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2024-01-31
Covid, il ritorno degli indecenti
Roberto Speranza (Ansa)
Riunione di cricca alla presentazione del libro di Roberto Speranza, Perché guariremo, ieri a Montecitorio: sul palco, insieme all’autore , il segretario del Pd, Elly Schlein, e il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, introdotti dal vice presidente della Camera, Anna Ascani, e moderati da Lucia Annunziata, editorialista della Stampa. È lei stessa a evidenziare a Conte e Schlein: «Non vi vedete da sei mesi, questa è l’occasione». In platea figurano Susanna Camusso, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Dario Franceschini, Gianni Cuperlo, Laura Boldrini, Andrea Orlando, Pierpaolo Sileri e tanti altri. Tutta l’intellighenzia della sinistra stretta nella celebrazione della pessima gestione della pandemia targata Conte e Speranza.
L’ex ministro della Salute ieri si è atteggiato a eroe, rivendicando ogni singola azione del suo operato. Non solo, con il suo libro ha inteso offrire soluzioni all’attuale governo, per lui incapace di gestire i problemi. Soffre un evidente calo di attenzione, Speranza, che di continuo ha chiesto al pubblico: «Non è che ci siamo dimenticati di quella stagione?». Trducasi: non è che vi siete dimenticati di me?
L’«eroe», nei pochi minuti in cui si ferma davanti ai microfoni, risponde a qualche domanda, a quelle dei soliti volti noti, alle domande dei giornalisti amici, senza mai rispondere alla domanda della Verità: «Perché nel suo libro non parla mai delle cure? Prova rimorso per i pazienti che si potevano salvare?». Gli strappiamo una promessa: «Alla domanda rispondo dopo». A fine convegno, Speranza coglie il nostro cenno e annuisce, ma nel frattempo, con il microfono ancora in mano nel salutare si alza. La sua è una vera e propria fuga. Scappa dalla porta sul retro, seguito da Schlein e Conte, noti ai giornalisti per dichiarare senza rispondere alle domande.
Di Covid, all’evento, si parla poco, e solo come vogliono loro. Mai in termini critici. Non si parla di cure, non si parla dei droni che inseguivano i jogger sulla spiaggia, men che meno della follia del green pass, durante l’era di Mario Draghi. Non si parla dell’odio che il governo Conte e quello di Mr Bce hanno scientemente alimentato, per creare quella polarizzazione che serviva a ottenere consenso. Non si poteva parlare di cure, perché loro hanno deciso che parlare di cure significava non parlare di vaccino, creando una dicotomia che ha provocato molti più ricoveri del dovuto e quindi anche molti morti in più. Non se ne parlava allora, non se ne può parlare oggi.
Giuseppe Conte interviene nel dibattito sollecitato da una Lucia Annunziata che gli chiede: «Perché se siete stati così bravi tra Pnrr e pandemia, alla fine ha vinto il centrodestra alle ultime elezioni?». Conte va in crisi, tanto che dopo qualche minuto dice: «Aspetti, devo raccogliere le idee» e poi risponde (forse dietro suggerimento): «Avremmo dovuto votare subito dopo». Insomma, loro non sbagliano mai e soprattutto rappresentano la massima espressione di governo che questo Paese ha mai avuto, che fa un po’ rima con la frase più abusata del convegno: «Il periodo più buio», riferito alla pandemia. Tanto che l’avvocato del popolo si complimenta con tutti per il loro lavoro, persino con Domenico Arcuri, commissario straordinario e collezionista di flop. E quando la Annunziata insiste, chiedendogli perché allora non si trovano al governo, lui, all’angolo, dà la colpa al leader di Italia viva, Matteo Renzi, che si sa, «è sempre stato insofferente». Del consenso e dei voti perduti, nulla.
Travaglio, responsabilità. Anche Conte è un eroe e anche lui se lo dice da solo, lodando l’operato di sé stesso e del suo governo. Lo ripete anche quando candidamente ammette: «All’inizio abbiamo improvvisato […], lavoravamo di notte». Si dice dispiaciuto per la commissione d’inchiesta e assicura che «sarà un boomerang per chi l’ha concepita come un plotone di esecuzione». Perché, alla fine, grillini e dem dimostreranno che i disastri erano tutta colpa delle Regioni di destra: «Non possono sfuggire».
