2021-10-14
Sberla agli ultrà della «vigile attesa». Le cure precoci abbattono i ricoveri
Lo studio dell'Istituto Negri sbugiarda i denigratori delle terapie domiciliari. Il protocollo, basato sull'uso di antiinfiammatori, cortisonici, antibiotici o eparina, riduce le ospedalizzazioni e la durata dei sintomi.Se non ci fossero di mezzo migliaia di morti e di ricoveri probabilmente inutili, ci sarebbe quasi da consolarsi con la considerazione che anche in fatto di cure anti-Covid il tempo è galantuomo. I risultati del secondo studio curato dall'Istituto Mario Negri di Milano confermano che le cure domiciliari con un mix di farmaci comuni, già autorizzati dall'Agenzia pubblica del farmaco (Aifa), riducono l'impatto del virus e accorciano la durata dei sintomi. Insomma, la famosa ricetta «tachipirina e vigile attesa» del ministro Roberto Speranza e dell'Aifa stessa aveva e ha alternative che non meritavano giudizi sommari, che le accostavano a stregonerie improvvisate da medici di paese. Peccato anche che la notizia, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, sia stata nascosta in cronaca di Milano come se fosse una faccenda locale. Non sia mai che al ministero di Lungotevere Ripa, a lungo sostenitore del binomio paracetamolo-ospedalizzazione, ci rimangano un po' male e magari si facciano un minimo esame di coscienza.La notizia è semplice: uno studio a Bergamo, Varese e Teramo su 108 pazienti, confrontati con 108 malati curati in modo tradizionale, conferma che le cure domiciliari «alternative» riducono l'impatto del coronavirus e accorciano la malattia. Il protocollo dell'Istituto Negri, guidato da Giuseppe Remuzzi, prevede di intervenire senza indugi ai primi sintomi e prima di avere un tampone positivo, somministrando farmaci comuni come il nimesulide (l'Aulin). Queste linee guida, basate sugli antiinfiammatori, sono state inserite in un algoritmo e messe in pratica da otto medici di famiglia con 108 pazienti. Soltanto uno di essi ha poi avuto bisogno del ricovero in ospedale, contro i 12 casi registrati in un gruppo omogeneo che ha seguito le famose linee guida «tachipirina e vigile attesa». L'equipe di Remuzzi si è anche divertita a calcolare i costi per il servizio sanitario nazionale, argomento spesso usato per stigmatizzare chi critichi il dogma vaccinale e il green pass, additato come colpevole di una maggiore spesa pubblica in caso di eventuale ricovero. Le stime dell'Istituto Negri sono di 9.000 euro per i 19 giorni in ospedale del primo paziente, contro gli oltre 60.000 euro degli altri 12. Moltiplicate per le decine di migliaia di ricoveri Covid forse inutili e verrà fuori una bella cifra, che sicuramente poteva essere spesa meglio. Magari anche per potenziare le stesse terapie intensive. In sostanza, il protocollo, ormai giunto con successo alla sua seconda sperimentazione nel giro di pochi mesi, prevede l'utilizzo degli antiinfiammatori come prima «aggressione» al Covid-19, per poi passare, a seconda anche degli esami del sangue e del prosieguo della malattia, all'uso di cortisonici, antibiotici o eparina. Lo scorso 21 giugno, lo stesso istituto Mario Negri aveva reso noto che su «EClinicalMedicine», che fa capo alla testata britannica Lancet, era stato pubblicato con ampio risalto un primo studio condotto da Remuzzi e Fredy Suter, primario emerito dell'Ospedale di Bergamo, dal quale risultava che i farmaci antinfiammatori non steroidei (cosiddetti Fans) sono probabilmente quelli più indicati nelle prime fasi della malattia. All'epoca, il professor Remuzzi aveva osservato: «Ci auguriamo che questo approccio possa prevenire in un certo numero di casi l'evoluzione verso le forme più gravi della malattia e la necessità di ricorrere all'ospedale». E aveva invitato ancora una volta a coinvolgere maggiormente i medici di famiglia. Va detto che lo scorso 16 agosto, dopo mille insistenze da parte di medici e scienziati, il ministro della Salute Roberto Speranza ha annunciato lo stanziamento di quattro miliardi per le cure domiciliari, finanziati attraverso i fondi Ue del Pnrr. Ma ancora pochi mesi prima, il suo ministero aveva impugnato al Consiglio di Stato l'ordinanza del Tar che dava torto all'Aifa sulle (non) cure domiciliari. L'ultima mazzata sulla credibilità della ricetta Speranza è arrivata in questi giorni, come anticipato dalla Verità, con il libro di Ranieri Guerra sugli errori commessi dall'Italia nella prima fase della pandemia. L'ex direttore vicario dell'Organizzazione mondiale della Sanità, travolto dallo scandalo del rapporto «sbianchettato» sull'assenza di un piano pandemico in Italia, svela ora di aver fatto notare ai colleghi che «mancava la sorveglianza domiciliare, riguardante i pazienti che potevano essere gestiti e valutati da casa senza intasare le strutture ospedaliere». E sempre Guerra scrive che si è trattato di «una grande occasione persa, al di là delle recenti polemiche, purtroppo sempre politicizzate, relative alle terapie domiciliari». Già, le polemiche «politicizzate». In questi lunghi mesi, per difendere i pregiudizi di Aifa e ministero, si è tentato di far passare le cure domiciliari come rimedi da Paesi sottosviluppati, dando pubblicità solo a mix di farmaci un po' esotici, magari tirati fuori da personaggi a caccia di pubblicità. Ma poi, quando esce l'ultimo rapporto dell'istituto Mario Negri sulle (vere) cure domiciliari, la notizia finisce in cronaca cittadina.
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