2021-07-23
Criticano la Cartabia per i motivi sbagliati
La banda dei manettari che ogni giorno bercia sulla legge voluta dalla Guardasigilli non ammette che un ex Procuratore di sinistra come Armando Spataro non si scagli contro la riforma. Che è molto discutibile, ma se non altro cancella il «fine processo mai».Ogni giorno ha la sua lacrima, anzi il suo magistrato che piange sulla riforma della Giustizia. A ogni intervista, pubblicata con regolarità dal Fatto quotidiano, la legge messa a punto da Marta Cartabia diventa sempre più mostruosa. Il lunedì annunciano scarcerazioni a gogò, il martedì la rottamazione delle sentenze, il mercoledì l'estinzione dei processi, il giovedì la liberazione dei mafiosi, il venerdì quella dei terroristi. Sabato e domenica, come tutti i cristiani, anche le toghe si prendono una pausa, poi il lunedì la geremiade ricomincia. Risultato, la ministra è già stata tacciata di voler salvare i ladri e i corrotti.Per quanto ci riguarda, non abbiamo in particolare simpatia né il ministro della Giustizia né la sua riforma. La prima perché ci sembra un po' troppo ambiziosa e pronta a sacrificare in nome della carriera alcuni principi. E la seconda perché non ci risulta affronti il nodo principale che riguarda le correnti della magistratura e il funzionamento del Csm, vale a dire ciò che è all'origine dello scandalo Palamara, ossia il sistema che ha consentito e consente a poche toghe di tenere sotto controllo gli uffici giudiziari del Paese. Tuttavia, a prescindere da ciò che si poteva fare e che la Cartabia non ha fatto, nella riforma una cosa buona c'è ed è un argine alla prassi che consente a un processo di durare in eterno. Per Alfonso Bonafede, predecessore dell'attuale titolare di via Arenula, il giudizio non avrebbe dovuto estinguersi per prescrizione, ma durare fino a che fosse intervenuta una sentenza definitiva. Al posto del fine pena mai, secondo il ministro grillino dovremmo avere il fine processo mai. Così, un innocente può rimanere appeso alle maglie della giustizia per la vita e un furfante può rimanere in attesa della pena per altrettanto. Cartabia almeno a ciò ha messo un argine, prevedendo che, nel caso i giudici non siano giunti a una sentenza entro un ragionevole lasso di tempo, il procedimento si concluda con l'improcedibilità, cioè con l'estinzione del giudizio.Non sia mai, per la banda di manettari capitanata da Giuseppe Conte e compagni, oltre che da decine di toghe che appunto trovano ascolto presso la redazione del Fatto quotidiano, la riforma altro non è che «una tagliola che manderà al macero centinaia di migliaia di processi». Ma è davvero così come dicono le toghe care al quotidiano di Marco Travaglio? Beh, non pare proprio. Almeno a sentire un tipo come Armando Spataro, cioè un signore che non si può proprio annoverare tra i difensori di ladri e mafiosi. Figlio di un magistrato, per 43 anni ha indossato la toga, occupandosi di mafia e terrorismo. È stato al Csm e ha guidato una delle correnti di sinistra della categoria, ossia il Movimento per la giustizia. Di destra certo non è, visto che da procuratore capo di Torino polemizzò con Matteo Salvini e da procuratore aggiunto fece pedinare i capi dei servizi segreti italiani, facendo condannare gli agenti della Cia che nel capoluogo lombardo rapirono Abu Omar, un egiziano sospettato di terrorismo. Insomma, Spataro ha il pedigree giusto per unirsi al coro di chi demonizza la riforma della giustizia. E invece no: l'altro giorno, con un'intervista al Corriere della Sera, l'ex magistrato (è andato in pensione un paio d'anni fa) ha sostenuto che prima di bocciarla, la legge Cartabia va messa alla prova. Leggere per credere: «I cittadini hanno diritto di conoscere la durata del processo, che deve essere ragionevole. Lo dicono la Costituzione e la legge Pinto. E la Cedu (la Corte europea dei diritti dell'uomo, ndr) ha più volte condannato l'Italia. Va trovata una soluzione corretta che non è l'abolizione della prescrizione dopo la prima sentenza, che allunga a dismisura i tempi». Tradotto, l'idea di sbarazzarsi della decadenza dopo il primo grado di giudizio non è la soluzione, ma il problema, perché allungare la vita dei processi non è giustizia. Spataro dimostra di non credere che con la riforma si libereranno legioni di ladri e mafiosi, ma suggerisce di verificare con una norma transitoria l'effetto degli aumenti del personale addetto ai tribunali e il miglioramento delle strutture, oltre le conseguenze dei tanti strumenti previsti dalla legge Cartabia, lavorando sulla lista dei reati che consentono un aumento dei termini dell'improcedibilità. In pratica, niente ecatombe di processi. Spataro non dice che la riforma sia perfetta, né che non abbia aspetti migliorabili. Sostiene solo che il muro contro muro non serve e che non tutto sia da buttare, a cominciare dall'intervento sulla prescrizione.E dunque, essendo una voce contraria a quella di tanti baldanzosi suoi ex colleghi che da giorni si stracciano le vesti, si è badato a silenziarla quanto più possibile. La Repubblica, di cui peraltro l'ex pm è collaboratore, si è guardata bene dal commentare. Il Fatto ha sorvolato, procedendo la campagna contro la «schiforma». Insomma, o canti nel coro di chi ciurla nel manico con la storia della prescrizione, o il tuo canto libero è destinato a non sentirsi. P.S.: Come si è visto, sulla giustizia Conte non conta e forse anche sul resto. Prova ne sia che, nonostante le minacce, centinaia di emendamenti e pure una visita a Palazzo Chigi, il governo ha deciso di tirare diritto, ponendo la fiducia. Il problema è che a favore della scelta hanno votato anche i ministri grillini, che alla campagna orchestrata dall'ex avvocato del popolo e dai suoi compagni contro la legge Cartabia hanno risposto con un «Vaffa».