«Ho zero paura della commissione, mi fa pena che un grande Paese come l’Italia debba ridursi a fare polemica sulla cosa più grave che è capitata negli ultimi anni», dice Speranza tra gli applausi. Poi torna sul voto mancato, a febbraio 2021: «Se avessimo potuto votare in quei giorni avremmo vinto senza Renzi». Ma, poveretti, non hanno potuto. Un sacrificio anche quello.
Schlein, silente per quasi un’ora, viene chiamata in causa dalla moderatrice e tra un ringraziamento e l’altro sfrutta l’occasione per parlare di scienza e di clima: «Abbiamo ascoltato gli scienziati per la pandemia e non li ascoltiamo per il clima». Insomma, una vetrina, quella di ieri, per officiare un comizio, con picchi di mitomania pura. Come nel momento in cui Giuseppe Conte, nominando i suoi esecutivi, ci aggiunge quello Draghi, rinominandolo «governo Conte-Draghi». Il vero obiettivo del convegno si rende evidente fin da subito. A un certo punto, si smette si far finta che l’argomento sia il Covid e parla solo di alleanze a sinistra.
«Nonostante le scelte sbagliate di Meloni, loro una coalizione ce l’hanno», nota Schlein riferendosi al centrodestra. «Noi dobbiamo trovare delle convergenze». Conte risponde: «Se in politica estera non abbiamo una visione comune è meglio discutere adesso». Così come sulla transizione energetica: «Prima di andare al governo». Su una cosa invece i relatori sono d’accordo: nel Conte 2, quello targato Pd-5 stelle, tutti bravi. Piovono applausi, sulla pelle di tanti italiani morti senza cure.
Quintali di balle, carezze dell’Annunziata. Show per elemosinare il patto con Conte
Che presentare il best seller mancato non servisse a fare chiarezza, l’avevamo intuito. Ma non immaginavamo che Roberto Speranza arrivasse a raschiare il fondo del barile. E trasformasse l’incontro di ieri, alla Camera, in un patetico teatrino per elemosinare l’alleanza con Giuseppe Conte. L’assessore di Potenza ha detto che gli fa «pena» e «pietà» chi ha voluto la commissione d’inchiesta sul Covid. Certo, lui preferisce i Komintern giallorossi. Ecco spiegato perché l’evento era stato pensato a porte chiuse: non era un convegno, semmai un vertice tra partiti. Ed ecco a cosa serviva la presenza del segretario dem, Elly Schlein, seduta tra l’ex ministro e l’ex premier. Si comprende anche il ruolo di Lucia Annunziata: più che moderatrice, ostetrica di un patto politico che il capo dei 5 stelle, comunque, ha garbatamente rispedito ai mittenti.I convenuti se la sono suonata e cantata da soli. Niente domande. Fuga dal retro alla fine degli interventi. Un oceano di balle. Come le «grandi misure» di welfare attuate dal Conte 2. Quali? I banchi a rotelle? Il bonus monopattini? Il 110?Su un dettaglio, in realtà, Giuseppi è stato onesto: all’inizio dell’emergenza, abbiamo «improvvisato». Parole sue. Finalmente. Quando Francesco Zambon, funzionario dell’Oms, rinfacciò a lui e Speranza la «risposta caotica e creativa» al coronavirus, sorse un caso diplomatico. Ieri, addirittura, l’avvocato pugliese ha svelato quanto rimase stupito, nello scoprire, nelle fatidiche settimane di inizio 2020, che in Italia non c’erano fabbriche di mascherine e respiratori. Toh: mancava un piano pandemico. Il suo prode ministro s’era scordato di farlo aggiornare. E in una di quelle lunghe riunioni, che l’esponente pd ha rievocato, il documento del 2006 fu prontamente rimesso nel cassetto. Le decisioni - si sono vantati i relatori - furono prese «ascoltando i medici». Davvero? Compresi quelli che, al dicastero della Salute, scrissero invano per segnalare che avevano trovato un protocollo terapeutico efficace?Non avrà lo sguardo da rapace, però, all’ex assessore lucano, la faccia tosta non manca. Così, la storia del pasticcio pandemico è diventata, ieri, «una storia che dobbiamo rivendicare». Un dramma dal quale - citiamo la Annunziata - «siamo usciti con successo». E con il record