True
2023-04-03
Cristiani sotto attacco
I cristiani sono i nuovi discriminati d’Occidente? Sono molto rare le voci in politica e sui media, e perfino nel mondo cattolico, che oggi si misurano con un simile dilemma. Del resto, la stessa parola discriminazione viene automaticamente associata alle minoranze sessuali ed etniche, non certo a chi crede in Gesù Cristo. Eppure, una crescente mole di dati e statistiche testimonia che essere cristiani, nei Paesi occidentali dei «nuovi diritti», inizia a essere un problema. Sfoggiare il crocifisso o affermare gli insegnamenti cattolici sulla morale sessuale può costare irrisione, stigma, in qualche caso pure il posto di lavoro.
Ne sa qualcosa Mary Onuoha, infermiera inglese che lavorava al Croydon University Hospital, a Sud di Londra, quando, nel 2015, ha iniziato a ricevere pressioni affinché non indossasse il crocifisso. La motivazione ufficiale era di natura igienica, ma era chiaro come fosse un pretesto. Alla fine, nell’aprile 2019 alla donna è stato dato un ultimo avvertimento scritto ma lei, dopo essere stata assegnata a ruoli amministrativi, si è dimessa.
Ne è nata una causa che lo scorso anno ha visto i giudici stabilire che il Croydon health services Nhs Trust ha violato i diritti umani della Onuoha, generando attorno a attorno a lei un clima «ambiente umiliante, ostile e minaccioso». Alla donna è comunque andata meglio di John Sherwood, pastore evangelico ultrasettantenne che nell’aprile 2021, per aver predicato in strada l’insegnamento cristiano su matrimonio e famiglia, citando la Genesi, è finito in arresto per oltre 20 ore. L’ostilità anticristiana nel contesto occidentale non risparmia neppure figure istituzionali. Si pensi a Paivi Rasanen, già presidente dei Democratici cristiani e, dal giugno 2011 al maggio 2015, ministro dell’Interno della Finlandia. Cariche di tutto rispetto, che però non le hanno evitato di finire sotto processo. Il motivo? Nel 2019 su Twitter, aveva criticato la sponsorizzazione ufficiale della Chiesa evangelica luterana di Finlandia al Pride di quell’anno, allegando l’immagine del brano biblico Romani 1:24-27. Ora, per dare un nome a questo clima ostile già nel 2003 era stato coniato un termine che fatica a farsi spazio nel linguaggio comune, ma anche risulta significativo: quello di «cristianofobia», parola che, appunto, descrive una avversione pregiudiziale nei confronti del cristianesimo.
Gli stessi accademici seguono il fenomeno da anni, tanto che Philip Jenkins, docente alla Baylor University, già nel 2003 parlò dell’anticattolicesimo come The Last Acceptable Prejudice, «l’ultimo pregiudizio accettabile» (Oxford University Press), mentre i sociologi della North Texas University George Yancey e David Williamson, nel loro libro - So Many Christians, So Few Lions (Rowman & Littlefield Publishers) -, hanno evidenziato, riferendosi alla società americana ma è una valutazione valida anche per l’Europa, la presenza d’un gruppo numericamente minoritario, ma con un potere sociale superiore alla media caratterizzato da «un odio irragionevole o paura dei cristiani». Tale sentimento di ostilità, ben lungi dall’essere neutro, produce conseguenze concrete.
L’Osservatorio europeo sulle discriminazioni contro i cristiani, che ha sede a Vienna, ogni anno pubblica un report di aggiornamento sulla situazione nel Vecchio Continente. L’ultimo, diffuso lo scorso 16 novembre, documenta come nell’anno 2021 in Europa si siano registrati oltre 500 crimini d’odio contro i cristiani; di questi, circa 300 sono stati i casi di profanazione e vandalismo, 80 quelli di furti di ostie consacrate, arredi e oggetti sacri, 60 quelli di incendi dolosi, 14 quelli di aggressione fisica. Segnalati anche quattro omicidi. Se dalla situazione continentale si passa a quella dei singoli Paesi, si nota come gli atti di cristianofobia siano in vertiginosa crescita. Confrontando i dati del 2017 con quelli del 2021, si scopre infatti come in Germania i crimini d’odio anticristiani siano aumentati di oltre il 60%, nel Regno Unito del 165%. In Francia questi crimini risultano più stabili, ma sono un numero impressionante, dato che oscillano tra gli 8 e i 900 all’anno. Oltreoceano lo scenario non è però più confortante, anzi.
