2020-08-07
Crisi contenuta, virus sotto controllo. Il modello svedese si prende la rivincita
Senza lockdown, virologi superstar e multe, il Paese ha la metà del nostro tasso di decessi e ha perso l'8,6% di Pil: noi il 13,8.Nessuna task force, nessun circo tv di esperti, nessuna sospensione dei diritti costituzionali, nessun premier in costante diretta Facebook per spiegare alla nazione come sta salvando le vite di grandi e piccini. In Svezia, di fronte al coronavirus, i cittadini si sono fidati dello Stato e dell'epidemiologo che era già alla guida dell'Agenzia di sanità pubblica. Le autorità sanitarie hanno sconsigliato fin da marzo gli spostamenti inutili e hanno invitato le aziende che potevano a incentivare lo smart working. Sono stati raccomandati il distanziamento sociale e l'adozione di misure igieniche. Si è chiesto alla gente che aveva i sintomi del Covid-19 di stare a casa e di aspettare almeno due giorni prima di uscire, dopo che si sentivano guariti. Ma nessuno ha rinchiuso nessuno. La mortalità è tra le più basse d'Europa e oggi, a Stoccolma, è difficile vedere qualcuno girare per strada con la mascherina. In Svezia vivono 10 milioni di persone e i morti accertati per la pandemia cinese sono oltre 5.766, in massima parte anziani. Non sono pochi, va detto, ma anche in proporzione sono meno di Paesi che hanno scelto il lockdown come l'Italia (35.187 morti) e la Francia (30.305 morti ) e che oggi si confrontano con un Pil in calo rispettivamente del 12,4% e del 13,8% nel secondo semestre. Mentre la Svezia arretra dell'8,6% nel medesimo periodo. Qui, il tasso di mortalità sui casi accertati è al 7%, contro il 14,2% dell'Italia, il 13,26% della Francia e il 14,74% della Gran Bretagna. Mentre da noi si chiudeva tutto per decreto, si arrivava a vietare la circolazione delle persone anche all'aria aperta (dove pure il virus era di difficile trasmissione) e ci si accaniva con i divieti su bambini e adolescenti (quasi immuni), in Svezia il governo guidato dal premier socialdemocratico Stefan Löfven lasciava aperte le scuole e le palestre, le fabbriche, i negozi, i bar e i ristoranti. Addirittura, il Festival musicale nazionale, che si tiene ogni primavera (ed è un po' come Sanremo per gli italiani), si è svolto regolarmente, con 25.000 persone ad assistere dal vivo. Del resto, l'Agenzia di sanità pubblica ha messo subito in chiaro, per bocca del suo direttore Anders Tegnell, che contro il Covid-19 era necessario «un approccio flessibile», sia sul territorio sia sui tipi di attività potenzialmente pericolose, ma soprattutto «sostenibile nel tempo». Ovvero, inutile mettere ai domiciliari con il lockdown un'intera nazione, salvo poi un improvviso liberi tutti quando il governo vede i sondaggi in calo e la Confidustria fa pressioni. È molto più razionale e di buon senso decidere una strategia sostenibile nel lungo periodo. In Svezia, il premier e i politici non si sono certo messi in prima fila sul palco, ma hanno lasciato le luci della ribalta agli epidemiologi e ai medici dello Stato. Anch'essi, servitori dello Stato che erano al loro posto come tecnici non per caso. Per cultura giuridica e senso civico, gli svedesi difficilmente si sarebbero affidati a un Domenico Arcuri o a qualche task force di sapientoni nominati con il bilancino dei partiti, o degli amici degli amici. Ovviamente non tutto è rimasto sempre aperto, ma non ci sono state imposizioni come in Italia. Per esempio, il grosso dei cinema, specialmente le grandi catene, ha preferito chiudere i battenti. Molte università hanno ridotto l'attività in presenza, laddove invece si è deciso che non si poteva privare i bambini della scuola. Ad aprile, indubbiamente, c'è stato un picco di contagi, ma anche in quel caso la Svezia ha tenuto duro sulla linea del «vietato vietare». Poi, certo, senso civico, responsabilità e scarsa densità abitativa hanno aiutato. Le polemiche sono state poche anche ad aprile, con circa due terzi dei cittadini che, secondo i sondaggi, hanno appoggiato pienamente l'impostazione soft delle autorità sanitarie. Sicuramente Stoccolma, con il suo milione mezzo di abitanti, ha pagato il prezzo più alto e lo stesso vale per gli anziani oltre i 70 anni di età. Peter Loewe, corrispondente dall'Italia per Dagens Nyether (il principale quotidiano del mattino), ha vissuto tanto il lockdown italiano quanto il sistema svedese e al telefono da Stoccolma racconta ridendo: «Qui non c'è nessuno con la mascherina per strada, a parte me». Poi si fa serio e spiega che «una cosa in comune, Italia e Svezia, ce l'hanno: sono morti troppi anziani». Specialmente nelle strutture «protette», dove per molto tempo si è potuto entrare liberamente a trovare i parenti, anche una volta al giorno, e senza controlli. Ma Loewe, che vive in Italia da 35 anni, sottolinea l'approccio diverso dei suoi connazionali: «Qui nessuno contesta l'autorità competente finché non è provato che ha agito male o in modo disonesto e gli svedesi si sono fidati non tanto del governo in sé, quanto dell'epidemiologo di Stato». Ora la curva epidemiologica è abbattuta e ai cittadini viene solo chiesto di limitare i viaggi non essenziali, ma in un Paese del genere sarebbe stato impensabile chiudere le fabbriche d'imperio e multare cittadini a spasso con il cane o «fuori zona». Perché il Covid-19 è un nemico con cui ci fronteggeremo a lungo. Tanto vale combatterlo in modo sostenibile. E soprattutto pacato.