di morti. È l’«alternativa» alla destra che «abbiamo vissuto» e che Speranza ha riproposto a Conte. Una formula semplice: piuttosto che «governare insieme» il Paese, lo avevano chiuso.L’ex ministro e la Schlein, in un’ora e mezza di dibattito, non hanno mai mollato l’osso pentastellato. E pur di circuirlo, hanno fatto in modo che piovessero bufale in sala. La più eclatante? Sceglierne una è duro. Forse l’ha raccontata la leader armocromizzata: siamo stati così bravi, che quando non si poteva uscire portavamo le medicine a casa dei malati. Ma dai: e noi, malfidati, credevamo che il protocollo ufficiale fosse paracetamolo e vigile attesa. Altro che cure domiciliari. O forse no. Forse, la sparata più grossa è stata quella di Speranza: per pompare l’invincibile armata giallorossa, ha giurato che, non fosse stato per la comparsa di Mario Draghi, a febbraio 2021, Pd e M5s avrebbero vinto le elezioni. Vi risparmiamo il dettaglio dei sondaggi dell’epoca: il centrodestra era dato a oltre il 47%. Giuseppi, a suo agio nella tenaglia amorosa, alla fine ha respinto le avances. «Pd bellicista», ha tuonato. Infido apostata della transizione ecologica, con la norma sull’inceneritore a Roma. «Non creeremo un cartello elettorale», ha concluso. Persino Annunziata, rassegnata, ha dovuto interrompere il parto gemellare. Per «Elly» e «Roberto», come li chiamava affettuosamente lei, missione fallita. Ma la Speranza è l’ultima a morire.
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Alla presentazione del libello dell’ex ministro, i due fautori di diktat e restrizioni inutili (l’Italia ha avuto in proporzione più morti di quasi tutti i Paesi del mondo) si scambiano complimenti. Mentre la Annunziata li vezzeggia e tenta di rilanciare il campo largo.Riunione di cricca alla presentazione del libro di Roberto Speranza, Perché guariremo, ieri a Montecitorio: sul palco, insieme all’autore , il segretario del Pd, Elly Schlein, e il presidente del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, introdotti dal vice presidente della Camera, Anna Ascani, e moderati da Lucia Annunziata, editorialista della Stampa. È lei stessa a evidenziare a Conte e Schlein: «Non vi vedete da sei mesi, questa è l’occasione». In platea figurano Susanna Camusso, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Dario Franceschini, Gianni Cuperlo, Laura Boldrini, Andrea Orlando, Pierpaolo Sileri e tanti altri. Tutta l’intellighenzia della sinistra stretta nella celebrazione della pessima gestione della pandemia targata Conte e Speranza. L’ex ministro della Salute ieri si è atteggiato a eroe, rivendicando ogni singola azione del suo operato. Non solo, con il suo libro ha inteso offrire soluzioni all’attuale governo, per lui incapace di gestire i problemi. Soffre un evidente calo di attenzione, Speranza, che di continuo ha chiesto al pubblico: «Non è che ci siamo dimenticati di quella stagione?». Trducasi: non è che vi siete dimenticati di me? L’«eroe», nei pochi minuti in cui si ferma davanti ai microfoni, risponde a qualche domanda, a quelle dei soliti volti noti, alle domande dei giornalisti amici, senza mai rispondere alla domanda della Verità: «Perché nel suo libro non parla mai delle cure? Prova rimorso per i pazienti che si potevano salvare?». Gli strappiamo una promessa: «Alla domanda rispondo dopo». A fine convegno, Speranza coglie il nostro cenno e annuisce, ma nel frattempo, con il microfono ancora in mano nel salutare si alza. La sua è una vera e propria fuga. Scappa dalla porta sul retro, seguito da Schlein e Conte, noti ai giornalisti per dichiarare senza rispondere alle domande. Di Covid, all’evento, si parla poco, e solo come vogliono loro. Mai in termini critici. Non si parla di cure, non si parla dei droni che inseguivano i jogger sulla spiaggia, men che meno della follia del green pass, durante l’era di Mario Draghi. Non si parla dell’odio