In Canada, secondo i dati dell’ufficio statistico nazionale, tra il 2020 e il 2021 c’è stato un boom di episodi anticristiani, saliti in pochi mesi del 260 per cento. Negli Stati Uniti le cose sono altrettanto gravi. Il mese scorso, infatti, è stato diffuso un report inquietante, che ha registrato come, dalla primavera del 2020 in poi - in seguito alle proteste iniziate dopo la morte di George Floyd -, siano state vandalizzate qualcosa come oltre 300 chiese. In pratica, 100 chiese all’anno vengono colpite non nella Cina comunista o nell’Africa di Boko Haram, ma negli Usa di Joe Biden, che pure si professa cattolico.
«Questa epidemia di violenza contro le chiese cattoliche ha creato un clima di paura per i fedeli di tutto il Paese», è stato il commento di Brian Burch, presidente di CatholicVote, l’organizzazione che ha raccolto i dati di questi atti di cristianofobia, «questo è uno stato di cose inaccettabile, perché nessun americano dovrebbe andare in giro chiedendosi: “La mia chiesa sarà la prossima?”». E in Italia? Anche da noi, bellamente ignorata dai grandi media, la cristianofobia si fa sentire.
Consultando i dati che l’Odihr - l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani che è la principale istituzione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) - ha raccolto da altre fonti e pubblicato sul suo sito, si scopre infatti come se nell’anno 2017, nella nostra penisola, si erano stati registrati appena 11 atti d’odio con matrice anticristiana, nel tempo essi sono sistematicamente aumentati, divenendo 58 nel 2018 e addirittura 92 nel 2021. In soli quattro anni, in Italia, i casi di cristianofobia sarebbero quindi aumentati di oltre il 736%. Una crescita esponenziale dovuta di certo anche alla maggiore attenzione che il tema inizia fortunatamente ad avere; in effetti, al di là delle statistiche, a parlare sono le cronache, che riferiscono sempre più spesso, per esempio, di fedeli o sacerdoti nel mirino.
All’inizio di quest’anno il vice parroco della cittadina dei Castelli Romani è stato percosso poco prima della celebrazione di un funerale. Lo scorso settembre un altro sacerdote è stato aggredito durante la messa a Milano, nella chiesa del Santissimo Redentore, nei pressi di piazzale Loreto. Nell’aprile 2022 anche don Guido Panella, parroco della basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio, era stato schiaffeggiato durante una funzione. Era comunque andata peggio a don Matteo Graziola, parroco di Rovereto che, nell’ottobre 2014, finì al pronto soccorso dopo essere stato aggredito mentre manifestava con le Sentinelle in piedi. Sempre a don Graziola nel 2019 è stata bruciata la porta della chiesa. Pur di minacciare il sacerdote trentino, reo di essere un fiero antiabortista, i vandali non si sono fermati neppure di fronte al portone di un edificio storico del 1631.
«Non esiste alcun luogo sicuro nel mondo e nelle nostre chiese dove essere cristiani», ha affermato il teologo anglicano Ephraim Radner, per descrivere l’odierno sentimento anticristiano: «È una nuova era». L’odio contro i seguaci di Cristo che si sta radicando in un Occidente che parla di diritti umani ma fa spesso fatica a garantirli, non è però il sentimento più grave. Ce n’è infatti, davanti a tutto questo, uno ancora più allarmante: l’indifferenza.
