
L’eurodeputato al centro del Qatargate ha deciso di raccontare la sua versione ai pm e al Parlamento Ue dopo il siluramento da parte dei dem. Roberta Metsola accelera i tempi dell’iter per la revoca della «protezione».Andrea Cozzolino vuole parlare: i legali dell’europarlamentare del Pd, non indagato ma al centro della bufera del Qatargate, hanno diffuso ieri una nota con la quale annunciano che il loro assistito è pronto a sbandierare la sua verità. «Dopo aver avanzato formale richiesta in tal senso alle Autorità giudiziarie procedenti», scrivono gli avvocati Federico Conte, Dezio Ferraro e Dimitri De Beco, «l’onorevole Andrea Cozzolino chiederà anche all’assemblea parlamentare cui appartiene di essere sentito per rispondere a tutte le domande e offrire tutte le informazioni e i chiarimenti utili all’accertamento dei fatti. Cozzolino non intende invocare l’immunità parlamentare per l’attività politica che ha svolto in maniera libera e trasparente», aggiungono i legali, «essendo del tutto estraneo ai fatti di reato per cui si procede». La mossa di Cozzolino lascia perplessa una nostra fonte molto autorevole del Parlamento europeo: «Si tratta di una dichiarazione curiosa», argomenta il nostro interlocutore, «in quanto l’iter della revoca dell’immunità, chiesto al Parlamento europeo dalla magistratura belga per Cozzolino e il collega Marc Tarabella, prevede che gli eurodeputati siano auditi in Commissione affari giuridici. Cozzolino non deve chiedere di essere ascoltato, ne ha già piena facoltà, fa parte della procedura della Commissione, che alla fine della fase istruttoria propone all’aula di accogliere o respingere la richiesta dei magistrati». La proposta della Commissione all’aula, possiamo anticiparlo con certezza, sarà di votare a favore della richiesta della magistratura. Il Parlamento europeo, su impulso della presidente Roberta Metsola, sta collaborando in pieno con il pool di magistrati di Bruxelles, guidati dal giudice Michel Claise, che sta indagando sulle mazzette che, secondo l’accusa, Qatar e Marocco avrebbero distribuito ai protagonisti dell’indagine, alcuni dei quali, come la ex vicepresidente del Pe Eva Kaili, il suo compagno Francesco Giorgi (assistente di Cozzolino), l’ex eurodeputato Antonio Panzeri, sua moglie e sua figlia, sono stati arrestati. La Kaili, ricordiamolo, nonostante sia parlamentare europeo, è stata arrestata comunque, poiché l’immunità non vale per i soggetti scoperti in flagranza di reato: nell’appartamento che condivide con Giorgi sono stati trovati sacchi pieni di banconote. Giorgi, secondo quanto riferito dalla stampa belga, avrebbe ammesso di aver ricevuto denaro dal Marocco e dal Qatar in cambio di un’azione di promozione degli interessi dei due Paesi all’interno del parlamento europeo. La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola ha disposto che l’iter per la revoca dell’immunità per Cozzolino e Tarabella sia il più rapido possibile, e sta fornendo la massima collaborazione agli inquirenti sin dalle prime ore. Ad esempio, senza l’ok dell’Ufficio di presidenza del Parlamento, i magistrati non avrebbero potuto neanche effettuare le perquisizioni negli uffici, protetti dalla inviolabilità. Al d là di quello che dirà in relazione all’inchiesta, c’è attesa per le dichiarazioni di Cozzolino dal punto di vista politico: il Pd, lo ricordiamo, ha scaricato completamente il suo eurodeputato. Lo scorso 16 dicembre, la commissione di Garanzia dei Dem ha deciso di sospendere «cautelativamente» Cozzolino dall’Albo degli iscritti e degli elettori, nonché da tutti gli organismi. Cozzolino potrebbe scagliarsi contro il suo partito, lamentando di essere stato sospeso e scaricato pubblicamente senza essere stato neanche indagato, e togliersi qualche macigno dalle scarpe, magari chiamando in causa amici e colleghi in merito a prese di posizione di carattere politico rispetto al Qatar e al Marocco. «Che avremmo dovuto fare», dice alla Verità una fonte del Pd di primissimo piano, «di fronte a un quadro così preoccupante e tra l’altro nel pieno di una fase congressuale? La sospensione è stata inevitabile: quando la vicenda giudiziaria sarà definita, faremo le opportune valutazioni». La votazione finale sulla revoca dell’immunità per Cozzolino e Tarabella, in ogni caso, arriverà tra più di un mese, poiché l’iter prevede diversi passaggi. La presidente Metsola, comunicherà all’aula la richiesta della magistratura belga in occasione della prima seduta plenaria utile, il prossimo 16 gennaio. A quel punto, la Commissione affari giuridici nominerà un relatore, che illustrerà i casi dei due eurodeputati del gruppo dei Socialisti e Democratici europei agli altri componenti. La proposta finale del relatore verrà quindi discussa e votata dalla Commissione, che adotterà una raccomandazione affinché l’intero Parlamento approvi o respinga la richiesta degli inquirenti. La proposta (che come abbiamo anticipato sarà di togliere l’immunità a Cozzolino e Tarabella) verrà quindi esaminata dalla plenaria: in caso di approvazione (è sufficiente la maggioranza semplice) la presidente comunicherà immediatamente la decisione al deputato o ai deputati interessati e alla magistratura. La conclusione dell’iter è prevista per il 13 febbraio.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






