2023-04-22
Cristina Campo, una poetessa affamata d’assoluto contro la modernità
Cento anni fa nasceva l’intellettuale aristocratica che frequentò Luzi, Ceronetti e Zolla, ma non si contaminò mai con le mode.La grandezza e il dramma di Cristina Campo sono quelli di una donna, di un’artista, che apparteneva ad un altro mondo e che - seppur per un breve periodo - è stata come imprigionata su questa terra. La sua esistenza è stata una continua lotta: prima di tutto con le parole, cioè lo strumento della sua arte, che ricercava con ossessione, quasi che ogni testo da lei prodotto fosse un testo sacro: «La parola è un tremendo pericolo, soprattutto per chi l’adopera, ed è scritto che di ciascuna dovremo render conto», spiegava. E poi una lotta contro la realtà circostante, a cui con tutta evidenza non apparteneva. Il suo universo era differente: antico, spirituale, magico, fiabesco. Cristina Campo è stata una figura di straordinaria modernità. Indipendente, forte, anticipatrice delle figure femminili emancipate e autonome che oggi vanno per la maggiore. Ma, allo stesso tempo, contraria alla sua epoca, profondamente antimoderna, nemica del disincanto di un mondo che andava perdendo lo spirito e la fede.Volto diafano e malinconico, anima inquieta di poetessa, scrittrice e traduttrice, nata a Bologna nel 1923, la Campo ha fatto della scrittura la sua forma di preghiera, il suo credo, la sua professione di fede, tanto da aver condotto una vita alla ricerca della perfezione estetica ed etica. Non è stato, il suo, un cammino facile. La sua esistenza è stata segnata dalla malattia, un destino curiosamente assonante a quello di un’altra grande poetessa oggi molto popolare, cioè Emily Dickinson. Cristina era afflitta da una malformazione cardiaca sin dalla nascita, un problema che l’ha strappata alla vita ad appena 53 anni, quasi che il mal di cuore fosse la trasposizione fisica di una malattia spirituale.Non è stato semplice nemmeno il suo percorso artistico. In vita pubblicò soltanto un libro in versi e due volumetti di saggistica. Sconosciuta ai più, Vittoria Guerrini, (questo il suo vero nome che fu svelato solo dopo la sua morte) utilizzò vari eteronimi, sino a prendere quello definitivo Cristina Campo. Il mondo la guardava con sospetto, era troppo moderno, chiassoso, in evoluzione continua, non combaciava con i suoi valori e la sua ricerca interiore e spirituale: «Il mondo d’oggi ha un fiuto infallibile nel tentar di schiacciare ciò che è più inimitabile, inesplicabile, irripetibile. E questo avviene anche nei migliori», scriveva lei, con amarezza. Si sentì persino annientata, sicuramente sottovalutata dal suo tempo: «La città da secoli ti divora ma per te travede, sogno e sfacelo, di luci e piogge, lacrime senili sulla ragazza che passa febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo».Era fuori posto, dunque. Eppure - e qui forse sta la sua grande lezione che arriva fino a noi - non ha mai smesso di battersi. Pare di vederla: anticonformista, indomita pur nel suo isolamento. La sua esistenza fu sempre appartata, fuori dai circoli letterari ufficiali che mai compresero l’importanza della sua scrittura in anticipo sui tempi. Ad apprezzarla, e tanto, furono però alcuni intellettuali di grande valore. Con alcuni di essi ebbe anche storie d’amore piuttosto tormentate: Leone Traverso, grande grecista e germanista, la introdusse agli autori britannici e tedeschi, che poi lei tradusse. E poi Mario Luzi (anche con lui probabilmente ebbe una relazione sentimentale), Gianfranco Draghi, Attilio Bertolucci, Maria Zambrano, Maria Luisa Spaziani.Il corpus della sua opera è stato ricomposto, postumo, grazie all’amica e studiosa Margherita Pieracci Harwell e a Roberto Calasso. Quest’ultimo, importante animatore dell’Adelphi, è stato anche responsabile della riscoperta di Cristina: ne ha diffuso gli scritti, tra cui La tigre assenza e Gli imperdonabili, ripubblicati di