2022-01-03
«Industria allo stremo ma il governo non se ne rende conto»
Angelo Carlini (Assistal)
Angelo Carlini, presidente delle imprese che fabbricano impianti tecnologici: «Costi pazzeschi di materie ed energia, moltissimi chiuderanno».Angelo Carlini è il presidente di Assistal, l’associazione aderente a Confindustria che da 75 anni riunisce le imprese che si occupano di impianti tecnologici. Un comparto vastissimo: 1.300 aziende, 80.000 addetti, 10 miliardi di fatturato. E molte famiglie che vedono il 2022 come il loro annus horribilis. Da mesi risuona il vostro grido di dolore. Avete accusato il governo di «abbandonare le aziende». Ci spiega cosa sta succedendo?«Il prezzo alle stelle dell’energia e del gas ci sta stritolando. Il caro materiali è uno tsunami che sta spazzando via intere aziende. Ma non riusciamo a farci ascoltare». Com’è possibile?«Chi governa sembra non rendersi conto della gravità della situazione. Prima ero soltanto sconfortato, adesso sono realmente spaventato. Possiamo sopravvivere solo pochi mesi, poi i cantieri si bloccheranno».Qual è il vostro campo d’azione? «I nostri impianti sono ovunque: dai semplici sistemi elettrici, fino al condizionamento, alla gestione e alla manutenzione del calore, ai sistemi elettromeccanici. Gli impianti elettrici negli ospedali? Li facciamo noi. Gli impianti per l’aria microfiltrata nelle terapie intensive? Li manteniamo noi. Gli impianti antincendio? Ce ne occupiamo noi. La ventilazione e l’illuminazione nelle gallerie stradali? Ci pensiamo noi».In qualche modo rappresentate un servizio essenziale? «Ed è per questo che, pur allo stremo, continuiamo con grandi sacrifici a tenere aperti i cantieri, nonostante la tempesta che infuria. Ma non so davvero per quanto tempo potremo andare avanti».Qual è il problema principale? «L’aumento pazzesco del prezzo dei materiali con cui lavoriamo. Sull’acciaio siamo a più 40%, legno più 35-40%, i polimeri per i cappotti termici più 70%, l’alluminio più 50%, per non parlare dei superconduttori. A volte le merci costano come l’oro, a volte semplicemente non si trovano, nemmeno a prezzi iperbolici». E quindi?«Le nostre imprese hanno in media 10-15 dipendenti, con costi dei materiali che pesano per il 70% sul bilancio. Con questi numeri, è impossibile restare in piedi». È anche complicato programmare investimenti?«Con queste oscillazioni terrificanti, i preventivi per i materiali durano solo 48 ore. Quarantotto ore prima di essere aggiornati al rialzo, mi spiego? Non c’è modo di lavorare in queste condizioni. Qualcuno immagino si arricchisca con questi prezzi, qualche grande impresa pubblicherà fatturati stellari, noi invece i rincari ce li teniamo in corpo». Perché?«Molte delle nostre aziende lavorano per il pubblico tramite appalto. Non possiamo scaricare i costi su nessuno, a differenza di altre realtà economiche. E aggiungiamo il fatto che la pubblica amministrazione, dai provveditorati all’Anas, incredibilmente continua a pagare basandosi sui vecchi listini». Sul serio?«La commissione del ministero delle Infrastrutture che si occupa di revisionare i prezzi delle gare d’appalto opera in maniera scollata dalla realtà. Gli aumenti rilevati dei materiali sono ridicoli, niente a che vedere con i rincari reali che ci troviamo di fronte. E poi la burocrazia si esprime anche male…».In che senso?«Facciamo un esempio: i cavi di rame. Lo so che è difficile da credere, ma il prezzario del ministero si esprime in chili e non in metri, come avviene in tutto il mercato mondiale. E poi un cavo è composto solo per il 70% da rame: in aggiunta ci sono gli isolanti e altri materiali, che tuttavia per lo Stato è come se non esistessero». Come se non sapessero di che cosa stanno parlando?«Non parlano la nostra lingua, e forse in certe commissioni finiscono persone poco competenti. Nel paniere ministeriale ci sono voci di spesa obsolete: prodotti come punto luce, interruttore magnetotermico, nulla sui materiali di nuova generazione con cui si lavora oggi. Addirittura si parla di ventilconvettori: roba che non si usa più da anni. È come se nel paniere Istat che monitora i prezzi al consumo avessero inserito la brillantina per capelli che usavano i nostri nonni». Aggiungiamo poi i rincari stellari di energia e gas. Nel primo trimestre 2022 previste tariffe da incubo: +55% per l’elettricità e + 41% per il gas. I provvedimenti salva-bollette del governo non vi hanno aiutato?