
Causa a New York: «Previsioni gonfiate dai manager». Gli stessi criticati dal governo.Doccia fredda per il gruppo STMicroelectronics, uno dei più grandi produttori mondiali di componenti elettronici, usati soprattutto nell’elettronica di consumo, nell’automotive, nelle periferiche per computer e nella telefonia cellulare. Per il 40% il fatturato è nell’auto, per il 30% nel comparto industriale e per il 20% nella telefonia.Il gruppo italo-francese, guidato da Jean-Marc Chery e da Lorenzo Grandi, dovrà affrontare una class action avanzata dai legali di Levi & Korsinsky, stando al dossier visionato dalla Verità. Non bisogna dimenticare che Stm è quotata anche a New York. Il motivo è: indicazioni fuorvianti.La bufera si è scatenata il 25 luglio quando il gruppo ha comunicato i risultati del secondo trimestre rivedendo al ribasso le proiezioni di ricavi e margini per l’intero anno, il secondo taglio da inizio anno. Le previsioni sulla ripresa della domanda di microchip si sono rivelate sbagliate e la Borsa ha punito il titolo. I ricavi per l’intero 2024, dai quasi 17 miliardi di dollari di cui si parlava a inizio anno (comunque inferiori ai 17,29 miliardi del 2023), e dalle indicazioni di 14-15 miliardi ribassate ad aprile, sono scesi nel range di 13,2-13,7 miliardi. Il presidente e ad, il francese Jean-Marc Chery ha tentato di correre ai ripari spiegando che «contrariamente alle nostre precedenti aspettative, nel corso del trimestre gli ordini dei clienti del settore industriale non sono migliorati e la domanda del settore automobilistico è diminuita», ma per il titolo non c’è stato nulla da fare ed è stato un bagno di sangue. Nella seduta dell’annuncio, Stm ha perso di botto oltre il 13%. Non c’è da stupirsi dal momento che è un settore particolarmente sensibile alle comunicazioni provenienti dalle aziende. La class action nasce quindi dal fatto che sarebbero venute indicazioni fuorvianti dal gruppo e ora i due studi legali cercano di far recuperare le perdite agli azionisti accumulate nel semestre tra il 25 gennaio e il 24 luglio.Non dimentichiamo che intorno a marzo erano emerse alcune tensioni tra Italia e Francia sulla guida del gruppo, con Palazzo Chigi contrario, secondo alcuni rumors, alla conferma di Chery. Allora si disse che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non avesse gradito la scelta della città francese di Grenoble come sede del nuovo sito di produzione dell’azienda con un investimento da 2,9 miliardi di euro del governo francese nell’ambito del Chip Act. Alla fine la decisione è stata per la conferma di Chery per un altro triennio, fino al 2027 come presidente di un consiglio di gestione però allargato al direttore finanziario, Lorenzo Grandi, riequilibrando in questo modo il ruolo dell’Italia. Chissà che non avesse giocato, nelle tensioni, anche una perplessità sulla governance. Una class action con queste motivazioni non è la prima nel settore. A inizio mese anche l’americana Intel, che produce microprocessori per i computer, è stata attenzionata. Il fondo Construction Laborers Pension Trust of Greater St. Louis ha promosso un’azione legale collettiva accusando il colosso di aver contribuito a gonfiare le quotazioni del titolo con indicazioni fuorvianti.Il settore dell’industria dei microchip ha mostrato, partire dal Covid, un andamento altalenante e questo può aver influito sulla stima delle prospettive di crescita. Il comparto prima della pandemia mostrava tassi di sviluppo del 7%-9% all’anno, ma tra il 2021 e il 2022, Stm ha visto esplodere i ricavi del 25% e poi del 26%, a cui ha fatto seguito un +7% nel 2023. Nel 2024 una brusca frenata del 22%.È successo che alla fine del lockdown, quando le attività si sono rimesse in moto, la domanda di chip si è impennata perché tutti i Paesi sono corsi a fare scorte, temendo di restare senza. Poi si è verificato un eccesso di prodotto, costringendo a tagliare le stime ottimistiche. Vedremo se la mossa negli Usa in qualche modo riaprirà la partita della governance tra Italia e Francia.
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