Ogni giorno ammazzati 15 martiri
Non è semplice essere precisi, nell’effettuare una stima dei perseguitati nel mondo. Il fenomeno cresce infatti in continuazione, praticamente mese dopo mese. Come ricorda in apertura del suo ultimo report la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, diretta da Alessandro Monteduro, in un solo anno - dal 2018 al 2019 - l’aumento dei Paesi in cui registrano violazioni contro i cristiani è passato da 145 a 153. Attualmente, secondo il lavoro di monitoraggio dell’Ong Porte aperte/Open Doors, i cristiani che nel mondo rischiano a causa della loro fede ammontano a 360 milioni.
Negli ultimi anni il numero di cristiani uccisi appare stabile, in un conteggio comunque impressionante che si aggira sulle 5.700 vittime annue: in pratica, oltre 15 martiri al giorno. In netto aumento, invece, il numero dei fedeli rapiti, con circa 14 sequestri al giorno. La stragrande maggioranza di tali rapimenti, si concentra in tre sole nazioni: Nigeria, Mozambico e Congo. Dove non ci sono sequestri, si possono comunque verificare arresti. In India, per esempio, sotto il governo del radicale indù Narendra Modi, sempre secondo il rapporto diffuso a gennaio da Open Doors, nell’ultimo anno gli arrestati per motivi religiosi, e senza processo, sono stati 1.750.
La situazione non è più serena in Pakistan, dove sulle minoranze cristiane gravano un quarto di tutte le accuse di blasfemia, benché esse siano meno del 2% della popolazione. Da non sottovalutare anche l’Arabia Saudita, dove gli accenni di liberalizzazione e aperture restano spesso solo tali. «I lavoratori stranieri cristiani possono essere presi di mira per la loro fede», denuncia Open Doors, «e a tutti i cristiani stranieri è fortemente vietato condividere la loro fede o riunirsi per il culto, e qualsiasi azione al di fuori de consentito può portare alla detenzione». Complessivamente, se nel 1993 i Paesi dove i Paesi dove le persecuzioni anticristiane erano più forti risultavano 49 oggi sono 76, con un aumento di oltre il 55%.
A livello globale, non ci si fa particolari problemi neppure a processare e perseguitare vescovi o cardinali, come insegnano le vicende in Cina del cardinale Joseph Zen Ze-Kiung e nel Nicaragua di monsignor Rolando Álvarez. Per chi si professa seguace di Cristo, il Paese più pericoloso è comunque l’Afghanistan, seguito dalla Corea del Nord; quello in cui i cristiani vengono uccisi più di frequente, con oltre 5.000 vittime, è invece la Nigeria; si tratta tuttavia anche dello stesso Paese - e questo dovrebbe insegnare molto ai fedeli d’Occidente, spesso impigriti - con la più alta percentuale di credenti praticanti: secondo un recente studio pubblicato dal Center for Applied Research in the Apostolate (Cara) - un centro di ricerca senza scopo di lucro che conduce studi scientifici sociali sulla Chiesa cattolica - il 94% dei cattolici nigeriani si reca a messa, pur consapevole che ciò può costare la vita.
Come ha sottolineato su Forbes Ewelina U. Ochab, avvocato e attivista per i diritti umani, oltre che numerosi gli attacchi ai cristiani nel mondo sono spesso impuniti: e ciò non fa che incoraggiare altre persecuzioni. Un fenomeno che, se oggi appare estesissimo, nel passato recente non era marginale, tutt’altro. Nel libro di Antonio Socci uscito nel 2002, I nuovi perseguitati (Piemme), erano pubblicate le statistiche della World Christian Encyclopedia (University Press) in cui, con riferimento al Novecento, si calcolavano 45 milioni e 400.000 martiri, 13 milioni e 300.000 dei quali dal 1950 in poi.
