2022-11-05
Lockdown, Dad, apartheid vaccinale. All’estero i politici chiedono scusa
Da sinistra: il primo ministro britannico Rishi Sunak, il ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach, la premier della provincia canadese di Alberta Danielle Smith (Ansa)
Dopo le accuse di Rishi Sunak al Cts inglese e le moratorie danesi sulle iniezioni ai giovani, il ministro della Salute tedesco ammette: «Sbagliato chiudere gli asili nido». Berlino giura: «D’ora in poi, prima i bisogni dei bimbi».No, uno scurdammoce ’o ppassato non basta. Bisogna accertare errori e responsabilità nella mala gestione della pandemia. Male non farebbe, però, se qualcuno, anziché riesumare il peggior repertorio di bestialità da apartheid vaccinale, chiedesse scusa. All’estero lo stanno già facendo.L’ultimo pentito è il ministro della Salute tedesco, Karl Lauterbach. Acceso sostenitore della linea del rigore, mercoledì scorso, nel presentare i risultati di uno studio di Robert Koch institute e German youth institute, ha ammesso: abbiamo sbagliato a chiudere gli asili nido. Gli ha fatto eco Lisa Paus, ministro della Gioventù. Un’esponente verde, che in questa circostanza era rossa di vergogna: «In futuro», ha commentato, «l’interesse superiore del bambini deve essere la priorità assoluta». Il mea culpa è scaturito, appunto, dagli esiti della ricerca, finanziata da fondi pubblici. Essa ha dimostrato che i piccoli hanno contribuito poco alla diffusione del virus, con un tasso d’incidenza dei casi di Covid costantemente al di sotto di quello dei più grandi. E anche quando si contagiavano, essi «raramente contraevano la malattia grave». A compromettere il loro benessere, intanto, sono state le serrate.È un quadro confermato da una recente analisi, pubblicata dal Center for economic policy and research. Un think tank progressista che, tra i propri collaboratori, annovera autori à la page come Joseph Stiglitz. Un articolo di pochi giorni fa, significativamente intitolato «Un disastro per i bambini», esaminava gli effetti dei blocchi dell’attività scolastica sulle abilità cognitive e non cognitive degli alunni giapponesi, nel campo della matematica. Il paper parla chiaro: con il lockdown di marzo 2020, i risultati degli studenti sono calati repentinamente di 2,3 punti. E l’impatto delle chiusure si aggravava in rapporto alle condizioni di vita del ragazzo: nel Paese del Sol levante, come d’altronde nel resto del mondo, le restrizioni hanno danneggiato maggiormente chi era già svantaggiato. Con buona pace di quella sinistra che, alle nostre latitudini, si straccia le vesti dinanzi al concetto di merito e alla faccia del mito dell’uguaglianza dei punti di partenza, oltre che della giustizia sociale.Nella carrellata dei convertiti, va menzionato l’attuale primo ministro britannico, Rishi Sunak. Alcune settimane or sono, con un lungo intervento sullo Spectator, l’uomo che aveva partecipato alle riunioni del Cts inglese in qualità di ministro dell’Economia, ha messo a nudo gli sbagli e le omissioni che avevano portato alla decisione di recludere i cittadini. Sunak ha rivelato che nessuno dei tecnici s’era preoccupato di valutare costi e benefici dei lockdown e che le previsioni di sventura sui decessi erano state largamente esagerate. Tuttavia, ogni provvedimento era blindato dal mantra: «Seguire la scienza». Il metodo ricorda i pasticci combinati nello Stivale. Solo che, qui, il mainstream rivendica la stagione dei droni e del coprifuoco. Oltremanica, invece, sta diventando senso comune persino l’idea che la politica del Covid zero abbia provocato un’impennata dell’extra mortalità, complice la carenza di controlli e trattamenti per patologie cardiovascolari e oncologiche. L’ha denunciato, meno di tre mesi fa, il Telegraph. Mica il Gazzettino delle Highlands. Pure sul fronte del fondamentalismo vaccinista, al di fuori dei confini italiani, qualcosa si è mosso. La Danimarca trasuda buon senso. A giugno, Soren Brostrom, direttore generale dell’Autorità sanitaria, aveva affermato che, «in retrospettiva, non abbiamo ottenuto molto dall’ampliamento del programma di vaccinazione ai bambini». Allo stato delle conoscenze, portarli negli hub era stata una fesseria. Ad agosto, coerentemente, il Paese scandinavo ha stoppato le iniezioni sui minori. A settembre ci ha dato un taglio altresì con i booster sugli under 50, perché lo scopo della campagna di inoculazioni è proteggere «coloro che rischiano di ammalarsi gravemente». Non smaltire le scorte di vaccini. Più scontato, ma non per questo meno significativo, l’autodafé di Danielle Smith, premier della provincia canadese di Alberta. Eletta a ottobre, in un discorso che ha fatto il giro del mondo, la leader conservatrice, da sempre contraria alle restrizioni, ha chiesto scusa ai non vaccinati, privati di lavoro e diritti. Nel frattempo, in Nuova Zelanda, nota per aver inseguito la farneticante strategia cinese, due settimane fa il governo ha mollato i poteri «senza precedenti», che aveva assunto durante l’emergenza. Non solo: il ministro responsabile per la risposta al Covid, il laburista Chris Hipkins, ha annunciato che si sta valutando di avviare una commissione d’inchiesta. Naturalmente, essa può essere stiracchiata a beneficio dell’una o dell’altra parte. Ma v’immaginate se da noi, a proporre un’indagine politica, fosse stato direttamente Roberto Speranza?Per carità: non diciamo che si debba aprire la Norimberga del virus. Ma altrove, i responsabili degli eccessi pandemici chiedono scusa, o fanno retromarcia, o almeno rimettono in discussione il proprio operato. In Italia, invocano le spillette «no vax» da applicare sui camici bianchi. Possiamo essere un po’ incazzati?
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)