«No, perché non sono applicati alle aziende. Servono sicuramente alla signora Maria, alle utenze private fino a 15 kilowatt. Ma tutta la componente industriale e installazione è esclusa, perché usa utenze ben maggiori. Da un anno e mezzo lanciamo appelli, ma agli slogan non seguono azioni concrete». Insomma, vi hanno messo in quarantena economica. Aiuti non ne sono arrivati?«La somma stanziata è ridicola: un fondo di 100 milioni. Quando me l’hanno detto non volevo crederci». Avete scritto: «Ci domandiamo se vogliamo proseguire sulla strada della ricostruzione, oppure se stiamo assistendo solo a una serie di proclami». «Ricordo una frase del presidente del Consiglio: “Non è il momento di chiedere soldi agli italiani, ma di darli”. Al di là delle promesse, pretendiamo sostegni concreti. Anche perché qui l’unica cosa che è ripartita è la macchina fiscale: sono ripartite le cartelle esattoriali, è ripartita l’Agenzia delle entrate, sono ripartite le rateazioni. Siamo in emergenza, rischiamo di perdere posti di lavoro, ma lo Stato i soldi continua a chiederceli». Ammetterà che il bonus edilizio vi ha dato una mano…«Certamente in ambito privato è servito, anche se non ha avuto gli effetti che ci si aspettava. E questo proprio perché con certi prezzi non si riesce più a comprare i materiali alle tariffe pattuite. Le aziende non riescono a mantenere gli impegni economici che avevano concordato, e spesso nelle città devono bloccare i cantieri per rinegoziare i prezzi. Non è l’impresa che cerca il lucro: qua si cerca solo di limitare i danni. Questa rinegoziazione però con il pubblico non si può fare, per i motivi che ho già detto. I rincari, in quel caso, ce li teniamo in pancia e non c’è via di scampo». Quanto è grave la situazione? «Aziende in utile all’inizio dell’anno stanno chiudendo in perdita. Altre non riescono a mantenere gli appalti in corso. Gli investimenti sono paralizzati. Altre imprese stanno pensando di ritirarsi da commesse importantissime, rimettendo i contratti nelle mani delle stazioni appaltanti: parliamo di progetti cruciali, ospedali e centri polifunzionali». Il rischio più grande?«Il blocco totale degli appalti. E il fallimento del Pnrr». Come sarebbe il fallimento del Pnrr? «Il Piano di ripresa e resilienza ci vede protagonisti, soprattutto nella parte infrastrutturale di edilizia e impiantistica. Parliamo di tanti obiettivi per svariate decine di miliardi. E le opere devono essere realizzate in cinque anni». Questo la preoccupa? «Non mi preoccupo più del fatto che si rispettino o no i tempi previsti. Mi preoccupo perché non so davvero quante aziende saranno ancora in piedi da qui a sei mesi. E se le aziende che devono concretizzare il Pnrr spariscono, come pensiamo di rispettare gli impegni europei e rilanciare il Paese?».Insomma, impossibile lasciare indietro un intero settore?«Senza contare che molti lavori a rischio riguardano energia pulita di nuova generazione: dovrebbero rappresentare la priorità visto che oggi non si parla altro che di ambiente, e sulla transizione ecologica abbiamo persino creato un ministero. Dovremmo abbandonare tutti questi progetti perché non si ha il coraggio di dare risposte concrete?».Cosa sta chiedendo?«Non ha senso parlare di unità nazionale, se un intero comparto viene dimenticato. La grandissima parte delle nostre aziende non ha mai smesso di lavorare, con grandi sacrifici. E non abbiamo mai fatto ricorso alla cassa integrazione, non abbiamo mai pesato sui bilanci pubblici, già sotto pressione in questa fase pandemica». Dunque? «Chiediamo un sostegno non per fare margini, ma per restare in vita. Se oggi non è possibile ricevere un ristoro, come è accaduto ad altre categorie produttive, si potrebbe immaginare un credito di imposta, del resto non intendiamo pesare eccessivamente in un momento difficile per tutti. Abbiamo elaborato una serie di proposte, chiediamo soltanto di aprire una discussione onesta. Ma una soluzione occorre trovarla, per salvare posti di lavoro e famiglie. E poi pretendiamo che venga fotografato dallo Stato il reale andamento dei prezzi che si trovano ad affrontare le imprese. Non è accettabile che l’emergenza sia un dramma per alcuni, e un’occasione di arricchimento per altri».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)