che il governo Conte e quello di Mr Bce hanno scientemente alimentato, per creare quella polarizzazione che serviva a ottenere consenso. Non si poteva parlare di cure, perché loro hanno deciso che parlare di cure significava non parlare di vaccino, creando una dicotomia che ha provocato molti più ricoveri del dovuto e quindi anche molti morti in più. Non se ne parlava allora, non se ne può parlare oggi. Giuseppe Conte interviene nel dibattito sollecitato da una Lucia Annunziata che gli chiede: «Perché se siete stati così bravi tra Pnrr e pandemia, alla fine ha vinto il centrodestra alle ultime elezioni?». Conte va in crisi, tanto che dopo qualche minuto dice: «Aspetti, devo raccogliere le idee» e poi risponde (forse dietro suggerimento): «Avremmo dovuto votare subito dopo». Insomma, loro non sbagliano mai e soprattutto rappresentano la massima espressione di governo che questo Paese ha mai avuto, che fa un po’ rima con la frase più abusata del convegno: «Il periodo più buio», riferito alla pandemia. Tanto che l’avvocato del popolo si complimenta con tutti per il loro lavoro, persino con Domenico Arcuri, commissario straordinario e collezionista di flop. E quando la Annunziata insiste, chiedendogli perché allora non si trovano al governo, lui, all’angolo, dà la colpa al leader di Italia viva, Matteo Renzi, che si sa, «è sempre stato insofferente». Del consenso e dei voti perduti, nulla. Travaglio, responsabilità. Anche Conte è un eroe e anche lui se lo dice da solo, lodando l’operato di sé stesso e del suo governo. Lo ripete anche quando candidamente ammette: «All’inizio abbiamo improvvisato […], lavoravamo di notte». Si dice dispiaciuto per la commissione d’inchiesta e assicura che «sarà un boomerang per chi l’ha concepita come un plotone di esecuzione». Perché, alla fine, grillini e dem dimostreranno che i disastri erano tutta colpa delle Regioni di destra: «Non possono sfuggire». «Ho zero paura della commissione, mi fa pena che un grande Paese come l’Italia debba ridursi a fare polemica sulla cosa più grave che è capitata negli ultimi anni», dice Speranza tra gli applausi. Poi torna sul voto mancato, a febbraio 2021: «Se avessimo potuto votare in quei giorni avremmo vinto senza Renzi». Ma, poveretti, non hanno potuto. Un sacrificio anche quello. Schlein, silente per quasi un’ora, viene chiamata in causa dalla moderatrice e tra un ringraziamento e l’altro sfrutta l’occasione per parlare di scienza e di clima: «Abbiamo ascoltato gli scienziati per la pandemia e non li ascoltiamo per il clima». Insomma, una vetrina, quella di ieri, per officiare un comizio, con picchi di mitomania pura. Come nel momento in cui Giuseppe Conte, nominando i suoi esecutivi, ci aggiunge quello Draghi, rinominandolo «governo Conte-Draghi». Il vero obiettivo del convegno si rende evidente fin da subito. A un certo punto, si smette si far finta che l’argomento sia il Covid e parla solo di alleanze a sinistra.«Nonostante le scelte sbagliate di Meloni, loro una coalizione ce l’hanno», nota Schlein riferendosi al centrodestra. «Noi dobbiamo trovare delle convergenze». Conte risponde: «Se in politica estera non abbiamo una visione comune è meglio discutere adesso». Così come sulla transizione energetica: «Prima di andare al governo». Su una cosa invece i relatori sono d’accordo: nel Conte 2, quello targato Pd-5 stelle, tutti bravi. Piovono applausi, sulla pelle di tanti italiani morti senza cure. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/covid-il-ritorno-degli-indecenti-2667127541.