Continua a leggereRiduci
Vandalismi, profanazioni, incendi, aggressioni: nel 2021 in Europa si sono registrati oltre 500 crimini d’odio contro chi crede nel Vangelo. È la cronaca quotidiana dell’ultimo pregiudizio considerato «accettabile».I numeri globali fanno spavento: avvengono violenze in 153 Paesi, per un totale di 360 milioni di fedeli perseguitati. Su base annua si contano ben 5.700 vittime.Lo speciale contiene due articoli.I cristiani sono i nuovi discriminati d’Occidente? Sono molto rare le voci in politica e sui media, e perfino nel mondo cattolico, che oggi si misurano con un simile dilemma. Del resto, la stessa parola discriminazione viene automaticamente associata alle minoranze sessuali ed etniche, non certo a chi crede in Gesù Cristo. Eppure, una crescente mole di dati e statistiche testimonia che essere cristiani, nei Paesi occidentali dei «nuovi diritti», inizia a essere un problema. Sfoggiare il crocifisso o affermare gli insegnamenti cattolici sulla morale sessuale può costare irrisione, stigma, in qualche caso pure il posto di lavoro.Ne sa qualcosa Mary Onuoha, infermiera inglese che lavorava al Croydon University Hospital, a Sud di Londra, quando, nel 2015, ha iniziato a ricevere pressioni affinché non indossasse il crocifisso. La motivazione ufficiale era di natura igienica, ma era chiaro come fosse un pretesto. Alla fine, nell’aprile 2019 alla donna è stato dato un ultimo avvertimento scritto ma lei, dopo essere stata assegnata a ruoli amministrativi, si è dimessa.Ne è nata una causa che lo scorso anno ha visto i giudici stabilire che il Croydon health services Nhs Trust ha violato i diritti umani della Onuoha, generando attorno a attorno a lei un clima «ambiente umiliante, ostile e minaccioso». Alla donna è comunque andata meglio di John Sherwood, pastore evangelico ultrasettantenne che nell’aprile 2021, per aver predicato in strada l’insegnamento cristiano su matrimonio e famiglia, citando la Genesi, è finito in arresto per oltre 20 ore. L’ostilità anticristiana nel contesto occidentale non risparmia neppure figure istituzionali. Si pensi a Paivi Rasanen, già presidente dei Democratici cristiani e, dal giugno 2011 al maggio 2015, ministro dell’Interno della Finlandia. Cariche di tutto rispetto, che però non le hanno evitato di finire sotto processo. Il motivo? Nel 2019 su Twitter, aveva criticato la sponsorizzazione ufficiale della Chiesa evangelica luterana di Finlandia al Pride di quell’anno, allegando l’immagine del brano biblico Romani 1:24-27. Ora, per dare un nome a questo clima ostile già nel 2003 era stato coniato un termine che fatica a farsi spazio nel linguaggio comune, ma anche risulta significativo: quello di «cristianofobia», parola che, appunto, descrive una avversione pregiudiziale nei confronti del cristianesimo. Gli stessi accademici seguono il fenomeno da anni, tanto che Philip Jenkins, docente alla Baylor University, già nel 2003 parlò dell’anticattolicesimo come The Last Acceptable Prejudice, «l’ultimo pregiudizio accettabile» (Oxford University Press), mentre i sociologi della North Texas University George Yancey e David Williamson, nel loro libro - So Many Christians, So Few Lions (Rowman & Littlefield Publishers) -, hanno evidenziato, riferendosi alla società americana ma è una valutazione valida anche per l’Europa, la presenza d’un gruppo numericamente minoritario, ma con un potere sociale superiore alla media caratterizzato da «un odio irragionevole o paura dei cristiani». Tale sentimento di ostilità, ben lungi dall’essere neutro, produce conseguenze concrete. L’Osservatorio europeo sulle discriminazioni contro i cristiani, che ha sede a Vienna, ogni anno pubblica un report di aggiornamento sulla situazione nel Vecchio Continente. L’ultimo, diffuso lo scorso 16 novembre, documenta come nell’anno 2021 in Europa si siano registrati oltre 500 crimini d’odio contro i cristiani; di questi, circa 300 sono stati i casi di