recente.In effetti, nel catalogo Adelphi trova una ottima nicchia questa donna fragile eppure emancipata, raffinata, sempre contraria alle accelerazioni del suo tempo, che sublimò solitudine e malattia in una scrittura di grande attualità proprio perché inattuale. Straordinarie sono le lettere che mandava agli amici cari, veri capolavori. Con Margherita Pieracci Harwell si confidava dolorosamente: «Da un mese non vedo un’anima, vorrei scrivere poesie e piango per la debolezza. Vede come è piccola la mia scrittura stanotte? Segno di avvilimento profondo e di minima energia psichica».Pagina dopo pagina la Campo fa emergere i suoi demoni. Soffre di cuore, di agorafobia, di insonnia: «Esco da un’ennesima notte oscura: febbre, mal di capo fin quasi alla cecità e una tosse che pare scavare il cuore[…] Certo l’agonia non è che il simbolo di ben altro e non sapremo, finché viviamo, in quali zone si svolga», scrive ancora alla sua cara Mita. Il poeta Guido Ceronetti, che le fu vicino, di lei scrisse nella prefazione a Gli imperdonabili: «È stata un essere in cui discende la parola, il contatto con l’inesprimibile». Ecco il grande mistero dell’arte di Cristina: la capacità di farci sperimentare quasi fisicamente il sacro: «Liturgia - come poesia - è splendore gratuito», scriveva. «In realtà la poesia si è sempre posta come segno ideale la liturgia».Non per nulla la poetessa Maria Grazia Calandrone di lei dice: «Campo rappresenta il rigore della parola e il senso del sacro della parola. Aveva una spiritualità per quello che riguarda la poesia e tutto quello che sta intorno alla poesia, perché arava anche la sua vita così come anche i suoi versi. Era coincidente con quello che scriveva».Una profonda spiritualità, dunque, ma anche una sorta di intransigenza che la allontanò dalla Chiesa dopo l’abolizione della messa in latino e la emarginazione del Canto Gregoriano e dei riti più tradizionali. Trovò conforto nella letteratura ecclesiastica orientale, nelle profondità di un cristianesimo diverso e meno «progressista» (da queste suggestioni scaturisce il suo Diario Bizantino). Decisivo in questa traiettoria spirituale e religiosa fu l’incontro con Elémire Zolla, filosofo e studioso delle religioni. Lei gli salvò la vita assistendolo mentre soffriva di una gravissima tisi, lo accudì, gli fu completamente devota e forse per la prima volta Zolla conobbe la gioia essere amato.Vissero insieme al primo piano di un appartamento in piazza sant’Anselmo, che oggi è un bed and breakfast. Potevano vedere la basilica di Sant’Anselmo tanto cara a entrambi e quella pace immersa nella natura dell’Aventino che avevano scelto come luogo dell’anima. Erano molto diversi, Cristina Campo governata dal rigore, dal senso della forma, Zolla uno spirito in fuga. Vissero assieme fino alla morte di lei nel 1977, senza smettere mai un secondo di essere cercatori dell’Assoluto, anime di passaggio in un universo che non ha saputo comprenderli del tutto ma a cui hanno donato tesori.
(Ansa)
La casa era satura di gas fatto uscire, si presume, da più bombole vista la potente deflagrazione che ha fatto crollare lo stabile. Ad innescare la miccia sarebbe stata la donna, mentre i due fratelli si sarebbero trovati in una sorta di cantina e non in una stalla come si era appreso in un primo momento. Tutti e tre si erano barricati in casa. Nell'esplosione hanno perso la vita 3 carabinieri e sono risultate ferite 15 persone tra forze dell'ordine e vigili del fuoco. (NPK) CC
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(Totaleu)
Lo ha affermato l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Pietro Fiocchi in un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles, in occasione dell'evento «Regolamentazione, sicurezza e competitività: il ruolo dell’Echa (Agenzia Europea per le sostanze chimiche) nell’industria e nell’ambiente europei».
Il ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Ansa)