perché le telecamere presso il supermercato, quel giorno, non funzionavano e quindi diventa difficile. Ma davvero lo Stato non riesce a dare il giusto risarcimento a una vittima? Diventa difficile rispondere e nello stesso tempo confortare quando poi ti informano di casi in cui persino chi attenta alla vita delle persone riesce a ottenere un risarcimento del danno. Lo prevede la legge.
Intanto, in quel pezzo di Italia, sulla legge cala il crepuscolo dei rinvii. Come quello di pochi giorni fa della Corte d’Appello, l’ennesimo, che ha il sapore amaro della beffa. Cristina attende giustizia ma è stanca; come non esserlo quando vedi come hanno ridotto il tuo Andrea; e ripensi che l’ultima cosa che Andrea in salute aveva fatto era stato scendere dallo spogliatoio del supermercato giù al primo piano dove aveva lasciato la bicicletta. Poi… il colpo di pistola diretto alla testa. Una esecuzione criminale. Da lì l’inferno. Per quel ragazzotto che divorava la vita nulla è stato più come prima: non si muove più, non parla più, per qualsiasi attività ha bisogno di un sostegno. Ed è per questo che pensi: se tutto è ingiusto, se del rapinatore e del complice non si è mai saputo nulla, possibile che chi dovrebbe rappresentare il giusto prende tempo? Solo l’Inail ha riconosciuto ad Andrea un assegno di invalidità. Ma l’Inail non rappresenta la giustizia.
Quindi dove sono gli operatori del giusto che riparano i torti? Eccome se te lo domandi: il giudice civile in primo grado ha negato il risarcimento perché il supermercato Prix non deve nulla ad Andrea. Ma come, è lecito domandarsi? «C’erano delle telecamere in quel supermercato, ma non funzionavano», ha commentato mamma Cristina. «Io non credo che i titolari del supermercato abbiano delle colpe, hanno però delle responsabilità ed è mio dovere andare avanti». Già, possibile che un giudice non abbia il coraggio di dire all’assicurazione: «Tocca a te pagare»? O le assicurazioni sono diventate intoccabili? (Domanda retorica).
Fatto sta che la famiglia non si arrende. Né l’avvocato Matteo Mion è un tipo che si accontenta: si va in appello. Già, ma quando? Boh… per ora sembra che la giustizia si sia impastata di quella gomma ciccosa che ci mettiamo in bocca, che s’appiccica ai denti, che si dilata e perde sapore. L’avvocato Mion sta facendo il possibile per anticipare i tempi dell’appello e non si capacita dei tanti rinvii: cosa pensare? Davvero tutto può ridursi a fatalità? Davvero non c’è un buco in questo muro di gomma? Davvero è impossibile pensare a un appiglio che consenta quel risarcimento che diventa il minimo per gestire i risvolti della tragedia? In casa di Andrea tragedia e burocrazia stanno togliendo energie e speranze.
Che si facessero un giro lì, in quella casa dove la vita ha cominciato a girare da un altro verso. Vogliono vedere come si gestisce una persona a cui un criminale ha bucato la testa? Vogliono vedere le due persone che si prendono cura di questo ragazzo che passa dal letto alla carrozzina? Vogliono provare la fatica di prendersi cura di una persona che vive senza vita? Mamma Cristina e il papà di Andrea non hanno problemi a dar prova di quel che per loro è la quotidianità. Delle loro sofferenze e delle paure legate al «dopo di noi».
Eccome se i genitori ci sperano nell’appello, invece altro giro a vuoto, altro rinvio. Altro perché da tre anni non c’è ancora stata nemmeno la prima udienza. «Ci sentiamo presi in giro», ha commentato la madre. «È l’ennesima volta che rinviano l’inizio di un processo. Ci sentiamo raggirati, è come se a un certo punto lo Stato fosse diventato nostro nemico: ogni volta questa data si sposta di sei mesi in avanti, come se davanti a noi ci fosse tutto il tempo del mondo, come se mio figlio potesse aspettare i tempi infiniti».
La burocrazia ha i suoi tempi, il suo traffico da regolare: c’è da comprendere, signora mia. E quante cose debbono comprendere la mamma e il papà di Andrea? Debbono comprendere che il colpevole non si trova ed è già un cazzotto alla bocca dello stomaco. Debbono comprendere la decisione di primo grado del giudice civile. Debbono comprendere che i tribunali sono pieni di cause. Ora dovrebbero pure comprendere che le vittime non sono tutte uguali?
Dimmi La Verità | Alessandro Da Rold: «Sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano»
Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.














