Dalle restrizioni in pandemia danni allo sviluppo emotivo nel 50 per cento dei bambini

Circa la metà (47%) dei 6.095 genitori inglesi coinvolti in una ricerca appena pubblicata nel Regno Unito ha dichiarato che i loro figli di età da 4 a 16 anni ha avuto maggiori difficoltà socioemotive nel 2021, anno di ripetuti lockdown, rispetto al 2020. Il 52% dei più piccoli, dai 4 ai 7 anni, ha visto il proprio sviluppo sociale ed emotivo deteriorarsi, rispetto al 42% dei ragazzini in fascia 12-15 anni. Solo per un bambino su sei c’è stato un miglioramento durante quel periodo. Il rapporto, pubblicato ieri, cerca di rispondere al quesito: «In che modo le esperienze dei genitori nel mercato del lavoro hanno influenzato lo sviluppo sociale ed emotivo dei bambini durante la pandemia?», che dà il titolo allo studio. Realizzato dall’Institute for fiscal studies (Ifs), in collaborazione con l’Ucl institute of education (la facoltà di educazione e società dell’university college London), e finanziato dalla Nuffield foundation, affronta una questione meno considerata nelle indagini sugli effetti nei bambini delle chiusure in epoca Covid.
Infatti, si sono molto approfondite le tematiche relative alle difficoltà sociali, emotive e di apprendimento conseguenti la chiusura delle scuole; così pure l’aumento di malattie trascurate o sottovalutate. Questo report valuta sempre gli aspetti del profondo disagio nei più giovani, ma approfondisce anche l’impatto delle esperienze lavorative dei genitori sullo sviluppo dei figli.
Josh Hillman, direttore del settore istruzione della Nuffield foundation, ha sottolineato: «Questa importante ricerca evidenzia un altro effetto negativo che la pandemia ha avuto su bambini e giovani, in particolare quelli i cui genitori hanno smesso di lavorare o sono stati licenziati».
Non è affatto scontato che i bambini «si riprenderanno», facilmente, osserva Andrew McKendrick, economista e ricercatore presso l’Ifs, uno degli autori del rapporto, perché «prove più ampie al di fuori del nostro studio», hanno dimostrato che le conseguenze possono essere a lungo termine. Con impatti sulla salute mentale dei piccoli «più alti rispetto a prima della pandemia».
È un altro, dei tanti motivi per i quali bisogna indagare sulla gestione del Covid operata da governi e autorità sanitarie. Troppi diritti sono stati calpestati, con sofferenze che non si possono archiviare solo decretando la fine dello stato d’emergenza sanitaria. Che la Commissione parlamentare di inchiesta per il Covid debba valutare, se tra le misure assunte ci siano stati «obblighi e restrizioni carenti di giustificazione in base ai criteri di ragionevolezza, proporzionalità ed efficacia, contraddittori o contrastanti con i princìpi costituzionali», nonché «verificare il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali costituzionalmente garantite», non è affatto «avventurarsi in originali interpretazioni», come dichiarava ieri sulla Stampa il deputato di Italia viva, Elena Bonetti.
Il testo del ddl in discussione non è un «ostacolo al raggiungimento della verità dei fatti», come sostiene l’ex ministro per le Pari opportunità, che afferma di non aver partecipato al voto, ma il primo passo per cercare di ricostruire una storia fatta di enormi errori, bugie, ingiustizie e misure imposte senza il supporto unanime della scienza.
Il rapporto appena pubblicato dall’Ifs conferma che c’è ancora tanto da indagare, sulla sofferenza che è stata provocata e che peserà nel tempo sull’equilibrio e sullo sviluppo dei più piccoli. Un’altra analisi, questa volta dell’ufficio del commissario per i bambini del Regno Unito, Dame Rachel de Souza, sempre pubblicata ieri, ha mostrato che i disturbi alimentari tra i bimbi sono raddoppiati negli ultimi sei anni.
Circa 11.800 persone di età inferiore ai 18 anni hanno iniziato il trattamento con il Ssn inglese per disturbi alimentari nel 2022-23, rispetto alle 5.240 del 2016-17 e al quotidiano The Telegraph Dame Rachel ha detto che l’aumento può essere stato favorito dal «maggiore tempo trascorso online dai bimbi in lockdown».
Per poi precisare meglio l’entità di quella che ha definito «crisi della salute mentale» nei più piccoli. «Temo che l’isolamento che molti bambini hanno dovuto affrontare durante le chiusure non solo li abbia tagliati fuori dalle reti di supporto e dai servizi sanitari vitali, ma li abbia portati anche a trascorrere più tempo navigando nel Web».
Commentando la ricerca pubblicata dall’Ifs, sempre il commissario ha dichiarato: «Questo studio mostra che è stata di lunga durata l’interruzione provocata dalla pandemia nello sviluppo dei bambini. È fondamentale che venga messo a disposizione il giusto supporto sociale ed emotivo per consentire ai bambini di riprendersi e di continuare a ottenere tutto ciò che desiderano».
I ricercatori avevano posto ai genitori 13 domande sui comportamenti dei loro figli, inclusa la frequenza con cui il loro bambino appariva preoccupato, perdeva facilmente la fiducia o faceva i capricci, sia nel febbraio 2021 sia, retrospettivamente, un anno prima. Hanno scoperto che il 47% dei genitori credeva che le capacità sociali ed emotive del proprio figlio fossero peggiorate durante il primo anno della pandemia.
lo studio Ifs non ha trovato prove che i bambini provenienti da famiglie più povere abbiano subito un impatto peggiore sulle loro capacità sociali ed emotive, rispetto ai loro coetanei più abbienti. Però ha verificato che interruzioni del lavoro durante la pandemia, con perdite di introiti e pesanti incertezze economiche, hanno ridotto il benessere dei genitori e le capacità socioemotive dei più piccoli.
I bambini, le cui famiglie hanno sperimentato almeno un cambiamento dovuto a licenziamento o a congedo momentaneo, hanno visto in media peggiorare di circa il 9% il loro sviluppo socioemotivo, rispetto a quelli con genitori rimasti costantemente occupati o disoccupati.
«I nostri risultati dimostrano l’importanza di proteggere le famiglie durante i periodi di significativa incertezza economica, al fine di ridurre i significativi costi in termini di capitale umano e benessere che tale incertezza può avere non solo per gli adulti direttamente interessati, ma anche per i loro figli», concludono Sonya Krutikova, professore associato di economia all’università di Manchester e vicedirettore della ricerca Ifs e Christine Farquharson, che nell’istituto si occupa di comprendere quali fattori influenzino l’istruzione e la salute dei bambini.
Un’altra indicazione della necessità di non ripetere in futuro errori evidenziati da un’apposita commissione di indagine sulla gestione della pandemia.












