2022-06-23
Crisi idrica, Draghi lascia le Regioni a secco
Il mare rientra per 21 chilometri nel Po, a Roma e in Emilia parte il razionamento dell’acqua, Coldiretti stima 3 miliardi di danni. Eppure, il cdm si limita a prorogare lo stato d’emergenza in Friuli. La Lega protesta con l’Ue. Matteo Salvini al governo: «Serve un decreto».Se va avanti così Mario Draghi rischia di trovarsi a secco di consensi. Prova ad accontentare il Friuli Venezia Giulia, di cui è presidente Massimiliano Fedriga, che sta però anche a capo della Conferenza delle Regioni, prorogando lo stato di emergenza climatica per il maltempo a Trieste, Udine e Pordenone. Quasi una presa in giro visto che l’Italia muore di sete perché non piove da 120 giorni. Ma alle Regioni tutte, che lo stato di emergenza lo chiedono per la crisi idrica, non dà risposte. Stavolta Matteo Salvini, al presidente del Consiglio, non l’ha mandata a dire. Ancora dieci giorni e nelle case degli italiani cominceranno i razionamenti dei rubinetti (alla faccia del bonus doccia che scade il 30 giugno!), così il segretario della Lega ha (quasi) perso la pazienza: «Le beghe dei 5 stelle stanno frenando ciò che è urgente per il Paese. Ma ora bisogna lavorare per i tagli delle accise sui carburanti e per il decreto Siccità. Famiglie e imprese non possono aspettare. Bene gli sconti sull’energia, ma non basta. Serve agire subito». Il ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli, promette da giorni un decreto che non arriva, le Regioni ormai vanno in ordine sparso, visto che la loro richiesta dello stato di emergenza non ha ricevuto risposta. Si aspettava per oggi una proposta organica dalla Conferenza Stato-Regioni, non è arrivato nulla. Evidentemente, quando il ministro per il Mezzogiorno, Mara Carfagna, afferma: «Abbiamo un piano acqua, l’emergenza non ci ha trovato impreparati», parla di un altro Paese. Le Regioni sono state costrette a fare di testa loro. Per ora solo il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, ha detto sì all’emergenza, ma di concreto non c’è nulla. Stefano Bonaccini, del Pd, che deve aver strigliato per l’inazione del governo anche il suo segretario Enrico Letta, il quale, infatti, ha dato cenni di vita sulla crisi idrica, da presidente dell’Emilia Romagna è stato il primo a firmare l’ordinanza per dichiarare lo stato d’emergenza regionale. Tutti i Comuni dell’Emilia Romagna stanno emettendo ordinanze di razionamento. Anche nel Lazio la situazione è molto critica. Nelle case di Roma scattano i tagli ai flussi, le fontane pubbliche vengono chiuse, da Bracciano a Latina ci sono razionamenti. Gli invasi del Lazio sono in preoccupante calo di livello. Attilio Fontana, in Lombardia, è impegnato prima di tutto a garantire acqua all’agricoltura, in Valtellina l’acqua basta per la prossima settimana. I danni sono ingentissimi. In Piemonte i razionamenti sono già scattati in oltre 200 Comuni, le risaie sono perdute per la metà e il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, ha firmato l’ordinanza di calamità regionale. Si è già scritto nei giorni scorsi delle centrali idroelettriche fermate per la mancanza d’acqua. Dei 4.300 impianti che operano nel Paese, tra grandi e piccoli, almeno 1.500 sono stati spenti. La crisi più grave adesso è quella agricola. La Cia ha lanciato l’allarme sul grano: le stime più attuali dicono che si è perso il 30% del raccolto, il che ci rende ancora più dipendenti dall’estero. La Coldiretti ha alzato il conto dei danni a 3 miliardi. A soffrire di più ora è l’ortofrutta, che non trova neppure manodopera per la raccolta, ma la situazione più preoccupante è quella del latte: le stalle stanno producendo il 20% in meno e gli animali sono in grave sofferenza. Per la prima volta in 90 anni nel Cremonese il livello del Po è così basso che le pompe per irrigare non riescono a pescare l’acqua. Il Consorzio di Bonifica di Lavarolo ha mobilitato un esercito di trattori che pescano la poca acqua che c’è e la fanno «piovere» sui raccolti di 11 mila ettari. Dalla Sicilia a Milano i vescovi cominciano a organizzare processioni e preghiere per la pioggia. Per Meuccio Berselli, segretario generale dell’autorità distrettuale del fiume Po, «siamo alla tempesta perfetta: il cuneo salino è penetrato per 21 chilometri nel Delta, bisogna sostenere la portata del fiume fino al mare altrimenti anche i potabilizzatori vanno in tilt.» Tradotto, niente captazioni. Si spera nella pioggia, che per ora addirittura inganna. Ne è caduta un po’ su Milano e Lombardia, ma è subito evaporata. Il governo non pare comprendere la gravità della situazione. Come non lo capisce Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che approfitta della crisi idrica italiana per dire che «servono le politiche contro il cambiamento climatico e il rilancio dell’agricoltura». Curioso che a dirlo sia proprio lui, che con il programma Farm to fork, all’interno del Green deal europeo, vuole liquidare l’agricoltura, rea, a suo avviso, d’inquinare. Incalza l’Ue tutto il gruppo dell’Europarlamento della Lega, contro il Fit for 55. E Alessandro Panza, a Strasburgo, ha chiesto all’Unione di far rientrare lo stoccaggio dell’acqua e la corretta gestione della distribuzione tra gli obbiettivi green, perché, «dai dati Ispra risulta che più di un quarto del territorio italiano è a rischio desertificazione; la mancanza d’acqua nel bacino padano mette a rischio oltre il 30% della produzione agricola nazionale e la metà dell’allevamento. Una situazione di emergenza che richiede risposte concrete e immediate da parte dalle istituzioni». Ma da Bruxelles, come da Mario Draghi, le risposte che arrivano assomigliano ai consigli di Fulvio Pratesi, presidente onorario del Wwf, che raccomanda agli italiani: «Cambiatevi le mutande ogni tre giorni, non tirate sempre lo sciacquone e fate la doccia non più di una volta a settimana». Forse, a Palazzo Chigi, dopo il caso 5 stelle, c’è puzza di crisi. E non solo idrica.
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