2025-02-07
Traballano i totem dell’ordine liberale. E non sappiamo più cosa metterci
Trump è l’effetto, non la causa, della crisi del mondo affidato agli enti sovranazionali.Oms, Corte penale, Onu, Unrwa, G20: con una furibonda accelerazione della storia, sotto i colpi del martello trumpiano finiscono uno dopo l’altro i bastioni dell’ordine internazionale come l’abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Ci sono in fondo due modi per leggere questo sgretolamento dagli esiti ancora incerti. Il primo è quello indicato, semplificando, dal capo dello Stato: un allarme carico di rammarico per un assetto multilaterale che, indebolendosi, mina la forza e la stabilità delle democrazie, che in quell’ordine si sono riconosciute proprio per tutelare sé stesse.Il secondo passa da un interrogativo: le premesse e promesse di quell’ordine sono rimaste valide e sono state rispettate? In termini di efficienza di risposta e metodo decisionale, possiamo dire che l’Oms, il G20, l’Onu e le sue agenzie, la Corte penale internazionale sui cui esposti e mandati la politica si sta scannando, in fondo la stessa Unione europea, siano funzionali a corroborare la rappresentanza democratica? Quantomeno si può dire che la risposta non sia scontata. Senza ovviamente invocare lo smantellamento di accordi internazionali a cui i Paesi si sono legalmente impegnati, l’attrito - per esempio - tra le direttrici costituzionali e il paradigma economico difeso dalla Commissione europea è difficile da negare. L’argomento tipico che si cita, ad esempio, nella risposta alla crisi pandemica o alla crisi finanziaria post Grecia o sulla crisi migratoria («Chissà cosa sarebbe successo senza Oms / Bce / Ue, eccetera») inizia terribilmente a difettare del controfattuale, perché si riferisce a crisi che si sono effettivamente verificate in presenza di quelle stesse organizzazioni la cui esistenza si postula come rimedio necessario e ineludibile.Insomma, considerare Trump - questo Trump, imparagonabile con il turbine confusissimo del 2016 - come interprete di un assedio malefico alle cattedrali dell’ordine internazionale senza interrogarsi sulla loro consunzione alle basi appare quantomeno ingenuo: piuttosto, il trionfo elettorale del tycoon sembra rappresentare la plastica insoddisfazione per quell’ordine e per i risultati che produce in termini di benessere, salari, condizioni di vita di milioni di persone.L’andamento elettorale europeo, con la progressiva affermazione di destre «sovraniste», e più in profondità con il necessario adattamento anche di partiti «tradizionali» a un’agenda vicina a quella indicata dai vari «impresentabili» di turno (su immigrazione, economia, green) indica con ogni probabilità lo stesso moto profondo. Ma se questo moto va in aperto conflitto con le direttrici su cui si reggono quelle agenzie internazionali, come la mettiamo? Davvero si possono considerare attacchi alla democrazia le critiche e gli scossoni (con tutti i limiti degli interpreti) che arrivano agli enti sovranazionali, come rivendicazioni sorte dal corpo elettorale attraverso la dimensione statuale? Per non essere astratti: che il livello salariale e gli investimenti in sanità siano migliorabili nel nostro Paese è un dato sul quale, al netto delle schermaglie sulle colpe, tutti concordano. Si tratta di una situazione ovviabile all’interno del Patto di stabilità? Se non lo fosse, come si procederebbe «democraticamente»?Forse, senza facili illusioni, è più realistico prendere atto che quelle istituzioni mostrano la corda. Il progetto liberale, affidato a quelle sigle e poggiato sull’idea che difendendo una cornice di diritti universali e regole commerciali si potesse condurre il mondo verso un assetto più ordinato, fa fatica a dirsi vincitore. Si può dolersene, ma ignorarlo diventa problematico. Da anni il mondo americano ragiona sulla necessità di un pensiero che abbracci, senza inattuabili ritorni al passato, il tramonto dell’universalismo liberale. Si può chiamare postliberalismo o altro: trovare categorie per leggere il mondo, però, appare sempre più urgente per evitare scontri tra tifoserie allucinate che non parlano più della realtà.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)