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="quintali-di-balle-carezze-dellannunziata-show-per-elemosinare-il-patto-con-conte" data-post-id="2667127541" data-published-at="1706655095" data-use-pagination="False"> Quintali di balle, carezze dell’Annunziata. Show per elemosinare il patto con Conte Che presentare il best seller mancato non servisse a fare chiarezza, l’avevamo intuito. Ma non immaginavamo che Roberto Speranza arrivasse a raschiare il fondo del barile. E trasformasse l’incontro di ieri, alla Camera, in un patetico teatrino per elemosinare l’alleanza con Giuseppe Conte. L’assessore di Potenza ha detto che gli fa «pena» e «pietà» chi ha voluto la commissione d’inchiesta sul Covid. Certo, lui preferisce i Komintern giallorossi. Ecco spiegato perché l’evento era stato pensato a porte chiuse: non era un convegno, semmai un vertice tra partiti. Ed ecco a cosa serviva la presenza del segretario dem, Elly Schlein, seduta tra l’ex ministro e l’ex premier. Si comprende anche il ruolo di Lucia Annunziata: più che moderatrice, ostetrica di un patto politico che il capo dei 5 stelle, comunque, ha garbatamente rispedito ai mittenti.I convenuti se la sono suonata e cantata da soli. Niente domande. Fuga dal retro alla fine degli interventi. Un oceano di balle. Come le «grandi misure» di welfare attuate dal Conte 2. Quali? I banchi a rotelle? Il bonus monopattini? Il 110?Su un dettaglio, in realtà, Giuseppi è stato onesto: all’inizio dell’emergenza, abbiamo «improvvisato». Parole sue. Finalmente. Quando Francesco Zambon, funzionario dell’Oms, rinfacciò a lui e Speranza la «risposta caotica e creativa» al coronavirus, sorse un caso diplomatico. Ieri, addirittura, l’avvocato pugliese ha svelato quanto rimase stupito, nello scoprire, nelle fatidiche settimane di inizio 2020, che in Italia non c’erano fabbriche di mascherine e respiratori. Toh: mancava un piano pandemico. Il suo prode ministro s’era scordato di farlo aggiornare. E in una di quelle lunghe riunioni, che l’esponente pd ha rievocato, il documento del 2006 fu prontamente rimesso nel cassetto. Le decisioni - si sono vantati i relatori - furono prese «ascoltando i medici». Davvero? Compresi quelli che, al dicastero della Salute, scrissero invano per segnalare che avevano trovato un protocollo terapeutico efficace?Non avrà lo sguardo da rapace, però, all’ex assessore lucano, la faccia tosta non manca. Così, la storia del pasticcio pandemico è diventata, ieri, «una storia che dobbiamo rivendicare». Un dramma dal quale - citiamo la Annunziata - «siamo usciti con successo». E con il record di morti. È l’«alternativa» alla destra che «abbiamo vissuto» e che Speranza ha riproposto a Conte. Una formula semplice: piuttosto che «governare insieme» il Paese, lo avevano chiuso.L’ex ministro e la Schlein, in un’ora e mezza di dibattito, non hanno mai mollato l’osso pentastellato. E pur di circuirlo, hanno fatto in modo che piovessero bufale in sala. La più eclatante? Sceglierne una è duro. Forse l’ha raccontata la leader armocromizzata: siamo stati così bravi, che quando non si poteva uscire portavamo le medicine a casa dei malati. Ma dai: e noi, malfidati, credevamo che il protocollo ufficiale fosse paracetamolo e vigile attesa. Altro che cure domiciliari. O forse no. Forse, la sparata più grossa è stata quella di Speranza: per pompare l’invincibile armata giallorossa, ha giurato che, non fosse stato per la comparsa di Mario Draghi, a febbraio 2021, Pd e M5s avrebbero vinto le elezioni. Vi risparmiamo il dettaglio dei sondaggi dell’epoca: il centrodestra era dato a oltre il 47%. Giuseppi, a suo agio nella tenaglia amorosa, alla fine ha respinto le avances. «Pd bellicista», ha tuonato. Infido apostata della transizione ecologica, con la norma sull’inceneritore a Roma. «Non creeremo un cartello elettorale», ha concluso. Persino Annunziata, rassegnata, ha dovuto interrompere il parto gemellare. Per «Elly» e «Roberto», come li chiamava affettuosamente lei, missione fallita. Ma la Speranza è l’ultima a morire.
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
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Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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