profanazione e vandalismo, 80 quelli di furti di ostie consacrate, arredi e oggetti sacri, 60 quelli di incendi dolosi, 14 quelli di aggressione fisica. Segnalati anche quattro omicidi. Se dalla situazione continentale si passa a quella dei singoli Paesi, si nota come gli atti di cristianofobia siano in vertiginosa crescita. Confrontando i dati del 2017 con quelli del 2021, si scopre infatti come in Germania i crimini d’odio anticristiani siano aumentati di oltre il 60%, nel Regno Unito del 165%. In Francia questi crimini risultano più stabili, ma sono un numero impressionante, dato che oscillano tra gli 8 e i 900 all’anno. Oltreoceano lo scenario non è però più confortante, anzi. In Canada, secondo i dati dell’ufficio statistico nazionale, tra il 2020 e il 2021 c’è stato un boom di episodi anticristiani, saliti in pochi mesi del 260 per cento. Negli Stati Uniti le cose sono altrettanto gravi. Il mese scorso, infatti, è stato diffuso un report inquietante, che ha registrato come, dalla primavera del 2020 in poi - in seguito alle proteste iniziate dopo la morte di George Floyd -, siano state vandalizzate qualcosa come oltre 300 chiese. In pratica, 100 chiese all’anno vengono colpite non nella Cina comunista o nell’Africa di Boko Haram, ma negli Usa di Joe Biden, che pure si professa cattolico. «Questa epidemia di violenza contro le chiese cattoliche ha creato un clima di paura per i fedeli di tutto il Paese», è stato il commento di Brian Burch, presidente di CatholicVote, l’organizzazione che ha raccolto i dati di questi atti di cristianofobia, «questo è uno stato di cose inaccettabile, perché nessun americano dovrebbe andare in giro chiedendosi: “La mia chiesa sarà la prossima?”». E in Italia? Anche da noi, bellamente ignorata dai grandi media, la cristianofobia si fa sentire.Consultando i dati che l’Odihr - l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani che è la principale istituzione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) - ha raccolto da altre fonti e pubblicato sul suo sito, si scopre infatti come se nell’anno 2017, nella nostra penisola, si erano stati registrati appena 11 atti d’odio con matrice anticristiana, nel tempo essi sono sistematicamente aumentati, divenendo 58 nel 2018 e addirittura 92 nel 2021. In soli quattro anni, in Italia, i casi di cristianofobia sarebbero quindi aumentati di oltre il 736%. Una crescita esponenziale dovuta di certo anche alla maggiore attenzione che il tema inizia fortunatamente ad avere; in effetti, al di là delle statistiche, a parlare sono le cronache, che riferiscono sempre più spesso, per esempio, di fedeli o sacerdoti nel mirino. All’inizio di quest’anno il vice parroco della cittadina dei Castelli Romani è stato percosso poco prima della celebrazione di un funerale. Lo scorso settembre un altro sacerdote è stato aggredito durante la messa a Milano, nella chiesa del Santissimo Redentore, nei pressi di piazzale Loreto. Nell’aprile 2022 anche don Guido Panella, parroco della basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio, era stato schiaffeggiato durante una funzione. Era comunque andata peggio a don Matteo Graziola, parroco di Rovereto che, nell’ottobre 2014, finì al pronto soccorso dopo essere stato aggredito mentre manifestava con le Sentinelle in piedi. Sempre a don Graziola nel 2019 è stata bruciata la porta della chiesa. Pur di minacciare il sacerdote trentino, reo di essere un fiero antiabortista, i vandali non si sono fermati neppure di fronte al portone di un edificio storico del 1631.«Non esiste alcun luogo sicuro nel mondo e nelle nostre chiese dove essere cristiani», ha affermato il teologo anglicano Ephraim Radner, per descrivere l’odierno sentimento anticristiano: «È una nuova era». L’odio contro i seguaci di Cristo che si sta radicando in un Occidente che parla di diritti umani ma fa spesso fatica a garantirli, non è però il sentimento più grave. Ce n’è infatti, davanti a tutto questo, uno ancora più allarmante: l’indifferenza.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cristiani-sotto-attacco-2659713612.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ogni-giorno-ammazzati-15-martiri" data-post-id="2659713612" data-published-at="1680409896" data-use-pagination="False"> Ogni giorno ammazzati 15 martiri Non è semplice essere precisi, nell’effettuare una stima dei perseguitati nel mondo. Il fenomeno cresce infatti in continuazione, praticamente mese dopo mese. Come ricorda in apertura del suo ultimo report la fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, diretta da Alessandro Monteduro, in un solo anno - dal 2018 al 2019 - l’aumento dei Paesi in cui registrano violazioni contro i cristiani è passato da 145 a 153. Attualmente, secondo il lavoro di monitoraggio dell’Ong Porte aperte/Open Doors, i cristiani che nel mondo rischiano a causa della loro fede ammontano a 360 milioni. Negli ultimi anni il numero di cristiani uccisi appare stabile, in un conteggio comunque impressionante che si aggira sulle 5.700 vittime annue: in pratica, oltre 15 martiri al giorno. In netto aumento, invece, il numero dei fedeli rapiti, con circa 14 sequestri al giorno. La stragrande maggioranza di tali rapimenti, si concentra in tre sole nazioni: Nigeria, Mozambico e Congo. Dove non ci sono sequestri, si possono comunque verificare arresti. In India, per esempio, sotto il governo del radicale indù Narendra Modi, sempre secondo il rapporto diffuso a gennaio da Open Doors, nell’ultimo anno gli arrestati per motivi religiosi, e senza processo, sono stati 1.750. La situazione non è più serena in Pakistan, dove sulle minoranze cristiane gravano un quarto di tutte le accuse di blasfemia, benché esse siano meno del 2% della popolazione. Da non sottovalutare anche l’Arabia Saudita, dove gli accenni di liberalizzazione e aperture restano spesso solo tali. «I lavoratori stranieri cristiani possono essere presi di mira per la loro fede», denuncia Open Doors, «e a tutti i cristiani stranieri è fortemente vietato condividere la loro fede o riunirsi per il culto, e qualsiasi azione al di fuori de consentito può portare alla detenzione». Complessivamente, se nel 1993 i Paesi dove i Paesi dove le persecuzioni anticristiane erano più forti risultavano 49 oggi sono 76, con un aumento di oltre il 55%. A livello globale, non ci si fa particolari problemi neppure a processare e perseguitare vescovi o cardinali, come insegnano le vicende in Cina del cardinale Joseph Zen Ze-Kiung e nel Nicaragua di monsignor Rolando Álvarez. Per chi si professa seguace di Cristo, il Paese più pericoloso è comunque l’Afghanistan, seguito dalla Corea del Nord; quello in cui i cristiani vengono uccisi più di frequente, con oltre 5.000 vittime, è invece la Nigeria; si tratta tuttavia anche dello stesso Paese - e questo dovrebbe insegnare molto ai fedeli d’Occidente, spesso impigriti - con la più alta percentuale di credenti praticanti: secondo un recente studio pubblicato dal Center for Applied Research in the Apostolate (Cara) - un centro di ricerca senza scopo di lucro che conduce studi scientifici sociali sulla Chiesa cattolica - il 94% dei cattolici nigeriani si reca a messa, pur consapevole che ciò può costare la vita. Come ha sottolineato su Forbes Ewelina U. Ochab, avvocato e attivista per i diritti umani, oltre che numerosi gli attacchi ai cristiani nel mondo sono spesso impuniti: e ciò non fa che incoraggiare altre persecuzioni. Un fenomeno che, se oggi appare estesissimo, nel passato recente non era marginale, tutt’altro. Nel libro di Antonio Socci uscito nel 2002, I nuovi perseguitati (Piemme), erano pubblicate le statistiche della World Christian Encyclopedia (University Press) in cui, con riferimento al Novecento, si calcolavano 45 milioni e 400.000 martiri, 13 milioni e 300.000 dei quali dal 1950 in poi.
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
Continua a leggereRiduci